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Solve et Coagula - Pagina 20



Capitolo 2 - parte 8

E detto questo, dopo ancora un’ultima breve deviazione a sinistra, Fabrizio guidò le sue due ospiti oltre la porta d’ingresso della mansarda vera e propria, fino a un salottino che a Luisa ricordò il suo per dimensioni e collocazione.
«Questo è lo spazio in comune della mansarda» spiegò Fabrizio aggiustando nel contempo, da bravo padrone di casa, i cuscini sul divano «insieme al bagno e al cucinotto che, come potete vedere» aggiunse indicando alla loro destra «è stato ricavato trasformando il terrazzino in una sorta di serra».
«Wow» esclamò per l’ennesima volta Giulia «ma questa è la casa dei miei sogni!».
«Se sei interessata, l’altra metà della mansarda è libera al momento» l’avvertì Fabrizio.
«Sarebbe bello» osservò lei «ma non oso mettere una tale distanza tra me e il lavoro. Fare tutta questa strada nel traffico due volte al giorno mi ucciderebbe».
I tre sedettero quindi insieme a conversare e bere tè indiano speziato per un’altra decina di minuti, finché Fabrizio non si decise finalmente ad aprire alle due amiche la porta del suo atelier. Bastò un attimo e Luisa e Giulia si ritrovarono immerse in un’atmosfera completamente diversa: quella di un luogo di lavoro affollato di oggetti e pervaso dell’odore penetrante degli oli e delle trementine. Una grande finestra laterale e una sorta di lucernario aperto sullo spiovente del tetto conferivano tuttavia al locale, che altrimenti sarebbe stato una comune stanza di medie dimensioni, quel senso di spazialità a cui lo stesso Fabrizio aveva accennato al loro arrivo. Era del resto facile immaginare come nelle giornate lunghe e luminose la luce dovesse invaderne ogni recesso, mentre il cupo pomeriggio invernale li costrinse a ricorrere, in quell’occasione, alla luce artificiale.
In quanto ai dipinti, erano affastellati un po’ ovunque lungo il perimetro delle pareti, mentre al centro della stanza si trovavano due cavalletti con due diverse opere in lavorazione. Una di queste era coperta da un telo ma l’altra era in bella vista e attirò subito gli sguardi delle due ragazze.
«Questa è una copia della Fuga in Egitto di Gentile da Fabriano che sto realizzando su commissione per un negozio del centro» spiegò Fabrizio, che subito aggiunse «in realtà è così che mi guadagno da vivere, con i cosiddetti falsi d’autore».
«E l’altro?» chiese Giulia, riferendosi al dipinto nascosto dal panno sul secondo cavalletto.
«Quello» replicò Fabrizio «è l’Arcano XV, Il diavolo. La carta dei Tarocchi a cui sto lavorando adesso».
«Perché è coperto?» domandò Luisa con una punta di allarme nella voce.
«Per una ragione molto banale» le rispose divertito Fabrizio «devo terminare al più presto la Fuga in Egitto e lui nel frattempo riposa in attesa che io torni a dedicargli la mia attenzione. Cosa che spero accada il prima possibile».
«In ogni caso» continuò «ho tutta l’intenzione di mostrarvelo. Vorrei però seguire un certo ordine e farvi prima vedere i quattordici Arcani che ho già terminato di dipingere».
E detto questo, afferrò ai margini un grande pannello di compensato e lo girò lentamente  rivelandone il lato prima nascosto.

(Il dedalo delle storie, 16 settembre 2013)

>> pagina 21

Commenti

  1. La reazione di Luisa nel sentire che il drappo copre la carta dei tarocchi "Il diavolo" mi ha fatto ridere, perché sarebbe la stessa mia. In più farei anche un piccolo salto.

    So molto poco dei tarocchi, però mi avevano detto che non è la carta in sé quanto la sua posizione rispetto alle altre ad essere importante. Ma penso che qui si aprirebbe un discorso troppo complesso.

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    Risposte
    1. Ti hanno detto bene. Ciò che più conta è il racconto che formano le carte relazionandosi l'una all'altra. Per intendersi, è un po' il meccanismo alla base del libro di Calvino Il castello dei destini incrociati.

      Elimina

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