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Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta /13: 25th Anniversary Edition (1974-1999)



Ai tempi in cui lessi per la prima volta Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta non avevo nessuna cognizione del greco antico. Per questo motivo, tra le ragioni della piccola insoddisfazione di cui ho detto nel precedente post, non ne figurava una che ho viceversa ricavato dalla recentissima mia rilettura del libro, nel corso della quale non ho potuto evitare di accorgermi della traduzione errata, da parte di Pirsig, del nome Fedro, che in greco significa "splendente, luminoso" e non "Lupo" come pretende lui.

Non riuscendo però a immaginare che uno scrittore possa incorrere in errori di tale portata, ho pensato a un possibile gioco etimologico, di cui mi sfuggivano però gli elementi e i nessi. Ma dopo aver fatto delle ricerche in rete - vedi mai mi fossi perso qualcosa - ho dovuto arrendermi all'evidenza che non c'è modo di rendere "Fedro" con "Lupo", neanche ricorrendo alle più acrobatiche etimologie platoniche.

Ero quindi costretto ad ammettere che uno scrittore poteva davvero fare di questi svarioni. E senza neanche essere corretto dal suo editore, che evidentemente era altrettanto al secco di Pirsig di nozioni di greco.

La mia disperata ricerca, tuttavia, seppure andata a vuoto sul piano linguistico, si è rivelata fruttuosa sotto un altro aspetto questa stessa domenica mattina, quando mi è balenata l'idea di inserire questa stringa di testo nella casella di ricerca di Google: "Why Pirsig says Phaedrus means wolf?" e con mia grande sorpresa mi sono imbattuto in una prefazione, scritta dallo stesso Pirsig, alla riedizione de Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta in occasione del venticinquesimo anniversario dalla prima pubblicazione (1974-1999).


Una prefazione (che se siete interessati a leggere per intero, anziché nelle poche parti che riporterò io, potete trovare ripetendo la mia stessa ricerca) in cui non solo Pirsig ammette l'errore (a quel che capisco per la prima volta pubblicamente), ma ne svela anche l'origine, che risale al 1960 e al suo periodo di frequenza del corso all'Università di Chicago.

Ho perciò subito deciso di approfittare della scoperta e di anticipare a questo post la questione dell'errore di traduzione, anziché tenerla in serbo, come avevo in mente, per le considerazioni finali e continuare fino ad allora ad assecondare Pirsig nella sua poco comprensibile scelta di tradurre "Fedro" con "Lupo".

Ecco cosa racconta lo scrittore filosofo sull'origine dell'errore (mia traduzione al volo):

Il professore di filosofia aveva menzionato che Platone utilizzava per i suoi personaggi dei nomi che suggerivano la natura delle loro personalità e, nel dialogo Fedro, il paragone era con il lupo. Il professore, il cui vero nome mi sembra di ricordare fosse Lamm o Lamb [agnello], mi guardava in un modo che mi faceva pensare che lui considerasse adatto a me l'appellativo di Lupo. Io ero un outsider che sembrava più interessato ad attaccare ciò che veniva insegnato che a imparare qualcosa. (...) Ma il personaggio che Platone paragonava a un lupo non era Fedro bensì Lisia, il cui nome è simile al greco Lykos che significa "lupo". Come i lettori mi hanno più volte segnalato, Fedro significa "luminoso" o "splendente". Sono stato fortunato. Avrei potuto scegliere qualcosa che significava molto di peggio.

Dunque, mentre io ero ignaro di tutto e avevo archiviato Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta come una lettura importante tra le altre importanti della mia vita, c'erano altri lettori che facevano notare l'errore a Pirsig.

Così come gli facevano notare un'altra pecca che a me era in linea generale sfuggita, anche se non proprio del tutto come dirò in conclusione del post. Una pecca che a lui appariva molto più grave del suo errore di traduzione:

Il secondo errore è molto più grave perché ha oscurato il significato fondamentale del libro. In molti hanno notato che il finale in qualche modo non chiarisce le cose, che manca qualcosa. Alcuni lo hanno definito un "finale hollywoodiano" che diminuisce il valore artistico del libro. Hanno ragione (...) perché il finale era inteso in un senso molto diverso che non è stato reso in modo sufficientemente chiaro. Nel finale, nelle intenzioni, non è il narratore a trionfare su un perfido Fedro, ma è un rispettabile Fedro a trionfare su un narratore che ha malignato su di lui per tutto il tempo. Il che è adesso reso chiaro nella nuova edizione mediante l'utilizzo di un carattere senza grazie per la voce di Fedro.

Segue, a questo punto, una disanima molto interessante sulle difficoltà della narrazione in prima persona. Il fantasma di Fedro appare in realtà malvagio perché la storia è tutta raccontata dal punto di vista del narratore che lo vede come malvagio. Ecco cosa scrive più nel dettaglio Pirsig:


Il narratore è prima di tutto una persona dominata dai valori sociali. Come dice all'inizio del libro: "Sono anni che non ho un'idea originale". E racconta la sua vicenda in modo da farsi piacere ai lettori. (...) Sta bene attento a non uscire dai normali confini della società che lo circonda, perché ha visto cosa è successo a Fedro. Ha imparato la lezione. Niente più elettroshock per lui. Solo una volta il narratore confessa il suo segreto: che è un eretico con cui tutti si sono congratulati perché si è salvato l'anima, ma che segretamente sa che tutto ciò che ha salvato è la sua pelle.

Il finale del libro assume in effetti, in questo modo, una sfumatura abbastanza diversa, se non è più l'io narrante ma bensì lo stesso Fedro - che non è un fantasma maligno ma un iperintellettuale dalle buone maniere - a rispondere alla domanda definitiva del figlio Chris (che non dirò qual è, anche se a spifferarla per primo è proprio Pirsig, che lungo tutta la prefazione si rivolge ai suoi lettori di vecchia data).

E mi si è anche chiarita, a questo punto, la questione a cui ho accennato nei due precedenti post della serie, delle momentanee "perdite di Qualità persuasiva" che avvertivo a tratti nella scrittura di Pirsig. Non si tratta, come avevo supposto io, di falle nello stile narrativo, ma del naturale svolgimento del libro, in cui è talvolta la voce aristotelica dell'io narrante a prendersi tutto lo spazio e a soffocare la voce, più persuasiva perché più platonica, di Fedro. Il che era però, prima di questa nota di Pirsig, qualcosa di tutt'altro che immediato da constatare.



* * *


L'immagine di apertura del post è: Michael Budden, Wolves Landscape (c. 2010, detail). Per l'immagine intera: 1stdibs

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