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Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta. Un'indagine sui valori /11



E' con buona probabilità incurante di ogni esito, che Michelstaedter, invia la sua tesi di laurea, La persuasione e la rettorica, la sua bomba antiaristotelica, agli aristotelici suoi professori dell'Università di Firenze.

E altrettanto incurante è Fedro quando, con una lettera all'aristotelicissimo direttore dell'Università di Chicago, lo informa della possibilità che la sua tesi sulla Qualità si trasformi in una tesi antiaristotelica. E' che aveva deciso di farsi buttare fuori dalla porta principale, probabilmente per sentirsi a posto con la propria coscienza al momento di asciugarsi il sudore della fronte e dire: "Be', io ci ho provato".

Ma quali erano le conclusioni di Fedro, al termine della sua ricerca della Qualità, che l'aveva condotto alla scoperta dell'areté come espressione della Qualità individuale? Che era poi l'unico tipo di Qualità possibile per Pirsig, la cui convinzione era che la società potesse essere cambiata solo a partire dall'interiorità del singolo.  

Quello che Fedro aveva concluso è che con Aristotele l'areté era morta, ed erano nate, al suo posto, la scienza, la logica, e l'università come la conosciamo oggi. Insieme alla loro missione: di trovare e inventare un'infinita proliferazione di forme riguardanti gli elementi sostanziali del mondo e di chiamare queste forme conoscenza, trasmettendole alle generazioni future.

Era nato il "sistema". Il sistema che non le cose, ma dice a proposito delle cose.

E "ormai tutto è degno d'esser detto; ogni rapporto riconosciuto è un'idea, perché a ogni cosa inerisce il bene, - e ogni idea ha cittadinanza nel mondo dell'assoluto. La via delle astrazioni non ha limite, non ha criterio."*

In quanto poi alla povera retorica, che una volta 'imparava' se stessa. E' ora ridotta a insegnamento di procedimenti artefatti e di forme, di forme aristoteliche per lo scrivere, come se esse avessero una qualche importanza.

Pirsig ammetteva la validità delle conclusioni di Fedro, ma non si riconosceva più nella soluzione da lui immaginata. Non vedeva cioè nessuna necessità di creare una nuova filosofia che provasse a conciliare ragione e Qualità. Più importante era per lui ricostituire il "valore del singolo" - "questa risorsa americana". E riacquistare "l'enthousiasmos dei vecchi tempi". E poiché è in questi termini che il concetto è offerto ne Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, ecco che tutto acquista un'aria così terra terra che sembra di veder profilarsi all'orizzonte, tra nuvole di polvere, le carovane dei pionieri in marcia verso l'ovest. E mi chiedo se Fedro avrebbe approvato. 

Proviamo invece, per confronto, a vedere come Carlo Michelstaedter ci mostra lo stesso criterio del valore individuale in apertura della quarta delle sei Appendici a La persuasione e la rettorica, il cui titolo è Della composizione della rettorica d'Aristotele:

Chi è tutt'uno con il suo soggetto e parla perché questa è la sua vita, vedrà in ogni cosa tutto e a proposito di ogni cosa dirà sempre lo stesso.*

Sembra di ascoltare un Presocratico, nel suo dire senza condizioni, infinitamente più persuasivo di qualsiasi incitamento alla costituzione del "valore del singolo" e al riappropriarsi dell'enthousiasmos dei vecchi tempi. E credo che Fedro avrebbe approvato.



E' presente inoltre, nelle pagine di Michelstaedter (come anche, vedremo, in quelle di Pirsig), un disvalore opposto al valore individuale: l'impotenza individuale. Che per tirare a campare "la qualunque vita" è costretta a simulare la persuasione. E questo è compito della retorica, per la quale non è più questione di "volontà di dire", ma "d'aver detto". Ed ecco allora un altro "frammento presocratico", che Michelstaedter piazza a poche pagine di distanza dal precedente: 

...non vivono in ciò che dicono, ma dicono questo e quello per vivere.**

Ma l'impotenza individuale non può, per definizione, essere autonoma e per mantenersi e perpetuarsi ha bisogno di costituirsi in società con le altre impotenze individuali nella κοινονία κακῶν ["comunella dei malvagi"] che Platone aveva, secondo Michelstaedter, filosoficamente avallato nella Repubblica

Il collante che tiene unite tra loro le varie impotenze individuali è la paura della morte, che visto dall'altro versante diventa attaccamento alla vita: φιλοψυχία (filopsichia) nella terminologia (platonica) di Michelstaedter, da lui reso in italiano con "amore alla vita". Vi sovrintende un dio, il dio della filopsichia, che "agita davanti alla persona la luce del piacere e gli fa apparire desiderabile una cosa come se in quella avesse a saziar tutta la sua fame, come quella gli dovesse dar tutta la vita: l'assoluta persuasione...".***

Mentre quel che fa in realtà è solo "salvare come vita sufficiente da ciò che nello stesso punto [della nascita] è dato loro: la sicurezza di morire. In questa stretta, e nella cura di un futuro che non può che ripetere (finché lo ripeta) il presente, essi contaminano questo, che ogni volta è in loro mano. E dove è la vita se non nel presente? se questo non ha valore niente ha valore."***



E poiché, pur passando da una cosa all'altra, la persona si sente sempre uguale in tempi e in cose diverse: egli dice "io sono".

Oppure: "io so quello che fo perché lo fo; non agisco a caso ma con piena coscienza e persuasione". - E' così che ciò che vive si persuade esser vita la qualunque vita che vive.***

Ma l'individuo o è l'ἓν συνεχές, l'uno continuo di Parmenide, o non è. E allora c'è l'aver detto ma non il dire. C'è l'azione ma non colui che agisce. E' proprio dell'abbandono della via socratica da parte di Platone il sostituire alla richiesta "τί ἐστι: che cos'è questo che fai? che cos'è questo che dici? chi sei tu?"**** l'adulazione "tu sei".



Un'analoga idea dell'impotenza individuale la si ritrova in Pirsig in riferimento alla Chiesa della Ragione, subito dopo le conclusioni dell'indagine su Aristotele e subito prima della parte finale del suo Chautauqua, quella in cui va in scena lo scontro definitivo tra Fedro e la suddetta Chiesa, nella figura del direttore dell'Università di Chicago e che verte sul dialogo platonico Fedro. Allora, e solo allora, l'anomalo studente Robert Maynard Pirsig assume su si sé il nome Fedro: Lupo.

La Chiesa della Ragione, come tutte le istituzioni del sistema, non è basata sulla forza del singolo quanto sulla sua debolezza. Solo agli incapaci si può insegnare bene. Gli altri sono sempre una minaccia.

Come Fedro, appunto. 

Fedro il lupo. Gli si addice, questo nome, gli si addice sempre di più. Non sarebbe contento se la sua tesi li avesse entusiasmati. L'ostilità è il suo vero elemento.

Non è quindi certo un caso che sia il libro di Pirsig che la tesi di Michelstaedter mostrino una considerazione speciale per questo specifico dialogo di Platone. Pirsig ponendolo a sigillo del suo Chautauqua, Michelstaedter intitolandogli la Quinta appendice: La rettorica d'Aristotele e il Fedro di Platone. Il bersaglio, per entrambi, sono ancora una volta Aristotele e la visione del mondo che discende dall'artefatta costruzione della sua retorica.

L'apertura dell'Appendice è, in Michelstaedter, ancora una volta folgorante. Il persuasore è lo stesso filosofo che nel Gorgia guardava soltanto verso l'alto e poneva l'ἀγατόν (il Bene) nella γυμνὴ ψυχή [anima nuda], ma che ora gode dell'altezza raggiunta e, guardando in basso, per la sua γυμνὴ ψυχή può conoscere le ψυχαί [anime] altrui e spogliarle. Da filosofo si trasforma in psicagogo.

"E questa è la via del discorso che sotto le apparenze diverse delle cose rivela il loro principio comune, in ciò che l'oratore veda la natura stessa delle cose nella propria anima che l'ha contemplata ab aeterno e l'abbia certa in ogni differenza delle cose."*****

E ribadito così il criterio della persuasione, Michelstaedter fa seguire l'affondo mortale alla retorica:

"Di fronte a questo lo studio di ciò che è εἰκός [verosimile], cioè la raccolta dei fenomeni e dell'ἔνδοξον  [di ciò che è secondo l'opinione comune], lo studio sulle questioni particolari giudiziarie o politiche e la ricerca dei trucchi rettorici sono impotenti (...). Non solo, ma è impotente, irrazionale qualsiasi attività dell'uomo che non sia questa che l'individuo di fronte all'individuo compie, vivendo a proposito d'ogni caso e creando ogni volta il valore individuale."******

Valore individuale, areté, Qualità individuale, persuasione. Il cerchio si è infine chiuso, all'interno ma fuori della Chiesa della Ragione e della κοινονία κακῶν. 

E questo mentre ancora oggi, in quelle poche università che si danno ancora la pena di insegnare l'etica classica, gli studenti, sulle orme di Platone e Aristotele, si gingillano con la domanda che nella Grecia antica non ebbe mai bisogno di essere formulata: Che cos'è il bene?


* * *


* Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, p. 155. Adelphi. A cura di Sergio Campailla.  

** Ibid. p. 227.

*** Ibid. pp. 16-19.

**** Ibid. p. 229

***** Ibid. p. 245

****** Ibid. p. 246

Questo post sintetizza parte delle pagine 341-364 de Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta. Adelphi 1981, 1990. Traduzione di Delfina Vezzoli. Gli estratti dal libro sono evidenziati in corsivo.

L'immagine di apertura del post è: Alex Colville, Man on the Veranda (1953).

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