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Rilke e Hopper tra visibile e invisibile
(Re-edit, prima parte)




E' possibile far incontrare un poeta e un pittore che oltre a usare i rispettivi diversi mezzi espressivi sembrano anche provenire a prima vista, per temi e ispirazione, da due pianeti diversi? La risposta per me è sì, e in caso contrario questo post non sarebbe neppure esistito.
Ma andiamo per ordine, che per me significa cominciare prima di tutto dalla parola "Re-edit" del titolo, che sta a indicare che quanto segue è la riedizione di un articolo che ho scritto prima della creazione di questo blog. E' la seconda volta che faccio un'operazione del genere, dopo la riedizione del mio articolo Scrittura e mondo reale, apparso in origine nel 2012 sul mio precedente blog, Power Spot.
Proprio Rainer Maria Rilke, da un quarto di secolo il poeta che più amo in assoluto, ed Edward Hopper, da ancora più tempo il mio pittore preferito, erano due dei personaggi ricorrenti di quel blog e questo particolare post, apparso su Power Spot nel 2011, era il risultato di un esperimento: farli incontrare in una sorta di cross-over.
Come per il precedente articolo della categoria Re-edit, anche stavolta ho sottoposto il testo a una revisione, ma sempre cercando, come allora, di mantenere il più possibile inalterati la struttura e lo spirito del post originale.



da: Power Spot - Il BLuOGo di Potere, 06/12/2011


Introduzione


Frank Frazetta, un artista commerciale molto noto agli appassionati del fantastico nelle sue varie declinazioni, fece una volta una dichiarazione di questo tenore (sono purtroppo costretto a citare a memoria): “Chi può essere interessato al dipinto di qualcuno che falcia un prato? Nessuno!”. Frazetta, nel dire queste parole, potrebbe benissimo avere avuto in mente il dipinto del famoso pittore americano Edward Hopper che ho inserito all'inizio del post: Pennsylvania Coal Town (1947).
Nell'affermazione di Frazetta non è tuttavia in gioco solo il conflitto di superficie tra arte cosiddetta colta e arte cosiddetta popolare, ma qualcosa di più profondo: l’eterno conflitto fra due diverse concezioni dell’arte e dell’artista e del loro ruolo. Da un lato, con Hopper, abbiamo un tipo di arte in cui giocano un ruolo fondamentale la percezione e trasformazione/sublimazione del reale, dall’altro, con Frazetta, un tipo di arte in cui a farla da padrone sono l’immaginazione e, paradossalmente, la mera rappresentazione di dati sensoriali.
Avrei forse dovuto, a questo punto, continuare nel solco fin qui tracciato e mettere a confronto le opere dei due artisti figurativi, scelgo invece di seguire un’altra direzione, che può apparire a prima vista bizzarra, o poco o niente sensata, ma che personalmente considero ben più interessante e proficua. Tirerò in ballo adesso un poeta, e precisamente il poeta che da un quarto di secolo è il mio preferito in assoluto, con l'intento dichiarato di accostarlo a Hopper e dimostrare che esiste una sostanziale unità di intenti tra i due, anche se a prima vista sembrano provenire da pianeti diversi. Questo poeta è Rainer Maria Rilke.
La prima obiezione che potrebbe sorgere al cospetto di un simile inusuale accostamento potrebbe essere questa: perché proprio Rilke e Hopper e non per esempio Rilke e Cezanne su cui il poeta per primo ha speso molte parole?
La mia risposta è che la pittura di Cezanne è collegata ad una fase non ancora abbastanza matura della produzione poetica di Rilke, una fase in cui la “teoria" della trasmutazione del visibile (cuore della poetica di Rilke) era ancora a livello embrionale. Mentre Hopper è a mio avviso riconducibile, sia per somiglianza di metodo che per risultati, proprio alla fase più avanzata e feconda di risultati dell’esperienza rilkiana. E dico questo senza che mi sia mai giunta notizia di una eventuale frequentazione delle opere del poeta praghese da parte del pittore americano.
Aggiungo che chi sta leggendo questo post attirato soprattutto dal nome di Hopper (e sospetto che ciò valga per la maggioranza dei lettori) dovrà in ogni caso pazientare un po'. La tesi che ho posto alla base dell'articolo prevede infatti che io applichi alcuni elementi della poetica rilkiana alla pittura di Hopper e da questi devo giocoforza cominciare. Ciò che intendo dimostrare qui non è solo la mia ipotesi che tali elementi (ai quali potrò, per ragioni di spazio, solo accennare brevemente) si adattino a meraviglia anche alle tele del pittore, ma anche mostrare che, così facendo, è possibile porre in una luce più corretta certi aspetti dell'opera dell'artista americano che sono talvolta presi in considerazione, ma forse non abbastanza e non nel modo che meritano.


1. Trasmutare il visibile


Ho fatto cenno, più sopra, alla trasmutazione del visibile, definendola in questi termini: "cuore dell'opera di Rilke". Aggiungo adesso che questa trasmutazione è affidata unicamente all’essere umano, la cui interiorità è vista da Rilke come una sorta di laboratorio alchemico. Rilke è preciso, perfino categorico, al riguardo:
La terra non ha altra via di scampo che diventare invisibile; in noi, che partecipiamo dell’invisibile con una parte del nostro essere, noi che dell’invisibile possediamo almeno quote di partecipazione, noi che possiamo, durante la nostra esistenza quaggiù, aumentare il nostro patrimonio di invisibilità – solo in noi può compiersi questa intima e duratura trasformazione del visibile nell’invisibile, in ciò che non dipende più dall’essere visibile e tangibile, allo stesso modo che il nostro destino diventa in noi, continuamente, al contempo più presente e invisibile. *
Sono righe tratte dalla più famosa lettera di Rilke, quella sulle Elegie Duinesi indirizzata dal poeta, in data 13 Novembre 1925 (quindi un anno circa prima della morte), al suo traduttore polacco Witold von Hulewicz. Si tratta di una lettera importantissima, a metà tra mistica e filosofia, in cui il poeta offre una inusuale sistematizzazione del tema, affrontato in particolare nella Elegia IX. E ancora nella stessa lettera, Rilke usa questa significativa metafora delle api per definire l'essere umano:
Noi siamo le api dell’invisibile:Nous butinons éperdument le miel du visible, pour l’accumuler dans la grande ruche d’or de l’Invisible. *

Le Elegie Duinesi hanno avuto in realtà una genesi lunga e tormentata. Rilke compose le prime due elegie della raccolta, insieme ad alcune parti di altre, a Duino nel gennaio 1912, mentre era ospite nel castello dell'amica principessa Maria Hoenlohe Thurn-Taxis. Proseguì poi nella loro stesura con grande difficoltà e in modo frammentario per un decennio, finché nel 1922, in un subitaneo sblocco creativo, portò a compimento il resto delle dieci elegie, con l'aggiunta dei cinquantacinque Sonetti a Orfeo, in soli diciannove giorni.
Ciononostante, Rilke evoca a chiare lettere fin dalla Elegia I il compito della trasmutazione - compito "accanto al quale, sostanzialmente, non ne esiste un altro" * - sollecitando allo stesso tempo ogni essere umano ad assolverlo:

Primavere, sì, hanno avuto bisogno di te. Qualche
stella pretese che tu la sentissi. Si inarcò
un’onda da ciò che era stato, o quando
passasti e la finestra era aperta, a te
si donava un violino. Tutto questo era compito.
Ma tu l’hai assolto? Non te ne stavi distratto
ad attendere, quasi ogni cosa annunziasse
un’amata?
(…) **

Questa attenzione che dobbiamo alle cose sensibili non è tuttavia il risultato di una decisione puramente umana, poiché a sollecitarla costantemente sono in realtà le cose stesse, che sanno del nostro compito così come sanno che solo attraverso di noi possono compiere il loro passaggio a un "superiore rango della realtà". *
Si delinea così, passo dopo passo lungo tutto il corso delle Elegie, quale sia per Rilke il ruolo effettivo del poeta e della poesia nel mondo: il poeta, che opera con le parole, non ha solo da assolvere allo stesso compito della trasmutazione pertinente a ogni essere umano, ma deve anche descriverlo:
Le Elegie ci mostrano intenti a questa opera, all’opera in queste incessanti trasposizioni dell’amato visibile e tangibile nell’invisibile vibrazione ed eccitamento della nostra natura, che introduce nuove cifre di vibrazione nelle sfere di vibrazione dell’universo. *
Il poeta torna quindi ad acquisire il suo originario ruolo sacrale di ponte tra microcosmo e macrocosmo, visibile e invisibile, vita e morte, dicibile e indicibile, parola e silenzio.
Si tratta ancora, per lui, di dire le cose, ma "
così, che a quel modo, esse stesse, nell’intimo, mai intendevano essere". *


2. Svuotare l'io


Sono I Sonetti a Orfeo - coevi, come ho scritto, alla fase finale della composizione delle Elegie Duinesi - il sontuoso, straordinario, salottino d'ingresso all'ultima produzione poetica rilkiana, contrassegnata da un dire le cose sempre più all’insegna del linguaggio “negativo”. Si tratta di uno svuotamento della soggettività percepente o riduzione (e insieme farsi cosa tra le cose) dell'io che procede in parallelo alla trasmutazione della realtà percepita. L'esito primo è una spazializzazione dell’interiorità che diventa così teatro della rappresentazione di tutto il visibile. Da adesso è l'esistenza stessa delle cose a darsi come processo puramente interiore, una rappresentazione instabile, in perenne ritmico mutamento, che si crea dal vuoto nel vuoto (cfr. la costante, nei Sonetti, del tema della metamorfosi):

Lo spazio che attraversa l’impeto degli uccelli non è
lo spazio familiare che t’esalta la figura
(Là, in quella libertà, a te stesso sei negato
e non fai che sparire senza ritorno).
Lo spazio estrae da noi e traduce le cose:
perché ti riesca l’esistenza di un albero,
gettagli intorno parte di quell’intimo spazio
che abita in te. Da ogni lato contienilo.
Da sé non si delimita. Solo se gli dà forma
la tua rinunzia si fa vero albero***

Questo che si è appena delineato è l'approdo estremo della poetica rilkiana, che avviene sotto una duplice egida: da un lato della musica cinese – il gong come metafora del dire le cose finalmente nella loro vibrazione ultima – dall’altro dell’haiku giapponese, come linguaggio emblematico del dire le cose senza l’intervento della soggettività. (Per un approfondimento di queste a altre influenze orientali sulla poesia di Rilke, rimando chiunque sia interessato al bel saggio di Daniela Liguori, L’influenza del pensiero orientale in Rainer Maria Rilke).
La poesia adempie così finalmente – per il tramite di questa rinuncia a ogni distinzione tra oggettività e soggettività dell’esperienza vissuta (Erlebnis) – al suo compito di trasmutazione del visibile: la Terra è infine invisibile, infine salva al riparo dentro di noi, nel vuoto della sua origine.

1 - continua


* La prima elegia, in: Rainer Maria Rilke, Elegie Duinesi; Einaudi 1978. Trad. di Enrico e Igea de Portu.

** Lettera a Witold von Hulewicz, in: Rainer Maria Rilke, Poesie 1907-1926; Einaudi tascabili 2000, pagg. 644-646. A cura di Andreina Lavagetto.

*** Poesie sparse, 98 in: Rainer Maria Rilke, Poesie 1907-1926; Einaudi tascabili 2000, pag. 529. A cura di Andreina Lavagetto.

Commenti

  1. Interessante confronto, io personalmente non avrei mai pensato a questo tipo di accostamento.

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    1. A me è venuto spontaneo accostarli, dopo aver scritto post separati su di loro nel blog ed essermi reso conto che molte cose che scrivevo dell'uno potevano valere anche per l'altro. Spero di riuscire con la seconda parte del post, dedicata a Hopper, a rendere abbastanza chiaro il perché e il come.

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  2. Oh bello! Mai letto Rilke, anche se ho assolutamente intenzione di colmare la grande lacuna :P
    Sul rapporto micro e macrocosmo qualcosina so, ma riguarda ben altro autore e altro periodo storico. Vediamo dove ci condurrà questa tua analisi *__* Hopper!!!

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    1. Rilke, come forse avrai capito, non è un autore facile da approcciare, ma una volta che entri nel suo mondo diventa perfino cristallino. E leggere, per esempio, "I sonetti a Orfeo" può cambiare davvero il modo di guardare alle cose.
      Come ho scritto sopra a Nick, Hopper sarà protagonista della seconda parte del post *__*

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  3. Adoro Hopper e Rilke mi ha folgorata "parlandomi" da alcune incisioni (pensa un po') sulle panchine lungo un torrente impetuoso che taglia in due la cittadina di Merano. Sono una fruitrice distratta di entrambi, non ho mai approfondito nessuno dei due, mi lascio trasportare dalle sensazioni che la pittura dell'uno e i versi dell'altro mi sanno donare. Questa tua analisi è molto interessante, ti seguirò volentieri.
    Ah, quanto si impara da questi blog! :-)

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    1. Sai dirmi anche quali versi in particolare ti hanno folgorata?
      A me con Rilke è successo durante un reading di poesie dove ho ascoltato la Nona elegia. Era il 1991 e ricordo di aver pensato che non avevo mai sentito in vita mia nulla di più bello.
      L'incontro folgorante con Hopper invece non ricordo quando è stato, ma credo sia successo dopo il mio abbandono degli studi di pittura, altrimenti forse avrei continuato.
      Grazie per il tuo interesse, Luz! :-)

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    2. Impossibile ricordare, sono passati troppi anni. Erano versi brevi, probabilmente tratti da lunghi componimenti.
      Ho trovato questa in rete:
      E per il resto lasciatevi accadere la vita.
      Credetemi: la vita ha ragione, in tutti i casi.
      Non vi osservate troppo.
      Non ricavate conclusioni troppo rapide da quello che vi accade;
      lasciate che semplicemente vi accada.

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    3. Mmm... è la prima volta che leggo questa citazione. Sembrerebbe tratta da una scrittura privata, probabilmente una lettera.

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  4. Un confronto molto particolare, voglio leggerne ancora.
    Non ci avrei mai pensato. Rilke non mi fa impazzire, ma Hopper sì.
    E Franzetta lo adoro :p

    Moz-

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    1. "Franzetta" sarebbe l'abbreviazione di Frank Frazetta? ;D
      Hopper di sicuro è più immediato rispetto a Rilke, e usa un linguaggio più universale.
      A risentirci al seguito, dunque!

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  5. Anch'io ammetto che un accostamento del genere non lo avrei neppure ipotizzato, però in effetti ora che stai introducendo il tema comincio a scorgere il nesso tra la poetica di Rilke e il realismo trasfigurato di Hopper.

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    1. Hai colto bene il nesso, Ariano. Anche la poesia di Rilke può essere definita una forma di realismo trasfigurato.

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  6. Ho compreso dove vuoi portarci e ho già assaporato le parole che di Rilke ci hai mostrato poiché fondamentalmente sono molto vicine al mio modo di rapportarmi con il reale!
    Di Hopper ho una forte esperienza visiva, di Rilke non conoscevo nulla a parte il nome... di haiku ne ho scritti anche io quindi comprendo bene il contesto! :D

    Ciao Ivano!!

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    1. Ciao Alessia!!
      Sì, come ha scritto anche Ariano nel suo commento, a questo punto è intuibile il collegamento che ho inteso stabilire.
      E come sai, dal collegamento tra il brano di Eno e il racconto di Bradbury in Solve et Coagula, mi insegna molto fare di questi esperimenti. In ogni caso qui il discorso è molto più complesso e articolato.

      Sai che credo esista anche una Community di blogger scrittori di haiku?

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    2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    3. Mi pare di averla vista in giro qualche anno fa questa community, se stiamo parlando della stessa! Io avevo imparato a scrivere haiku e tanka (che personalmente adoravo per l'elemento di contrasto) sul blog/sito di una associazione cui partecipavo!

      Nel frattempo sono andata a cercare sul mio vecchio blog l'impressione che avevo colto su Hopper e ho trovato proprio il post che avevo scritto, minimalista al massimo :°D:
      http://ilrifugiodellio.blogspot.it/2011/09/edward-hopper.html

      Le sensazioni che vengono fuori dalla tua analisi, oltre ad essere molto più articolate sono in qualche modo più trascendenti come natura però credo collimino con il calore che ho avvertito io; è quella sostanza di base da cui un essere attento e percettivo non riesce a sfuggire, secondo me!

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    4. Ho letto il tuo mini post, anche se non ho potuto vedere il video perché è stato eliminato da youtube. Mi risuona molto la parola commozione. Anche a me la vista dei quadri di Hopper commuove... emana come un richiamo struggente dalle sue tele, verso qualcosa di ineffabile e dolcissimo.

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  7. Ciao Ivano sei un pozzo di cultura senza fondo... scrivi e trasportaci dove ti pare, chissà che non aumentino nel leggerti anche le mie connessione cerebrali ;-) Adoro Hopper.

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    1. Non so se ho questo potere, Anna Maria, forse mi sopravvaluti ma sono felice di sapere che anche tu ami Hopper.
      Sto lavorando adesso alla seconda parte dell'articolo, dedicata proprio al nostro :-))

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  8. Ed ecco il tuo re-edit che stavo aspettando!!!
    Complimenti, davvero interessante come confronto, purtroppo conosco poco Rilke, ma mi hai fatto venire una gran voglia di approfondire. Aspetto Hopper e non vedo l'ora di leggere la continuazione, così rileggerò tutto insieme!
    Buona notte...

    RispondiElimina
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    1. Ciao Arianna! Eh sì, questo è il re-edit di cui ti parlavo.
      Aspettavo, per avvertirti, di aver postato tutte le parti dell'articolo, ma ti sei fatta avanti da sola. Meglio così :)
      Su Rilke io condivido il giudizio espresso dalla grande poetessa russa Marina Cvetaeva: "Rilke non è un poeta, è la poesia stessa".

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