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The Pleasure of Pain II: Il Divin Marchese e il Conte immaginario, citazioni a confronto




Revisionato in data 29/10/2022

* * *


Max Ernst, Napoleon in der Wildnis (1941) 
Così si esprime il critico letterario Jean Paulhan (1884-1968) nel suo libro Le Marquis de Sade et sa complice ou Les revanches de la Pudeur (ed. it. Scritti inediti sull'opera di Sade, Longo, 1992):
Se Justine ha meritato d'essere la bibbia - almeno in una determinata epoca della loro vita - di Lamartine, di Baudelaire e Swinburne, di Barbey d'Auriville e di Lautréamont, di Nietzsche, di Dostoïevsky e di Kafka (o, su un piano leggermente diverso, di Ewerz, di Sacher-Masoch e di Mirbeau) è perché questo strano benché apparentemente semplice libro, che gli scrittori del XIX secolo hanno passato il loro tempo - senza quasi mai nominarlo - a esaltare, a mettere in pratica, a rifiutare, pone una domanda così fondamentale che non sono bastate le opere di un intero secolo a dare una risposta...*
Esisterebbe quindi, secondo Paulhan, un'influenza diretta di de Sade su Lautréamont, nonostante poi lui, nello stesso saggio, definisca entrambi loro come scrittori "primitivi", nel duplice senso di "privi di antecedenti" e di primi esploratori di una "intera provincia del regno dell'uomo". Una condizione, del resto, quest'ultima, che Sade aveva ascritto a sé in piena coscienza, consapevole com'era che nessuno degli autori che avevano affrontato il suo stesso genere di tematiche si era mai spinto così lontano e così in profondità a scandagliare le regioni più oscure della natura umana.
E' d'altronde vero che non sono solo le opere dei due scrittori a presentare delle affinità, ma le loro stesse parabole letterarie, pur negli evidenti limiti imposti dalla differenza di durata delle rispettive esistenze e dalla conseguente diversità di numero di opere comprese nelle loro bibliografie: settantaquattro anni di vita e una produzione sterminata per Sade, ventiquattro anni e un paio di opere appena per Lautréamont.

Intenzionati entrambi a tendere fino agli estremi limiti del possibile gli angoli della rete dei loro pensieri, così da non lasciare nulla di taciuto di ciò che è dicibile, ma anche decisi ad assestare un colpo mortale a ogni pretesa di ordine e di limite, a livello dell'individuo come della società, hanno entrambi concluso la loro carriera di scrittura con un'opera di riparazione, seppur vistosamente ambigua, verso tutto quel che avevano messo per iscritto in precedenza.
Con la voce e la solennità dei grandi giorni, io ti richiamo ai miei deserti focolari, gloriosa speranza. Vieni a sederti accanto a me, avvolta nel manto delle illusioni, sul tripode ragionevole dell'acquietamento. Come un mobile di scarto, t'ho scacciata dalla mia dimora, con uno scudiscio dalle code di scorpioni. Se desideri ch'io sia persuaso che hai dimenticato, tornando da me, i dispiaceri che, sotto l'indizio dei pentimenti, t'ho causato un tempo, perbacco, riporta allora con te, sublime corteo, - sorreggetemi, svengo! - le virtù offese, e le loro imperiture riparazioni.
Questa è la voce di Isidore Ducasse, ex Conte di Lautréamont, in un passo di Poesie, opera tesa a correggere, nelle intenzioni palesate dal giovane scrittore, non solo alcuni punti della sua opera precedente (I Canti di Maldoror) ma anche i "gemiti poetici" del suo secolo, che altro non sono, nelle sue parole, che "orridi sofismi".
Così invece si esprime il Marchese de Sade, nell'introduzione a La Marchesa di Gange, ultima sua opera pubblicata con lui in vita, nel 1813, anno precedente la sua morte:
E' troppo doloroso mostrare che un crimine rimane impunito, perché noi non correggessimo in qualche modo il destino, sicuri soprattutto di far piacere alle persone timorate e oneste. Esse ci saranno grate di non aver osato dire tutto, proprio per non far vacillare la speranza così consolante che coloro che insidiano la virtù finiscano a loro volta per essere infallibilmente puniti.
La correzione del destino a cui si riferisce in questo caso Sade è rappresentata da una variazione nel finale del fatto storico, reale, da lui rielaborato ne La marchesa di Gange. Mentre infatti, nella realtà storica, uno dei due attentatori alla virtù della marchesa, l'abate di Gange, muore tranquillamente di vecchiaia, e addirittura in odore di santità, lo scrittore lo fa morire sotto i colpi di un pugnale vendicatore.


Max Ernst, La tentation de Saint Antoine (1945) 


Ma se ho voluto accostare queste due citazioni è soprattutto perché in entrambe trovano posto le parole "speranza" e virtù". E, nel caso di quest'ultima, nel contesto di frasi di analogo significato.
Sade non era del resto neanche nuovo a simili esternazioni, come dimostra ciò che aveva scritto, oltre un decennio prima, a premessa de I criminali dell'amore:
Educare l'uomo e correggere i suoi costumi, questo è il solo scopo che ci siamo proposti con questi racconti. Che la loro lettura persuada della grandezza del pericolo che è sempre presente sotto i passi di coloro che credono di permettersi di tutto per soddisfare i loro desideri! Possano essi convincersi che la cultura, la ricchezza, le doti intellettuali e i doni di natura rischiano di portare fuori strada quando non siano sorretti e messi in valore dalla modestia, dalla buona condotta, dalla saggezza e dalla prudenza: queste le verità che vogliamo dimostrare. Ci perdoni il lettore i mostruosi dettagli degli spaventosi delitti di cui siamo costretti a parlare: d'altronde, come è possibile indurre a odiare simili traviamenti, se non si ha il coraggio di presentarli come sono?
Lo scusarsi della necessità di dover illustrare dettagli mostruosi per impartire lezioni di virtù era in realtà già da tempo un artificio usato da Sade, ma quella di questo esempio è, che io sappia, la prima in cui lui premetta alle scuse l'esplicita dichiarazione di voler correggere l'uomo e i suoi costumi. Ne La marchesa di Gange, tuttavia, il discorso si spinge oltre, poiché una volta che è l'eterno conflitto sadiano tra vizio e virtù a trasporsi quasi interamente sul piano psicologico, è la necessità stessa dell'artificio della scusa a venir meno. La virtù continua sì ad essere sconfitta come prima, ma cambia la morale: dove una volta il vizio trionfava perché conforme alla verità naturale, adesso trionfa per puro arbitrio dell'uomo o della sorte. Ed è comunque ogni volta un trionfo parziale, poiché la virtù offesa, a differenza di prima, finisce vendicata sia ne I criminali dell'amore che ne La marchesa di Gange.
Identica tattica utilizzerà, mezzo secolo dopo, Lautréamont, nella corrispondenza da lui intrattenuta con l'editore parigino Auguste Poulet-Malassis (1825-1878) allo scopo di risolvere la situazione di stallo in cui versava la pubblicazione dei Chants de Maldoror. Lautréamont si era rifiutato di apporre al suo testo gli emendamenti richiesti dall'editore Albert Lacroix (1834-1903), cui il giovane scrittore aveva già versato un anticipo sulle spese di stampa), e Lacroix, temendo le conseguenze legali, si rifiutava di mettere in vendita un'opera così estrema nei contenuti. Ecco allora cosa scrive, a sua giustificazione, Lautréamont a Poulet-Malassis nell'ottobre del 1869:
Ho cantato il male come hanno fatto Mikiewicz, Byron, Milton, Southey, A. de Musset, Baudelaire, ecc. Naturalmente ho un po' esagerato il diapason per fare qualcosa di nuovo nel senso di quella letteratura sublime che canta la disperazione soltanto per opprimere il lettore e fargli desiderare il bene come rimedio.
E ancora, il febbraio successivo, con il perdurare dello stallo:**
Sapete, ho rinnegato il mio passato. Ormai non canto che la speranza; ma, per farlo, occorre innanzitutto attaccare il dubbio di questo secolo (melanconie, tristezze, dolori, disperazioni, nitriti lugubri, cattiverie artificiali, orgogli puerili, maledizioni risibili ecc., ecc.). In un'opera che porterò a Lacroix i primi giorni di marzo [le future Poésies] isolo le più belle poesie di Lamartine, Victor Hugo, Alfred de Musset, Byron e Baudelaire, e le correggo nel senso della speranza; indico come si sarebbe dovuto fare. Al tempo stesso correggo sei pezzi fra i peggiori del mio maledetto libro. 
Max Ernst, L'habillement de l'épousée (1940)
Il "maledetto libro" è, naturalmente, I Canti di Maldoror. E Maldoror è personaggio di cui Lautréamont aveva descritto la malvagità e le scelleratezze esattamente come Sade aveva fatto con i suoi libertini filosofi.
Vi è in particolare un passo, nei Canti, in cui si accenna all'infanzia di Maldoror e alla  successiva sua scoperta dei propri talenti in questi termini:
Stabilirò in poche righe che Maldoror fu buono durante i suoi primi anni, quando visse felice; ed è fatto. Egli s'avvide in seguito d'esser nato malvagio: straordinaria fatalità! Dissimulò il suo carattere finché poté, per un gran numero d'anni; ma alla fine, per via di questa concentrazione per lui non naturale, ogni giorno il sangue gli montava alla testa; sino al punto che, non essendo più in grado di sopportare una vita simile, si buttò volutamente nella mala carriera... dolce atmosfera!
Termini, cioè, nient'affatto lontani da quelli di un passo de La nouvelle Justine in cui Sade così fa parlare il marchese de Bressac:
Credi forse che quand’ero bambino non avessi un cuore come il tuo? Ho lottato, ho elevato a princìpi i miei errori; e da quel momento ho conosciuto la felicità.
Bressac si rivolge in questo caso alla sua involontaria, e più che recalcitrante, allieva Justine, nel suo ennesimo quanto inutile tentativo di convincere la ragazza ad abbandonare le spine della virtù in favore delle rose del vizio. A tutti gli effetti vera nemesi maschile della sventurata Justine (la femminile è la Dubois), Bressac intrattiene al tempo stesso con la giovane donna un rapporto diverso da quello di tutti gli altri libertini che lei incontra sulla sua strada, fino a diventare una sorta di suo satanico angelo custode. Incapace di non provare, nel profondo del suo animo, una viva ammirazione nei suoi confronti, giunge al punto di toglierla dagli impicci in almeno un paio di situazioni per lei ad altissimo rischio, e perfino, in una terza occasione, a consigliarla sul modo di regolarsi con due libertini particolarmente pericolosi, Gernande e Verneuil:
...qualunque cosa capiti all'oggetto dei tuoi timori, bada di non parlarne a Gernande; il suo cuore di pietra è sordo agli slanci della sua generosità e potresti caderne vittima. E quando Verneuil arriverà, comportati bene con lui; sii gentile, premurosa, spiritosa; nascondi ogni stupido slancio del cuore. Gli parlerò bene di te; e l'averlo conosciuto potrebbe un giorno risultarti utile.
Fine della divagazione sui rapporti tra Justine e Bressac, che ci porterebbe troppo lontano approfondire più di così, e torniamo al nostro confronto letterario. E spingiamoci adesso indietro fino ai rispettivi punti di partenza de I Canti di Maldoror e de Le centoventi giornate di Sodoma. Un altro caso in cui si intravedono delle analogie, nel modo di porsi dei due scrittori nei confronti del proprio pubblico ideale.
Cominciamo dall'avvertenza ai lettori inclusa da Sade nell'introduzione alle sue Giornate:
Amico lettore, è giunto il momento di predisporre il tuo cuore e il tuo spirito al racconto più impuro che mai sia stato narrato dall'inizio dei tempi, non esistendo un'opera simile a questa né tra gli antichi né tra i moderni. Immagina che ogni godimento onesto o prescritto da quella bestia di cui parli continuamente senza conoscerla e che chiami natura, che tali godimenti, ripeto, siano volontariamente esclusi da questo racconto, e se per caso ne troverai, questo accadrà unicamente perché saranno accompagnati da qualche delitto o qualche infamia. Senza dubbio molte delle deviazioni che vedrai descritte potranno rivoltarti, lo so, e però altre sapranno eccitarti fino a farti perdere sperma, ed è questo tutto ciò che ci serve. Se non avessimo detto tutto, analizzato tutto, come avremmo potuto intuire quel che ti conviene? Sta a te prenderlo, tralasciando il resto; un altro farà altrettanto; per cui, progressivamente, tutti potranno trovare ciò che a loro conviene.

Ed ecco l'incipit del Canto Primo del Maldoror:
Voglia il cielo che il lettore, fattosi ardito e divenuto momentaneamente feroce al pari di ciò che legge, trovi, senza disorientarsi, la sua strada aspra e selvaggia, attraverso le paludi desolate di queste pagine oscure e pien di tosco; perché, a meno che non informi la sua lettura a una logica rigorosa e ad una tensione di spirito equivalente almeno alla sua diffidenza, i mortali effluvi di questo libro impregneranno la sua anima come l'acqua lo zucchero. Non è bene che tutti leggano le pagine qui seguenti; qualcuno soltanto gusterà senza pericolo quest'amaro frutto.
Lautréamont enfatizza com'è nel suo stile; Sade enuncia un dato di fatto. Ma usano entrambi, sebbene in modi opposti, uno stile parodistico: Lautréamont attraverso la pretesa di voler limitare la propria platea di lettori, Sade pretendendo di allargarla al mondo intero con la promessa che ciascuno nel suo libro troverà qualcosa che gli conviene. In quanto al resto... basta che lo tralasci. Come se con Le centoventi giornate di Sodoma questo fosse possibile!


Max Ernst, L'oeil du silence (1944)


Mi sono infine proposto, a chiusura di questa ricerca di affinità tra i due scrittori, di ricercare tra i personaggi di Sade il miglior antecedente diretto del personaggio Maldoror, e candido senz'altro al ruolo il presidente de Curval, uno dei quattro reggitori della Scuola di libertinaggio delle Centoventi giornate. Penso che questo paio di estratti dalla lunga descrizione che Sade fa di lui, possa dare sufficiente ragione della mia scelta:
Ormai prossimo ai sessant'anni, e straordinariamente consumato dalla dissolutezza, era pressoché ridotto a uno scheletro. Era alto, smunto, sottile, con due occhi incavati e spenti, una bocca livida e malsana, il mento prominente, un lungo naso. Villoso come un satiro, con la schiena piatta, le natiche molle e cadenti che parevano due luridi stracci abbandonati sulle cosce, aveva la pelle così indurita dalle frustate che si sarebbe potuto torcerla tra le dita senza che lui lo sentisse.
[...]
Curval era a tal punto immerso nel brago del vizio e del libertinaggio che gli era divenuto pressoché impossibile volgere ad altro il suo pensiero. Aveva sempre sulla bocca, come nell'animo, le espressioni più volgari, violentemente frammiste a bestemmie e imprecazioni dettate dalla più profonda ripugnanza che nutriva, a somiglianza dei confratelli, per tutto ciò che apparteneva alla sfera religiosa. Questo disordine mentale, accentuato dall'ebbrezza pressoché continua in cui amava rimanere, gli aveva conferito con gli anni un'aria di imbecillità e di ottundimento che a sentir lui era fonte delle più preziose delizie.
Certo Isidore Ducasse Conte di Lautréamont non poteva sapere del grande romanzo incompiuto di Sade, il cui manoscritto era sparito dalla scena del mondo quasi un secolo prima. A meno che proprio lui, Lautréamont, sia stato uno degli invisibili custodi che hanno traghettato l'opera creduta perduta dal XVIII al XX secolo. Ma questo è solo materiale per uno di quei thriller ambientati nel mondo dei libri che vanno per la maggiore adesso...


* * *


* Traduzione dal francese: mia.

** Le Chants de Maldoror saranno messi in vendita solo nel 1874, come opera postuma.

- Tutte le citazioni da Lautréamont sono tratte da:
  • Lautréamont, I Canti di Maldoror - Poesie - lettere. A cura di Idolina Landolfi. Edizioni BUR, 1995.
Ad eccezione delle due lettere a Auguste Poulet-Malassis, che provengono da:
  • Roberto Calasso, La letteratura e gli dèi. Adelphi, 2001.
- Le citazioni da de Sade sono tratte dai seguenti volumi:
  • François de Sade: La Marchesa di Gange (vol. I). Editoriale Corno; collana I jolly n.6, giugno 1966.
  • François de Sade: I criminali dell'amore. Editoriale Corno; collana I jolly n.9, luglio 1966.
  • Sade, La nuova Justine. GTE Newton Compton editori, 1992.
  • D.A.F. de Sade, Le centoventi giornate di Sodoma. ES, 1991.

Commenti

  1. E così proseguiamo nell'investigazione su De Sade e sullo scritto perduto...

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    1. Perduto e ritrovato in questo caso. A differenza, ahimè, di altre opere del Marchese, andate perdute sul serio.
      Il mio era solo uno spunto di trama per chi volesse cimentarsi in un nuovo "Circolo Dumas" ;-D

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  2. Come avevo scritto in un altro commento, ho sempre l'impressione che in effetti le "giustificazioni" iniziali di Sade siano solo un una presa in giro al lettore. "Presa in giro" nel senso che il lettore-tipo delle opere di Sade le intende come ironiche, una parodia delle premesse moraleggianti che erano tipiche nei romanzi del XVIII secolo.

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    1. Senza dubbio, Ariano. Ma l'"avvertenza" più clamorosa è probabilmente quella che Sade antepone a "La filosofia nel boudoir": "La madre ne prescriverà la lettura alla figlia" ;-D

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  3. Molto interessante il parallelismo fra i due autori che hai qui esposto, forse evidente per il loro lettore più attento e meno per quello occasionale. Vien da chiedersi come verrebbe considerato oggi Lautréamont se fosse vissuto di più e ci avesse lasciato più opere. Non lo sapremo mai, così come non sapremo mai se l'ipotesi che hai menzionato in chiusura del post possa rispondere a verità o meno.... ^_^

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    1. Sono contento che l'idea delle opere "in parallelo" ti sia piaciuta, Simona. Come pure la mia "tesi" sull'oscuro segreto di Lautréamont XD
      Penso poi che ogni volta che un genio muore molto giovane venga spontaneo chiedersi cosa sarebbe stato di lui e della sua opera se fosse sopravvissuto. Ma anche chi, come de Sade, ha avuto una vita lunga e ricchissima di opere, può talvolta lasciarci con il rimpianto di non aver potuto conoscere il contenuto di quella parte di sue opere andata perduta.

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  4. Caro Ivano ti stai comportando anche tu come De Sade e Lautréamont , con questo post ti stai giustificando per le scelleratezze e le mostruosita che scriverai nei tuoi prossimi articoli , non è vero?
    Ci stai mettendo in guardia!

    Su Lautréamont posso dire poco perchè c'è troppo poco su cui argomentare.
    Per quello che tu hai scritto posso solo immaginare questa giustificazione , questo redimere la virtù come un piano dei suoi intenti.
    Partendo da quello che avevo scritto sull'altro commento ( canto il male per suggerire all'uomo il bene) e alla luce di quello che hai scritto adesso non mi sposto poi tanto dalla convinzione che Ducasse volesse per così dire ne superare il maestro (se di maestro si può parlare) ne tanto meno emularlo.
    Non ho letto Lautréamont e di lui so solo quello che è stato scritto fin'ora , ne esce un ritratto sommario di un poeta /scrittore sicuramente affascinante ma a mio giudizio distante dalla filosofia estrema Sadiana.
    Quando avro' letto' le sue opere ( me la cavo con poco -son solo due?-) magari potrò argomentare meglio e confermare o meno la mia posizione.
    La sua "giustificazione " con l'editore Poulet-Malassis mi sembra più che altro un escamotage solo per essere pubblicato no?
    Con De Sade la penso un pò allo stesso modo.
    La differenza tra i due e che forse Ducasse ci credeva davvero nel voler insegnare il bene attraverso la mostruosità di Maldoror con il Divin Marchese ho i miei dubbi e non credo di sbagliarmi ;)
    Entrambi comunque volevano far conoscere al "mondo" le loro opere , ma probabilmente bisognava scendere a compromessi..
    Se penso alla vita di De Sade al suo essere rivoluzionario nell'estremo al carcere , agli anni di prigionia .
    Alla malattia e agli anni passati nel manicomio provo solopena e tristezza.
    Ne esce per me un ritratto di un uomo che ha pagato troppo per la sua intelligenza e per crimini che non ha mai commesso.
    Queste giustificazioni ... questa vendetta della virtù sul vizio ( poi proprio in una delle sue ultime opere)mi sembra tanto un espediente per far tacere tutti quelli che gli davano contro più che un vero sentimento.
    Sai un pò come immaginare De Sade su una tavola di legno di un galeone di pirati in un mare di squali punzecchiato da questi con le loro spade con la minaccia di gettarlo in pasto agli squali se non avesse confessato quello che loro volevano farsi dire.
    Come quei prigionieri torturati fino al limite che per avere la vita salva confessano quello che non hanno fatto.
    Complimenti.

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    1. Non so Max, la mia idea è abbastanza rovesciata rispetto alla tua. Sono più propenso a credere a un Lautréamont mentitore fino all'ultimo, mentre concedo un gradino in più di possibile sincerità a Sade. Ma credo che questo si vedrà meglio nei prossimi post. Ti invito quindi a seguire tutto il percorso e poi tirare le tue somme (che magari saranno diversissime dalle mie).
      Credo in ogni caso che su tutti i giudizi influisca molto, alla fine, il fatto che stiamo parlando di due scrittori che operano in ambiti letterari completamenti distinti: de Sade è un realista mentre Lautréamont si muove nel campo del fantastico. Oltre al fatto che Sade è stato davvero un libertino mentre non mi risulta che Lautréamont sia mai stato un serial killer.

      Un grande grazie per i complimenti!

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  5. Potresti tenere una lectio magistralis su de Sade e Lautréamont, senza ombra di dubbio! Peccato che alle università non ci siano cattedre su questa specifica materia. ;)

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    1. Ah ah! Credimi Cristina, che mi basta di vedere i miei articoletti letti e apprezzati :-)

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  6. L'incipit di Ducasse (ma anche, per certi versi quello di Sade) è una strategia di marketing attualissima che fa leva sul fascino del proibito per invogliare il pubblico a fare il contrario di ciò che gli si chiede. Non so se abbia un nome, ma io la chiamo strategia del "Non aprite quella porta".
    PS: davvero stupenda la trama thriller che hai suggerito nel finale....

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    1. Pare tra l'altro che sia una tattica molto antica... già utilizzata da Mosé nelle sue tavole della legge.

      P.S. Naturalmente si accettano ipotesi per tutta la fase intermedia, che va dalla morte di Lautréamont alla ricomparsa del manoscritto nel negozietto del libraio tedesco.

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