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Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta. Un'indagine sui valori /7



Alcuni decenni prima delle esperienze riportate da Robert Maynard Pirisig ne Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, e a migliaia di chilometri di distanza dai grandi spazi americani descritti nel libro, un italiano di nome Carlo Michelstaedter seguì un cammino per certi versi simile.


Carlo Michelstaedter, Autoritratto.
Nato a Gorizia il 3 giugno 1887 in una famiglia italiana ebrea, il giovane Carlo termina gli studi superiori nella sua città nel 1905 per poi iscriversi, come Pirsig, a una facoltà scientifica. Nel suo caso la scelta cade sulla Facoltà di Matematica e Fisica dell'Università di Vienna, che abbandona però già alla fine dell'ottobre dello stesso anno, per mettersi in viaggio verso Firenze. A spingerlo è il suo interesse per l'arte italiana che lo porta, strada facendo, a fare anche tappa a Venezia e poi alla Cappella degli Scrovegni a Padova.
Raggiunto il capoluogo toscano, Michelstaedter vi rimane e si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Istituto di Studi Superiori di Firenze, dove dà inizio alla sua immersione nella cultura dell'antica Grecia, in particolare quella filosofica, maturando però, allo stesso tempo, una radicale avversione per l'accademismo e la sistematizzazione della conoscenza:
...mi fa pena sentir parlare di lavori e di bibliografie e di studi ecc. Anzi più che pena - nausea. E penso che mai potrò aver quell'interesse storico (o scientifico?) esclusivo, quasi incosciente, che è alla base delle vaste erudizioni.*


Quella dello studente Michelstaedter è, in altre parole, un'attitudine a farsi, non filologo o storico della filosofia, ma filosofo tra gli altri filosofi. E ciò fin dal primo prefigurarsi in lui, nel corso dell'analisi di un'orazione di Cicerone tradotta da Brunetto Latini, dei due termini della dicotomia fondamentale che diverrà oggetto della sua tesi di laurea e ne costituirà il titolo: La persuasione e la rettorica. Tesi forse più presunta che reale, e sotto ogni aspetto minacciosa per la stessa Istituzione a cui era destinata, nelle cui aule non verrà comunque discussa. Almeno non allora.
Per dedicarsi alla sua stesura, Michelstaedter fa ritorno alla sua Gorizia nell'estate del 1909, tra le pareti di una stanza dove acquista la consapevolezza crescente di star dando forma a "una grande opera”. Al prezzo però, ai suoi occhi altissimo - oltre che paradossale, considerato i contenuti di quanto va scrivendo - di sostituire la finzione delle parole alla realtà della vita, che può soltanto consistere nell'ardere interamente in ogni istante con l'interezza del proprio essere. Pietra miliare della filosofia del Novecento, ma anche illimitato atto d'accusa contro ogni società convenzionalmente costituita, che progredisce solo a spese della regressione dell'individuo, La persuasione e la rettorica pone nelle sue pagine una domanda fondamentale: quando e come è successo che la civiltà occidentale abbia rinunciato alla pienezza della vita nella persuasione per trasformarsi nell'estenuato, esangue campo d'azione della retorica? La risposta a questa domanda, Michelstaedter lo aveva ben chiaro, si trovava nell'antica Grecia.


Alex Colville, Four Figures on Wharf (1952).


Come e quando si era persa per strada, nella storia e nel pensiero del mondo occidentale, l'idea della Qualità? Fedro, lo abbiamo visto al termine dello scorso post, nel tentativo di rispondere a questa domanda aveva ripercorso a ritroso la corrente della filosofia fino all'antica Grecia. E aveva finito per scoprire qualcosa che non gli era affatto piaciuto.

Allo stesso tempo studente e insegnante di Retorica (mentre studia all'Università di Chicago si guadagna da vivere insegnando a tempo pieno all'Università dell'Illinois), Fedro trovò per cominciare che la grammatica del vecchio mythos greco presupponeva una netta divisione naturale tra soggetti e predicati.

Che era esattamente il genere di separazione in cui lui aveva individuato la ragione prima del nostro problema con l’idea della Qualità. “Nostro” nel senso di “civiltà occidentale”.

Fedro ormai sapeva che la Qualità di cui parlava stava al di fuori del mythos. (...) Perché la Qualità è la generatrice del mythos. Come anche di tutto il resto, poiché la Qualità è lo stimolo continuo con cui il nostro ambiente ci spinge a creare il mondo in cui viviamo. Tutto il mondo, fino all'ultima molecola.

Non restava quindi altra scelta, per capire la Qualità, che abbandonare il mythos... secondo il quale le forme di questo mondo sono reali mentre la Qualità è irreale.

Un solo tipo di persona, disse Fedro, ha l'alternativa di accettare il mythos in cui vive o di rifiutarlo. E la definizione di questa persona, una volta che l'abbia rifiutato, è "pazzo".

Non si trattava però neanche di scambiare il mythos con il logos, perché quando la filosofia era a un certo punto subentrata al mito, il passaggio di consegne era avvenuto senza la modifica della separazione tra soggetti e predicati. Per cui tra mythos e logos… non c'è differenza di genere e nemmeno di identità, solo di sviluppo.

E' su questa base che Fedro arrivò a condannare i classici greci.


Leo von Klenze, L'acropoli e l'Areopago di Atene (1846).


Il Gorgia è il primo dei Dialoghi di Platone che gli è richiesto di studiare al corso di Retorica, ed è allora, davanti a quelle pagine, che Fedro ha la sensazione di essere arrivato alla meta.

Gorgia è il più celebre dei sofisti insieme a Protagora, e nel dialogo platonico che prende il suo nome è sottoposto, da parte di Socrate, al fuoco di fila delle Venti Domande della dialettica socratica.

Ma quelle di Socrate non sono vere domande, sono solo tranelli verbali, da lui tesi non al fine di comprendere la retorica, ma per distruggerla, o perlomeno per screditarla. L'arte di Gorgia finisce ridotta in pezzi dal coltello analitico di Socrate e Fedro riconobbe, in quei pezzi, le fondamenta dell'arte della retorica di Aristotele.

A Fedro la scelta di Aristotele, di posizionare la retorica così in basso nella scala gerarchica delle discipline, non piaceva neanche un po'. Come ramo della Scienza Pratica, la retorica non aveva nulla a che vedere con la Verità, il Bene o il Bello, se non quanto utili artifici dialettici. Nel sistema di Aristotele, quindi, la Qualità è del tutto scissa dalla retorica.

Ma già Platone aveva detto che la retorica non ha nessun legame con il Bene; anzi è il "Male". Dopo i tiranni, le persone che Platone odia di più sono i retori.

Per Platone, il solo mezzo che permetteva di giungere alla verità era la dialettica. Che Aristotele considerava invece utile solo per qualche scopo specifico: indagare sulle convinzioni dell'individuo, giungere alla verità sulle forme eterne e immutabili, le Idee platoniche.

Accanto alla dialettica c'era, per Aristotele, il metodo scientifico, o "fisico", mediante il quale si osservano i fenomeni fisici e si giunge alle verità relative alle sostanze, che non sono immutabili. E detronizzare la dialettica era per lui essenziale.

Anche Fedro ambiva a "detronizzare la dialettica", ma per un fine il più lontano immaginabile da quello di Aristotele, che lui detestava di cuore: voleva rimettere la Retorica sul trono che le aveva usurpato, con la sua forza maligna, la dialettica, che finge di cercare di capire l'amore, la bellezza, la verità e la saggezza, mentre il suo vero scopo è di abbatterle

E poiché, per riuscirvi, doveva capire meglio Platone, si mise a indagare i presocratici. Del cui pensiero Pirsig offre una rapida sintesi - dagli ionici agli eleatici fino a Socrate - a pagina 355 del suo libro:

Al principio immortale fu dato da Talete il nome di acqua. Da Anassimene, il nome di aria. I pitagorici scelsero i numeri, e furono quindi i primi a vedere il Principio Immortale come entità non materiale. Eraclito diede al principio immortale il nome di fuoco e sancì l'importanza fondamentale del divenire. Disse che il mondo esiste come conflitto e come tensione degli opposti. Disse che c'è l'Uno e che c'è il Molteplice , e che l'Uno è la legge universale immanente a tutte le cose. Anassagora fu il primo a identificare nell'Uno il nous, vale a dire la mente.
Parmenide fu il primo a chiarire che il principio immortale - l'Uno, la Verità, Dio - è separato dall'apparenza e dall'opinione umana. (...) E' qui che la mente classica, per la prima volta, abbandona le sue origini romantiche e dice: "Il Bene e la Verità non sono necessariamente la stessa cosa", proseguendo poi per la sua strada. Anassagora e Parmenide avevano un ascoltatore di nome Socrate, il quale portò le loro idee a piena maturazione.

E' l'inizio della dualità di spirito e materia, soggetto e oggetto, sostanza e forma. Divisioni che prima non esistevano, e non erano esistite per migliaia di anni, e che non sono che invenzioni dialettiche (...) fantasmi, dèi immortali del mito moderno che ci appaiono reali perché anche noi siamo dentro quel mythos. In realtà sono una creazione artistica, proprio come gli dèi antropomorfi che hanno sostituito.

L'odio di Platone per i retori - Fedro si rende conto adesso... era parte di una lotta molto più vasta in cui la realtà del Bene, rappresentata dal sofisti, e la realtà della Verità, rappresentata dai dialettici, erano impegnate in un enorme scontro per il possesso della mente degli uomini che sarebbero venuti dopo di loro. Vinse la Verità. Ecco perché oggi ci è tanto facile accettare la realtà della Verità e tanto difficile accettare quella della Qualità, benché non ci sia accordo né sull'una né sull'altra.


* * *


* Estratto di lettera citato in: Sergio Campailla, Pensiero e poesia di Carlo Michelstaedter. Pàtron Editore, Bologna 1973. Anche le note biografiche riportate nel post provengono in massima parte da quest'opera.

Nota: La seconda metà di questo post sintetizza le pagine 333-356 de Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, nell'edizione Adelphi (1981, 1990). Traduzione di delfina Vezzoli. Le citazioni dirette dal libro sono in corsivo.

L'immagine di apertura del post è: Maynard Dixon, Cloud (1940).

Commenti

  1. Carlo Michelstaedter l'ho studiato un po' all'università, però se devo essere onesto un po' controvoglia (ero pieno di libri da studiare e gli dedicai un'attenzione minima, per fortuna all'ultimo le dispense che lo riguardavano vennero tolte dai testi obbligati per l'esame e quindi le mollai del tutto).
    Anche se è piuttosto noto non conoscevo nulla de "Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta", mi ha sorpreso questo tuo accostamento con Michelstaedter vissuto parecchi anni prima.

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    Risposte
    1. L'accostamento tra Michelstaedter e Pirsig mi è venuto spontaneo per una certa somiglianza dei loro percorsi. Hanno cominciato entrambi con la scienza per poi scavalcare lo steccato del metodo scientifico e ritrovarsi nel campo aperto della filosofia. Hanno entrambi individuato nell'antica Grecia l'origine dei vizi fondamentali del pensiero occidentale, e pur se con termini diversi se non addirittura in certi casi opposti parlano della stessa cosa. La Qualità di Pirsig è il Buddha, il Persuaso di Michelstaedter è il Buddha. Per cui Persuasione e Qualità finiscono per coincidere.

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