Questo sito utilizza cookie di Google e di altri provider per erogare servizi e analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo agente utente sono condivisi con Google per le metriche su prestazioni e sicurezza, per la qualità del servizio, generare statistiche e rilevare e contrastare abusi. Navigando nel blog accetti l'uso dei cookie e il trattamento dati secondo il GDPR. Per maggiori dettagli leggere l'Informativa estesa.

Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta. Un'indagine sui valori /3



La seconda parte de Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta e la relativa parte di Chautauqua iniziano con la rievocazione della fase degli studi universitari di Fedro, i suoi due anni - dai quindici ai diciassette - trascorsi a studiare biochimica. E' allora che lui comincia a dare la caccia al fantasma della razionalità.

Il mutamento si verificò in Fedro quando, in seguito alla sua esperienza di laboratorio, incominciò a interessarsi alle ipotesi in quanto entità a se stanti. Aveva avuto più volte occasione di notare che la formulazione delle ipotesi, che potrebbe sembrare la parte più difficile del lavoro scientifico, era invariabilmente la più facile. (...) Mentre verificava l'ipotesi numero uno col metodo sperimentale gli veniva in mente un'altra fiumana di ipotesi, e così verificando queste ultime. Alla fine gli parve fin troppo evidente che, col proseguire delle verifiche, il numero delle ipotesi non diminuiva, anzi andava via via aumentando.

Nessuno degli interlocutori di Fedro sembrava davvero coinvolto dal problema che lo lasciava tanto perplesso. "Sappiamo che il metodo scientifico è valido quindi a che pro indagare sull'argomento?" sembravano dire. Fedro non capiva il loro atteggiamento, non sapeva come reagire, e dato che non si era consacrato alla scienza per motivi personali o utilitaristici, rimase bloccato.

A diciassette anni fu espulso dall'Università. Ragioni ufficiali: immaturità e scarsa applicazione.

Ma Fedro arrivò a vedere la propria sconfitta come una fortunata rottura, una fuga accidentale da una trappola che gli avevano tesa, e da allora fu sempre molto attento a sfuggire alle trappole tese dalle verità stabilite.

Seguono, alla fortunata rottura, due anni di vita militare in Corea e i primi contatti di Fedro con la cultura orientale.

Poi, sulla via del ritorno in America, legge il libro più difficile in cui si sia mai imbattuto, The Meeting of East and West di F.S.C. Northrop. Il libro descrive la coesistenza, nell'ambito umano, di un fattore teorico prettamente occidentale e un fattore estetico squisitamente orientale. Il primo corrisponde per Fedro alla sua esperienza di laboratorio, il secondo alla sua esperienza in Corea. Mentre i due termini 'teorico' ed 'estetico' corrispondono a quello che più tardi avrebbe definito visione classica e visione romantica della realtà.

Fedro non capì bene le conclusioni di Northrop, ma capì una cosa: le domande che si era posto sull'infinità delle ipotesi non avevano suscitato l'interesse della Scienza perché non erano domande scientifiche. La scienza non può studiare il metodo scientifico senza incappare in un circolo vizioso che distrugge la validità delle sue risposte. Si era imbattuto, in altre parole, in qualcosa che per chi studia la storia del pensiero è, o dovrebbe essere, una constatazione banale ma che sfugge agli scienziati e alla quasi totalità delle altre persone: la scienza, lungi dal costituire l'universo del sapere, è una branca della filosofia. E tornò all'Università, ma stavolta per studiare filosofia.

Io mi imbattei nella stessa scoperta all'incirca alla stessa età di Fedro. Per tutte le medie inferiori mi ero dibattuto tra la scelta di coltivare la mia passione per il disegno o quella per le scienze naturali. Tra iscrivermi cioè a una scuola d'arte o al liceo scientifico. Alla fine scelsi la prima opzione, ma fu una decisione sofferta. E continuai in ogni caso a coltivare a parte la mia passione per le scienze (naturali ma non solo), attraverso riviste (soprattutto "Le scienze") e manuali vari.

La differenza con il libro è che a traghettarmi dalla scienza alla filosofia non fu, nel mio caso, un'opera di Northrop, ma Così parlo Zarathustra di Nietzsche, che per primo scalfì le mie granitiche certezze.

Attraverso gli immani interrogativi sulla realtà e sul sapere erano passati grandi personaggi, alcuni dei quali, come Socrate, Aristotele, Newton e Einstein erano universalmente noti, ma molti altri erano pressoché sconosciuti. Fedro li studiò e si appassionò sempre più al loro pensiero e alle loro costruzioni teoriche. Seguì le loro tracce attentamente finché non persero di interesse e allora li abbandonò.

All'inizio Fedro rimase elettrizzato dalla metafisica kantiana, ma poi essa cominciò a perdere il suo fascino senza che lui ne capisse il perché. Ci pensò e decise che forse era a causa delle sue esperienze in Oriente. (...) La bruttezza sembrava parte integrante del mondo kantiano. Non era solo una bruttezza da diciottesimo secolo o una bruttezza "tecnica". Emanava da tutti i filosofi che stava leggendo. L'università intera ne era impregnata. Era dentro di lui e lui non sapeva come e perché. Era la ragione stessa a essere brutta e sembrava non ci fosse modo di districarsene.

Nietzsche disgregava le mie certezze ma non sembrava avere molto da offrirmi in cambio. Mi colpì tuttavia profondamente una parte di un suo libro, che adesso non saprei dove ricercare e cito a memoria. Sosteneva che vi era stato molto presto, nella storia del pensiero occidentale, un abbassamento di livello coincidente con il passaggio dal pensiero dei Presocratici a quello di Socrate. E che tale discesa era avvenuta in contemporanea a un equivalente scadimento della tragedia greca, con il passaggio da Eschilo a Sofocle prima e Euripide poi. Qualcosa di analogo enuncia, da qualche parte, lo stesso Platone: l'era dei Sapienti era tramontata ed era cominciata, al suo posto, l'era dei filosofi, degli amici della sapienza. E dei filodossi, gli amici dell'opinione, ma questo è un altro discorso ancora.

Ecco, quest'affermazione di Nietzsche mi aprì una strada completamente nuova. Mi comprai il "Diels-Kranz" nell'edizione italiana Laterza: Presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di Gabriele Giannantoni, e mi ci immersi.

Quando Fedro poi, all'inizio degli anni '50, si traferì in India, per studiare filosofia orientale all'Università di Benares, visse una seconda, più lunga esperienza in Oriente.

Arrivò in India scienziato empirista e ne partì scienziato empirista, non molto più saggio di quanto fosse al suo arrivo. Comunque aveva registrato moltissime impressioni e acquisito una specie di immagine latente che più tardi gli parve connessa con molte altre.

Fedro non si dedicò mai alla meditazione, perché per lui non aveva significato. Per tutto il tempo che rimase in India, per lui il significato ultimo era sempre la coerenza logica. Credo che questo torni a suo merito.

Tornato in America, Fedro si dedicò all'insegnamento universitario, che gli ripugnava, perché contrario al suo stile di vita, solitario e isolato. Insegnò a Bozeman, nel Montana, nel mezzo di una faida in corso tra Repubblicani e Democratici. Il governatore dello stato, un Repubblicano, aveva stilato una lista di cinquanta sovversivi e tagliato i fondi al college, il cui rettore era un democratico.

Il livello degli studi accademici si ridusse a zero. Una legge aveva già negato al college il diritto di rifiutare l'ammissione a qualsiasi studente al di sopra dei ventun anni, che avesse o no un diploma di scuola superiore. Adesso una seconda legge infliggeva al college una multa di ottomila dollari per ogni studente bocciato: era, di fatto, l'ordine di promuovere tutti gli studenti.

Fedro cercò di opporsi a questa deriva e per spiegare le sue motivazioni agli studenti che temevano di perdere, a causa di questa opposizione, il riconoscimento accademico, elaborò il concetto di "Chiesa della Ragione". Come l'edificio di una chiesa non è la Chiesa, spiegò ai suoi studenti, così la vera Università non è un'istituzione ma una condizione mentale: il corpo della ragione stessa che si perpetua

Fedro era considerato una specie di agitatore, ma non venne mai censurato in modo proporzionale al grado di agitazione che provocava. Quello che lo salvò dalla collera di chi lo circondava fu in parte la sua riluttanza ad offrire un qualsiasi appoggio ai nemici del college, ma anche il fatto, che i colleghi riconoscevano a malincuore, che tutto questo suo agitarsi era giustificato in ultima istanza da una missione alla quale essi stessi non potevano sottrarsi: il compito di parlare in nome della verità razionale.

Questo sembra in contraddizione con la mancanza di fede nella ragione scientifica che lui aveva manifestato durante gli anni della ricerca in laboratorio, ma è una contraddizione solo apparente. Era proprio la sua mancanza di fede nella ragione che spingeva Fedro a sostenerla con tanto fanatismo.

Siamo ormai quasi al finale della seconda parte del libro ed è questo punto che Pirsig rende finalmente nota la connessione tra il nome del fantasma della sua passata personalità e l'ascoltatore di Socrate nel dialogo di Platone. E' durante una visita a Robert De Weese, un suo vecchio collega di università che ancora insegna a Bozeman.

Fedro - spiega all'amico e agli altri astanti Pirsig - era un antico greco... un retore... uno dei più grandi del suo tempo. Quando si stava inventando la ragione lui c'era. I retori dell'antica Grecia furono i primi professori del mondo occidentale. Platone li calunniò in tutte le sue opere per tirare acqua al suo mulino, e poiché tutto ciò che sappiamo di loro ci è tramandato quasi interamente da lui, si dà il caso che la storia ci abbia tramandato la loro condanna senza dar loro la possibilità di difendersi. 

E' un passo di grande importanza perché prepara il terreno a ciò che arriva nella parte successiva del libro. Come fa, poche pagine dopo, la descrizione di una rimembranza di Fedro al momento in cui visita le aule e i corridoi del suo vecchio luogo di insegnamento, e si trova davanti a una porta che si apre sull'ufficio di Sarah. Che una volta, di transito nel suo ufficio, gli disse: "Spero che ai suoi studenti insegni la Qualità". 

Fu in quel momento che cominciò tutto. Quello fu il germe di cristallizzazione. Analogo a quello, ricorda, a cui aveva assistito una volta negli anni del laboratorio, mentre lavorava a una soluzione soprassatura.


* * *

Per le citazioni (in corsivo nel post): Robert M. Pirsig, Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta. Adelphi 1981, 1990. Pag. 99-183. Traduzione di Delfina Vezzoli.
 
L'immagine di apertura del post è: Alex Colville, Ocean Limited (1962, detail).
Clicca l'icona a lato per la visualizzazione intera.

Commenti

Post popolari in questo blog

Non ho dimenticato... Alessandro Momo /2 di 2

Non ho dimenticato... Alessandro Momo /1 di 2

10 serie a fumetti che hanno scandito i miei anni '70

Vikings S03 E07-10: La presa di Parigi

Il libro azzurro della fiaba - I sette libri della fiaba Volume 1

Sette opere d'arte per sette poesie

I misteriosi Quindici