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Solve et Coagula - Nota al Capitolo 5 /3: Oltrememorie




Il prossimo ospite (sarà per caso che si tratti anche stavolta, come per Csáth, di un suicida, di una suicida per l'esattezza?) è Marina Cvetaeva (1892-1941). In realtà, per le sue tematiche, avrebbe potuto benissimo trovare posto nella precedente parte della Nota: Giocare all'amore, giocare alla morte, ma il risultato sarebbe stato un post sovraccarico, troppo lungo e troppo denso.

Marina Cvetaeva è conosciuta, si può dire per consenso unanime, come una delle massime voci liriche del Novecento, ma anche le sue pagine di prosa sono da considerarsi fra le più alte di quel secolo. Ne sono un esempio i sei racconti autobiografici sugli anni dell'infanzia, raccolti in italiano in un volumetto rilegato dal titolo Il diavolo.
Tra questi sei racconti risalta poi su tutti, a mio avviso, l'ultimo e il più lungo, La casa vicino al Vecchio Pimen, che occupa ben cinquanta pagine delle centocinquanta complessive del volume. Ed io posso riportarne solo una minima parte! La mia scelta è allora obbligata, e cade su due brani, stupendi, dedicati rispettivamente ai due fratelli Sereža e Nadja, morti in giovane età, e a poca distanza l'una dall'altro, di tubercolosi. (Anche in questo caso ho scelto, per praticità, di assegnare al brano un titolo inesistente nell'originale).

Fratello e sorella

Marina Cvetaeva

1. Su Sereža:

Christian Schloe - Weltenwanderer
Quando inoltro sempre più la testa nel passato, cercando di accertare di cogliere chi sia stato il primo che ho amato, il primissimo, nella primissima infanzia, nella pre-infanzia - e mi dispero, poiché risulta che prima del primissimo (l'attrice giovane nelle Allegre comari di Windsor) ce n'era stato un altro ancora più primo (una bambola verde in una galleria), e che questo primissimo era stato preceduto da un altro ancora (una sconosciuta signora agli stagni del Patriarca) e così via (però in un'altra lontananza!) - quando risulta che, secondo le parole del poeta:

Ho gettato sguardi in così tanti occhi
Che per sempre ho dimenticato
quando amai per la prima volta
non amai - quando?


- e io stessa mi trovo nella ininventariabile condizione di chi ha amato fin dalla nascita, - prima della nascita: di chi ha subito iniziato dal secondo, ma forse dal centesimo... nella condizione di una continuazione senza inizio, nella condizione di un'innata continuazione... Ma questo periodo verbale, per la sua stessa intima infinità, non può avere una fine.
In effetti, c'è la testimonianza di mia madre circa un impetuoso amore che a due anni provai per lo studente dagli occhi e dalla pelle scura Ajnalov, ma quest'amore io non lo ricordo, e inoltre, come poteva sapere mia madre che quello fosse il primo, come poteva garantire che tra le braccia della balia io non ne avessi già desiderate altre, non le sue? (Se ci sono cose che non finiranno mai, che esisteranno sempre - e queste cose ci sono, e tutti le sanno - è altrettanto legittimo che ci siano cose che non sono mai iniziate, che siano sempre esistite.) Ma adesso che mi sono così fortemente immedesimata in Sereža, anche per quell'emozione che lui, da me evocato, evoca in me, comincio a cedere - sono proprio sull'orlo della convinzione - che il primo essere vivo di sesso maschile che io amai, fu lui.
Mi vedo, bambina paffuta di quattro anni, restare per ore in assoluto silenzio accanto a Sereža, guardandolo mentre nel ripido pendio della montagna scava una scala che dall'Oka porti alla nostra dacia. E quando una volta Augusta Ivanovna, irritata da tale insistenza e fermezza - era impossibile spostarmi dal gradino che Sereža stava scavando: "Ma cos'è che continui a guardare questa Treppe? Non ha proprio niente di così interessant!" - io, dopo aver sospirato fin dal profondo delle viscere: "Guardo i suoi pantaloni azzurri...". Azzurri? Non so. Allora era un liceale e i liceali li avevano grigi. Oppure, d'estate, di tela cruda, grezza. L'azzurro dell'Oka? Dell'amore? Però la parola e la sensazione: "azzurri" - le ricordo.
Ma qualcosa ancora affiora, anteriore? posteriore? "Sereža e Nadja" - non gli Ilovajskij, ma altri, non il fratello Sereža e la sorella Nadja, ma altri, con un altro legame.

2. Su Nadja:

Christian Schloe, Moth Princess.
[Dopo la sua morte] Nadja non la vidi mai, per quanto invocassi, per quanto implorassi, per quanto mi appostassi - a tutte le curve del corridoio voltando la testa come una giraffa ad ogni apparente rumore, anche leggero; per quanto m'immobilizzassi - impalata come un segugio che punta - sempre sulla stessa radura della nostra passeggiata quotidiana, mentre le altre giocavano a palla; per quanto furtivamente mi radicassi nella parete tra i due armadi che ora lei avrebbe oltrepassato; per quanto spiassi, da dietro una propizia cortina d'incenso, nella fila delle lignee vergini sensate e insensate, sette volte centenarie, e, ancor più insistentemente, balzando fuori dai miei stessi occhi - nei promettenti tendaggi della Fremdenzimmer [parlatorio]... dalla soglia della Fremdenzimmer, dal letto della Krankenzimmer [infermeria], in tutto ciò che si muoveva, in tutto ciò che sembrava - in ogni silenzio - in ogni risonanza - di soppiatto - di sorpresa - autoaffermandomi - disincarnandomi...
Con gli occhi Nadja non la vidi mai.
In sogno - sì. Sempre lo stesso sogno: io arrivo, lei è appena andata via, io la seguo - lei se ne va, la chiamo - si volta sorridendo, ma prosegue, voglio raggiungerla - non riesco.
Ma i segni - c'erano. Durante la passeggiata, il profumo del negozio di fiori, che subito risuscitava la battaglia dei fiori e lei, un fiore. Una nuvola con il rossore delle sue guance. Persino un brodoso caffè d'orzo, prima che ci versassero il latte, - aveva l'oro dei suoi occhi. I segni - c'erano. L'amore ne troverà sempre. Tutto era un segno.
Forse, nella mia narrazione non si riuscirà a vedere l'essenziale: la mia tristezza. Allora lo dirò, questo amore era - tristezza. Una tristezza mortale. Desiderio della morte - per incontrare lei. L'insopportabile "adesso" dei bambini! E se qui non si può - allora non qui. Se da vivi non si può - allora - "Morire per vedere Nadja", così  suonava, più certo di due per due, certo come "Padre nostro", così dal sonno avrei risposto alla domanda: che cosa desideri più di tutto? E poi? Poi - nulla - tutto. Vederla, guardarla. Guardarla sempre. Ed è strano: io che ero così impietosa nell'apprezzamento del mio aspetto esteriore, io che mi vergognavo così tanto della mia bruttezza di fronte alla sua bellezza (e a quella di Sereža - e di chiunque), neppure per un attimo dubitai: "E se poi Nadja, così bella, dopo avermi vista, brutta, e per di più piccola - non mi volesse?". Come se già allora io sapessi il verso di Goethe:

O lasst mich scheinen, bis ich werde [Oh, lasciami risplendere, finché non mi realizzerò]

- e che werde, mi realizzerò là ad immagine della mia anima, cioè simile a Nadja, e anche se non succedesse, anche se rimanesse il vecchio involucro...

Und diese himmlischen Gestalten
Sie fragen nicht nach Mann und Weib [E queste apparizioni celesti / Non domandano se è un uomo o una donna]
Christian Schloe, Deep sleep.
...Perché non era Sereža che amavo? Il confessato amore della mia prima infanzia? Perché mi rassegnai alla sua morte, l'accettai - come tutti?
Ma perché Sereža stesso si era rassegnato, e Nadja - no.
Ma perché Sereža non voleva più vivere, e Nadja - sì.
Ma perché Sereža era morto del tutto, e Nadja - no. Se n'era andato là del tutto, con tutto quello che c'era in lui, e Nadja non si era separata da tutto quello che in lei viveva, che in lei batteva! era rimasta del tutto. E forse, anche perché per Sereža già così tanto soffriva sua madre, mentre per Nadja - nessuno mai soffrì come me (lo confermo anche adesso). Cara Nadja, che cosa volevi da me? Dei versi? Ma allora i miei versi erano infantili, per di più - in tedesco...
Perché seguivi proprio me, perché apparivi a me - proprio a me tra tutti quelli che solo poco prima ti avevano seguita e circondata?
Forse, cara Nadja, tu, dopo aver visto di là tutto il futuro, seguendo me, una bambina, - seguivi il tuo poeta, quello che ti risuscita adesso, quasi trent'anni dopo.

* * *


Viro adesso, ancora una volta, di tono. E torno a Occidente. A un passo da casa per l'esattezza. Perché chiuderò questa breve rassegna libraria citando il racconto di un'infanzia vissuta proprio nella mia città, Firenze.
Memorie lontane dell'avvocato fiorentino Guido Nobili (1850-1916) è ambientato tra Piazza Indipendenza e la località dell'Impruneta (situata a circa dieci km. da Firenze in linea d'aria), e racconta la fulminea e intensa storia d'amore tra l'autore, che allora aveva nove anni, e una bambina di nome Filli. L'anno è il 1859.
In questo estratto, vicino al finale del romanzo, Guido è appena tornato in città dalla villa dell'Impruneta dove ha trascorso le vacanze estive.

Memorie lontane

Guido Nobili

Studia, progetta, combina fra me stesso per potermi riavvicinare a Filli, una mattina, finalmente, con la scusa di portar fuori un cane da caccia, comprato in quei giorni dallo zio Cesare, potei uscire, e, non importa dirlo, andai subito a dare una passata sotto le finestre di Filli. Anche da quella parte tutto era come prima; ma né Filli, né Giacomo; né sua madre, né suo padre, si facevano vivi. Mentre stavo lì melenso a guardare porta e finestra, uscì la loro donna di servizio. Mi si allargò il cuore.
Mi salutò, ed io mi feci ardito di fermarla per domandarle:
- I vostri padroni stanno bene?
- Stanno bene; ma io non sto più con loro; sono rimasta colla nuova affittuaria del quartiere ammobiliato, che è una vecchia signora inglese; loro fino dal primo del mese sono andati a stabilirsi a Prato.
Bumh!!! Un'archibugiata carica a veccioni, che tirata dappresso investisse un miserello scricciolo saltellante nella macchia, avrebbe fatto meno strazio del suo corpo di quello, che fece dell'anima mia la inaspettata notizia.
La capinera, che trovi il suo nido disertato dalla serpe; una madre, che d'un subito si veda spirare la sua creatura sana e vegeta fra le braccia, possono aver provato quanto provai io in quel momento. Sentivo come un artiglio di ferro, che nel petto cercasse di strapparmi i visceri.
Corsi via come pazzo, andai a rimpiattarmi nel luogo più appartato di tutta la casa mia... e piansi; piansi tanto!
Da quel giorno non vidi più Filli, né seppi nuova di lei. Solamente qualche anno dopo, non ricordo da chi, mi fu detto che era stata sposa di un ufficiale di cavalleria.
Mezzo secolo, e più, è passato; una selva di anni si è messa di mezzo fra quei giorni d'amore e di dolore, e l'oggi; ma l'immagine di Filli, chiara, colorita e fulgente, è sempre viva nella mia memoria e nel mio cuore.
Ho vissuto anch'io; sul lungo cammino della mia vita ho incontrato delle donne; ma il giuoco dell'amore non era più quello; era cosa tutt'affatto diversa, e troppo più meschina. Era la prosa rude! L'eterea poesia, la pura fiamma, l'innocente affetto, il sublime della tenerezza dell'anima mia si erano ormai precocemente consumati sull'altare di Filli.

* * *


E per finire, a sigillo del trittico, propongo una canzone che si sposa alla perfezione con il tema dell'articolo. Quale miglior chiusura, infatti, per un articolo dedicato alla sovranità, e alla sua perdita, di un brano vocale pervaso dal nostalgico richiamo di un regno perduto e intitolato proprio Il mio regno? E' una delle prime canzoni composte da Luigi Tenco (1939-1967) e si trova inclusa nel suo album di esordio (1962).
Con lui è anche salito a tre il numero dei morti suicidi di questa Nota, d'accordo, ma non era qualcosa di calcolato in anticipo. Semplicemente, è andata così. Buon ascolto!

Il mio regno

Luigi Tenco



* * *

Note e crediti

Marina Cvetaeva, Il diavolo. Editori Riuniti, 1981. Traduzione di Luciana Montagnani

Guido Nobili, Memorie lontane. Sellerio, 2003.

L'immagine di apertura del post è: Caspar David Friedrich, Il monaco in riva al mare (1808-10).



Commenti

  1. Davvero molto bella questa serie di post sul tema dell'infanzia, in quella specifica angolazione.
    Oh, se non m'avessero detto mai che le fiabe son storie non vere, ora là io sarei: credo sia una chiusa perfetta.

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    1. Grazie Glò :))) E tiro un sospiro di sollievo... temevo mi scrivessi che ti ho offerto altri titoli di libri da leggere X-D

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    2. Mi vergogno, e taccio ^_^ ma prendo nota! XD

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  2. "- e io stessa mi trovo nella ininventariabile condizione di chi ha amato fin dalla nascita, - prima della nascita: di chi ha subito iniziato dal secondo, ma forse dal centesimo... nella condizione di una continuazione senza inizio, nella condizione di un'innata continuazione..." questo è il concetto del tempo che non ha inizio né fine!

    Complimenti per il post accuratissimo e ricchissimo di spunti. Le immagini che hai inserito sono splendide, per caso sei ricercatore iconografico di professione o semplicemente ami l'arte e la pittura?

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    1. Secondo me anche il concetto della vita che non ha inizio né fine. Secondo i mistici non c'è infatti né nascita né morte.

      Grazie per i complimenti. Purtroppo devo dirti che con questo post si concludono le Note ai capitoli di Solve et Coagula. Finché mi limitavo a ripubblicare le parti di storia già apparse nel Dedalo delle storie avevo tempo da dedicare anche alle note, poi ho dovuto concentrarmi completamemte sulla scrittura degli inediti.
      E magari mi pagassero per cercare immagini! Ahimè, sono un semplice appassionato...

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    2. Sono d'accordo con te, e anche con i mistici. Per me il tempo non esiste, di conseguenza non ci può essere un inizio (nascita) e una fine (morte), ma stadi diversi di esistenza, passaggi e trasformazioni. Di conseguenza mi sembra inutile affannarsi.

      Peccato per le Note ai capitoli, ma capisco quanto siano impegnative da farsi.

      Comunque saresti un ottimo ricercatore iconografico. Come sai sono editor per la scolastica in lingua inglese e francese, ma sono anche ricercatrice, cosa che mi piace moltissimo.

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    3. Eventualmente, se i tuoi datori di lavoro fossero alla ricerca di un collaboratore, sai dove trovarmi ;-)

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    4. Sull'inutilità di affannarsi c'è anche questo brano di Henry Miller:
      "I nostri giovani di anni guardano con occhi offuscati e confusi: sono pieni di timori e paure. Il pensiero che li ossessiona giorno e notte è: Chissà se questo mondo non sarà distrutto prima che noi si sia avuta la possibilità di goderlo? E non c’è nessuno a dirgli che anche se il mondo dovesse essere distrutto domani o dopodomani, ciò in realtà non avrebbe nessuna importanza – poiché la vita che essi bramano di godere è indistruttibile".

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    5. @commento 24.05 h. 20:00: eh, purtroppo le case editrici stanno spremendo come dei limoni i ricercatori già esistenti.
      @commento 24.05 h. 21:14: bellissima citazione! Grazie di averla riportata.

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    6. Purtroppo so fin troppo bene come funziona il meccanismo, avendo lavorato per una casa editrice per più di quattro anni, prima che la crisi la mandasse al tappeto.

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    7. Peraltro spremono come dei limoni anche gli esterni (di cui faccio parte). Se il loro scopo era quello di accopparmi con la produzione dell'anno scorso, devo dire che c'erano quasi riusciti. Mi ha salvato solo la papaya liofilizzata...

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