Solve et Coagula - Pagina 32
Capitolo 3 - parte 7
Sulla via di casa, poi, Luisa raccontò al suo compagno
d’auto tutta la storia, a cominciare dalla strana coincidenza del libro fino al
colloquio avuto con Giulia, e gli chiese un parere.
«Era sicuramente una delle feste
potlatch organizzate dal Diavolo» commentò lui, lasciandola a dir poco
esterrefatta.
«Una festa cosa?» esclamò Luisa «E cosa c’entra il
diavolo?».
Il ragazzo rise, poi iniziò a spiegare: «Il Diavolo era
il soprannome di un tipo un po’ bizzarro che aveva un negozietto di
chincagliere in centro. Girava il mondo facendo incetta delle cose più strane,
poi le rivendeva. Faceva sempre anche in modo che i suoi viaggi fossero più
avventurosi possibile e, alla fine, più che un commerciante si
considerava una specie di antropologo o di sciamano, a seconda del punto
di vista che sceglieva di adottare sul momento. In quanto all’appellativo di
Diavolo» aggiunse «gli derivava dal fatto che nel suo negozio era sempre
circondato da un mare di articoli da stregoneria, non certo perché fosse un
tipo malvagio. In realtà, non avrebbe mai schiacciato volontariamente
neppure una zanzara».
«Perché ne parli al passato?» chiese Luisa.
«Perché è passato. Un annetto fa, il
suo ultimo viaggio gli è costato la vita. Dalle parti del Nepal, mi pare».
«Mi dispiace» commentò Luisa. E in qualche modo, per
qualche ragione, le dispiacque veramente.
«Be’, era sempre stato molto consapevole dei rischi
che si prendeva» replicò l’amico «e penso che avesse pochi dubbi sul fatto che
sarebbe finita proprio così».
«Bella consolazione! Ma che cosa dicevi ancora a
proposito della festa?».
«Che era una di quelle tipiche feste che lui amava
organizzare e che chiamava feste potlatch. Il potlatch,
come ho imparato da lui stesso, è uno scambio di doni rituale tipico di alcune
tribù di pellerossa. E proprio per non togliere del tutto allo scambio il suo
significato originale, esigeva dagli invitati che portassero degli oggetti che
conservavano per loro un certo valore non necessariamente economico».
«Sì, adesso è tutto chiaro» osservò Luisa, chiedendosi
nel frattempo tra sé e sé come avesse fatto una come Giulia a finire nel giro
di quel tipo di feste. Probabilmente, si rispose, era andata come con il libro
e ci era finita per puro caso.
Però, alla fine, nonostante tutte le riserve che
manteneva nei suoi confronti, doveva riconoscere che era stato proprio
l’incontro con Giulia l’elemento saliente della serata. Il che non deponeva
certo a favore della festa… ma dopotutto, si chiese, quanto tempo era che non
si divertiva veramente in circostanze come quelle? Forse addirittura dai tempi
delle medie. Ma il suo vero cruccio era stato, almeno per tutto il periodo del liceo,
ascoltare regolarmente i resoconti eccitati e eccitanti delle altre feste
a cui partecipavano gli altri, e chiedersi poi in base a quale
misterioso piano del destino le capitasse sempre di essere invitata,
evidentemente, alle feste sbagliate.
Davvero interessante. Qualche anno fa ho studiato la cultura degli Indiani d'America, ma non avevo mai sentito parlare del potlach.
RispondiEliminaIn questo mi ha aiutato l'avere avuto un tempo degli amici che seguivano il percorso degli Indiani d'America. Adempiere al potlach era più o meno d'obbligo quando andavo a trovarli.
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