In compagnia dei lupi /2: La favola antica
Introduzione
in due quadri con seguito
De te fabula narratur
Orazio, Satire I, 1, 62-72
Giacomo Di Chirico, Quinto Orazio Flacco |
A gente così, che cosa si può fare? Lasciarla nella sua grettezza, visto che ci razzola di gusto: come quel riccone spilorcio che ad Atene - si racconta -, di fronte agli acidi commenti altrui, sprezzante ragionava: "Se il popolo mi fischia, ci penso io, a casa, ad applaudirmi, ogni volta che contemplo le monete nel forziere".
Brucia di sete, Tantalo. Come vorrebbe poter bere l'acqua: ma il fiume beffa le sue labbra. Ah, ridi? Eppure, basta cambiare il nome, e protagonista della favola sei tu: tu che sacchi ammassati dappertutto te li covi con gelosa sorveglianza, e non puoi fare a meno di curarli come oggetti sacri, di goderli come quadri.
E' di te che parla la favola
di Hans Christian Andersen
Thora Hallager, Hans C. Andersen |
I saggi dell'antichità erano stati furbi nel trovare il modo di dire la verità alla gente senza dirgliela in faccia in maniera sgarbata. Gli mettevano davanti agli occhi un singolare specchio che mostrava ogni tipo di animali e cose strane producendo una vista divertente quanto educativa. La chiamavano favola, e quanto di sciocco o intelligente facevano gli animali, gli uomini dovevano riferirlo a se stessi e pensare: è di te che parla la favola! Così nessuno poteva prendersela. Facciamo un esempio:
C'erano due alte montagne, e in cima a ciascuna di esse sorgeva un castello. Giù nella valle correva un cane che annusava la terra come se per placare la fame cercasse topi o pernici. D'improvviso da uno dei castelli risuonò la tromba che annunciava che ora sarebbero andati a tavola. Il cane corse su per la montagna per prendere qualcosa anche lui, ma quanto fu giunto a metà strada le trombe smisero di suonare, e cominciò una tromba dall'altro castello. Allora il cane pensò: qui avranno finito di mangiare prima del mio arrivo, laggiù invece si mettono a tavola ora Perciò corse di nuovo giù e di nuovo su per l'altra montagna. Ma adesso ricominciò la tromba nel primo castello, l'altra invece smise. Il cane corse di nuovo giù e di nuovo su, e così continuò finché entrambe le trombe tacquero: in qualsiasi posto andasse, il banchetto era terminato.
Indovinate ora cosa direbbero i saggi dell'antichità di fronte a questa favola, e chi è lo scemo che si affatica a correre così senza guadagnarci nulla né da una parte né dall'altra.
* * *
Due quadri, quelli che ho appena presentato, dipinti da due tra i più lucidi e corrosivi osservatori dell'ethos del genere Homo, veri etologi dello spirito che, dall'alto della loro autorevolezza, enunciano una scomoda verità. Mi sono sembrati la miglior introduzione possibile alla favola antica, un genere letterario a cui devo l'ingresso, in giovanissima età, di due altri lupi nella mia Compagnia. Perché tra le mie primissime letture vanno sicuramente annoverate alcune delle più famose fiabe di Esopo, e, tra queste, le due che trovate più in basso in questo post: Il lupo e l'agnello e Lo scherzo del pastore. Un'altra cosa che posso dire con certezza, è che entrambe queste due fiabe erano presenti nel mio primo libro di lettura delle scuole elementari ed è lì che le ho incontrate per la prima volta.
Francis Barlow Frontespizio per Aesop's Fables (1687). |
La prima favola esopica in terra di Grecia non è tuttavia di Esopo, ma lo precede di circa due secoli: è Il falco e l'usignolo, contenuta nelle Opere e i giorni di Esiodo. Ma l'origine del genere va ancora più indietro nel tempo ed è rintracciabile nella letteratura di tipo sapienziale, scritta in cuneiforme, delle culture sumerica e accadica.
Il termine greco usato poi da Esiodo per questo tipo di racconto è αĩνος, che ha la stessa radice di "enigma", nonostante, in seguito, sarà il termine mythos a essere riferito alle fiabe di Esopo. Le favole sono quindi, in origine, qualcosa di analogo all'enigma anche se con la "soluzione" già data in forma di morale della favola. E costituiscono anche, da questo punto di vista, una serie di "oracoli popolari" in grado di permettere al lettore o ascoltatore di conoscere, da un lato, la psiche umana nelle sue diverse "operazioni" e, dall'altro, di far fronte alle esperienze della vita. La raccolta di Esopo sarebbe cioè, allo stesso tempo, un manuale di autoconoscenza e di saggezza pratica, e mi sembra ribadita in tal modo la differenza con il mito, che si occupa invece di qualcosa che va oltre tutto questo. Favola e mito procederebbero semmai fianco a fianco e in modo forse complementare, e lo farebbero fin dall'inizio come sembrano testimoniare le due opere principali di Esiodo, Le opere e i giorni che ho citato più sopra, e la Teogonia.
E se la difficoltà con il mito è poi ben nota, quella con la favola antica sembra riferirsi proprio alla capacità o meno di riuscire a usare i brevi racconti, con i loro protagonisti animali, come specchio; di riferirli, in pratica a se stessi e alle circostanze della propria vita. Così almeno sembrano pensarla Orazio e Andersen, che, accomunati da una segreta complicità spirituale, si sentono chiamati a ribadire, a secoli e millenni di distanza da Esopo, uno stesso e identico concetto (la scomoda verità di cui sopra): E' di te che parla la favola!
Il termine greco usato poi da Esiodo per questo tipo di racconto è αĩνος, che ha la stessa radice di "enigma", nonostante, in seguito, sarà il termine mythos a essere riferito alle fiabe di Esopo. Le favole sono quindi, in origine, qualcosa di analogo all'enigma anche se con la "soluzione" già data in forma di morale della favola. E costituiscono anche, da questo punto di vista, una serie di "oracoli popolari" in grado di permettere al lettore o ascoltatore di conoscere, da un lato, la psiche umana nelle sue diverse "operazioni" e, dall'altro, di far fronte alle esperienze della vita. La raccolta di Esopo sarebbe cioè, allo stesso tempo, un manuale di autoconoscenza e di saggezza pratica, e mi sembra ribadita in tal modo la differenza con il mito, che si occupa invece di qualcosa che va oltre tutto questo. Favola e mito procederebbero semmai fianco a fianco e in modo forse complementare, e lo farebbero fin dall'inizio come sembrano testimoniare le due opere principali di Esiodo, Le opere e i giorni che ho citato più sopra, e la Teogonia.
E se la difficoltà con il mito è poi ben nota, quella con la favola antica sembra riferirsi proprio alla capacità o meno di riuscire a usare i brevi racconti, con i loro protagonisti animali, come specchio; di riferirli, in pratica a se stessi e alle circostanze della propria vita. Così almeno sembrano pensarla Orazio e Andersen, che, accomunati da una segreta complicità spirituale, si sentono chiamati a ribadire, a secoli e millenni di distanza da Esopo, uno stesso e identico concetto (la scomoda verità di cui sopra): E' di te che parla la favola!
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Il lupo e l'agnello
Esopo, Favole, CCXXI
Un lupo vide un agnello che beveva sulle rive di un fiume e decise di mangiarselo con un pretesto ragionevole. Si pose perciò più in alto di lui e incominciò ad accusarlo di intorbidare l'acqua, impedendogli così di dissetarsi. "Ma se bevo a fior di labbra!" osservò l'agnello. "E poi come posso, stando più in basso, rendere torbida l'acqua sopra di me?" . Vedendo venir meno quel pretesto il lupo riprese: "Un anno fa tu hai insultato mio padre". E l'agnello a ribattere che non era ancora nato a quell'epoca. "Ma, se anche tu sai trovare un mucchio di scuse" sbottò il lupo, "non rinuncerò certo a mangiarti!".
La favola dimostra che una giusta difesa non vale nulla presso quanti hanno già deciso di fare del male.
* * *
Versione di Fedro
Favole esopiche I,1
Un lupo e un agnello, spinti dalla sete, si ritrovarono a bere nello stesso ruscello. Il lupo era più a monte, mentre l'agnello beveva a una certa distanza, verso valle. La fame però spinse il lupo ad attaccar briga e allora disse: "Perché osi intorbidarmi l'acqua?"
L'agnello tremando rispose: "Come posso fare questo se l'acqua scorre da te a me?"
"E' vero, ma tu sei mesi fa mi hai insultato con brutte parole".
"Impossibile, sei mesi fa non ero ancora nato".
"Allora" riprese il lupo "fu certamente tuo padre a rivolgermi tutte quelle villanie". Quindi saltò addosso all'agnello e se lo mangiò.
Questo racconto è rivolto a tutti coloro che opprimono i giusti nascondendosi dietro falsi pretesti.
L'agnello tremando rispose: "Come posso fare questo se l'acqua scorre da te a me?"
"E' vero, ma tu sei mesi fa mi hai insultato con brutte parole".
"Impossibile, sei mesi fa non ero ancora nato".
"Allora" riprese il lupo "fu certamente tuo padre a rivolgermi tutte quelle villanie". Quindi saltò addosso all'agnello e se lo mangiò.
Questo racconto è rivolto a tutti coloro che opprimono i giusti nascondendosi dietro falsi pretesti.
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Versione di Jean de La Fontaine
Favole I,10
La favola che segue è una lezione
che il forte ha sempre la miglior ragione.
Un dì nell'acqua chiara d'un ruscello
bevea cheto un Agnello,
quand'ecco sbuca un lupo maledetto,
che non mangiava forse da tre dì,
che pien di rabbia grida: - E chi ti ha detto
d'intorbidar la fonte mia così?
Aspetta, temerario! - Maestà, -
a lui risponde il povero innocente,
- s'ella guarda, di subito vedrà
ch'io mi bagno più sotto la sorgente
d'un tratto, e che non posso l'acque chiare
della regal sua fonte intorbidare.
- Io dico che l'intorbidi, - arrabbiato
risponde il Lupo digrignando i denti, -
e già l'anno passato
hai sparlato di me. - Non si può dire,
perché non ero nato,
ancora io succhio la mammella, o Sire.
- Ebbene sarà stato un tuo fratello.
- E come, Maestà?
Non ho fratelli, il giuro in verità.
- Queste son ciarle. È sempre uno di voi
che mi fa sfregio, è un pezzo che lo so.
Di voi, dei vostri cani e dei pastori
vendetta piglierò -.
Così dicendo, in mezzo alla foresta
portato il meschinello,
senza processo fecegli la festa.
* * *
Il pastore che scherzava
Esopo - Favole, CCCXVIII
Ilustrazione di Francis Barlow |
Un pastore, che portava a pascolare il suo gregge piuttosto lontano da un villaggio, continuava a ripetere questo scherzo: con quanto fiato aveva in gola chiamava in soccorso gli abitanti del paese, gridando che le sue pecore erano assalite da un branco di lupi. Dopo due o tre volte che quelli del villaggio, spaventati, erano accorsi ed erano tornati indietro beffati, accadde che alla fine arrivarono davvero dei lupi e si misero a razziare le pecore. Il pastore chiamò i paesani in aiuto, ma quelli, convinti che, come al solito, scherzasse, non si preoccuparono affatto delle sue grida. E così gli toccò di perdere il gregge.
La favola dimostra che l'unico guadagno dei bugiardi è non esser creduti neppure quando dicono la verità.
La favola dimostra che l'unico guadagno dei bugiardi è non esser creduti neppure quando dicono la verità.
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Note e crediti
- Per l'estratto di Orazio:Orazio, Satire - Oscar classici greci e latini, 1994. Traduzione di Marco Beck.
- Per il testo di Hans Christian Andersen:
Micromega n° 5/2000, Gruppo editoriale L'Espresso. Traduzione di Bruno Berni.
- Per le favole di Esopo:
Esopo, Favole - Oscar classici greci e latini, 1996. Traduzione di Cecilia Benedetti.
- Per la favola di Fedro:
Fedro, Favole - Oscar classici greci e latini, 1992. Traduzione di Fernando Solinas.
- Per la favola di Jean de La Fontaine:
La Fontaine, Favole - Newton & Compton, 1994. Traduzione di Emilio de Marchi.
L'immagine di apertura del post è un'illustrazione di Milo Winter.
Eccomi qui, Ivano!
RispondiEliminaHai un bel blog, molto ben ragionato: bravo.
Quanto ai lupi, pensa che lo scorso anno ho riletto tutto Esopo... ma mi ha divertito molto anche leggere le versioni della stessa storia di Fedro e LaFontaine... che dire, quella del lupo e dell'agnello è una favoletta senza speranza, in cui il prepotente vince sempre... :p
Moz-
Grazie della visita e del commento, Miki (è giusto Miki?).
EliminaE grazie per gli apprezzamenti al blog, che per il momento si divide, come hai modo di vedere, fra la mia blog novel "Solve et Coagula" e articoli sulla fiaba e il mito, con qualche incursione nella letteratura. Per quanto riguarda poi il Lupo e l'agnello, ricordo che la sensazione che ho provato a sei anni, alla prima lettura, era abbastanza angosciosa. Comunque è interessante che il lupo cerchi pretesti, anziché semplicemente sbranare l'agnello come sarebbe nelle sue possibilità.
Sì, Miki è giustissimo :)
EliminaDunque, ho visto che stai scrivendo una blognovel, pagina per pagina, vorrei recuperarla... col tempo cercherò di farlo!
Il lupo che cerca un pretesto è forse ciò che lo accomuna agli uomini: perché il vero pretesto animale sarebbe la fame, ma questo lupo-uomo deve avere sempre un movente (vero o falso) per far del male, o anche solo per sopravvivere... :)
Moz-
Se decidi di leggere la mia storia, il che mi farebbe ovviamente molto piacere, ti consiglio di leggere prima la breve introduzione che ho scritto nella pagina statica "Solve et Coagula - indici e sinossi" dove è spiegato perché ha questa particolare struttura a schegge di 500 parole.
RispondiEliminaGiustissimo poi quello che dici sul lupo della favola, che deve rispecchiare l'uomo nella sua psicologia e comportamenti :)
Grazie per la dritta, Ivano! Non posso prometterti una lettura immediata, ma fidati che appena ho due minuti comincio! :)
EliminaMoz-
Te l'ho detto perché altrimenti l'andamento a tratti un po' zigzagante della storia potrebbe lasciarti perplesso.
EliminaCapisco poi bene, Miki, il problema. Anch'io cerco di fare del mio meglio, ma faccio molta fatica a seguire tutto quello che vorrei.