Molti suoi colleghi disprezzavano la sua opera, invidiavano
il suo successo e si erano stancati da un pezzo di tutto il suo sbracciarsi per
attrarre il suo pubblico. Io stesso non amavo o comprendevo le sue storie, ma
presi con lui una Pepsi o qualcosa del genere a una Convention del fumetto nel
1969 e scoprii che era una persona piacevole. Ma che tu lo amassi o lo odiassi, diventò alla fine impossibile
parlare dell’autoproclamatosi “Messia del fumetto” senza usare le sue stesse
iperboli religiose.
Denny O'Neil, The Death of the Cheech Wizard
* * *
L'opera a fumetti più significativa del primo periodo
di attività di Vaughn Bodé, quello che
potremmo chiamare il suo "tirocinio", fu senza dubbio la breve
epopea Cobalt 60, composta
di due storie con protagonista il violento mutante omonimo.
Ecco cosa lo stesso Bodé ebbe occasione di dirne una
volta:
Il 6 maggio 1968, iniziai a dar vita al mondo violento e ai personaggi di Cobalt 60. L'idea era di creare un mondo mutante del futuro che utilizzasse personaggi da cartone animato ma in un contesto di crudo realismo.
Cobalt 60 diventò una satira non solo dell'uomo o della guerra ma anche dei cartoon. Le prime dieci pagine a china (realizzate nel formato stampa, cosa insolita per me: io lavoro ad ingrandimento del 50-100%) apparvero in Shangri L'affairs, una fanzine di Los Angeles pubblicata da Ken Rudolf. Tempo dopo, la rivista di Wally Wood, Witzend, lo ristampò con l'aggiunta di una copertina violenta.
Realizzai soltanto un'altra storia di Cobalt 60, un esperimento di "pittografia" di quattro pagine, di nuovo per Shangri. Cobalt 60 è stato uno dei più influenti fumetti che io abbia mai fatto. Ha aperto nuove strade per molti altri artisti. E' stato edito e riedito in Inglese, Francese, Italiano e Svedese.
Cobalt 60 porta in realtà alle sue estreme conseguenze la stessa visione profondamente pessimista di Bodé sulla natura del genere umano già evidente nei suoi lavori precedenti. Il nucleo "filosofico" della storia può facilmente essere ricavato dalla lettura del testo della seconda vignetta della seconda pagina:
Si sa, noi speculiamo, proviamo a raffigurarci in anticipo gli imprevedibili capricci della natura, e raramente ci indoviniamo. Ma possiamo dedurre con una precisione infallibile il futuro dell'homo sapiens, la creatura fatta a immagine di Dio stesso!.. L'uomo, il grande distruttore, il predatore insaziabile... L'uomo cancellerà se stesso e si lascerà dietro un mondo reso sterile dal suo genio.
Il violento mutante protagonista della storia diventa così una sorta di braccio armato della giustizia divina (l'elemento religioso è onnipresente nell'opera di Bodé), che raggiungerà il suo scopo nel finale della seconda delle due storie, con l'eliminazione dell'ultima donna ancora capace di procreare rimasta in vita sulla Terra.
Ma Bodé aveva nel frattempo anche conosciuto Larry
Todd, già scrittore e illustratore di storie di fantascienza all’epoca in cui
entrò alla Syracuse University, nel 1966, anno in cui Bodé era all'apice della
sua produzione di fumetti per il college.
“Un’energia enorme ribolliva in Vaughn” ricorda Todd.
“Ma non potevi sapere quale direzione avrebbe preso. Gli occorsero un paio di
anni per prendere una direzione precisa. Ma no, gli occorsero un paio di anni
solo perché gli venisse l’idea di
prendere una direzione precisa! All’inizio sembrava solo un altro tipo alla Buck
Rogers che giocava a “qualsiasi cosa tu riesca a pensare, io posso pensarla più
strana. Io posso pensare qualunque cosa più strana di come la pensi tu”.
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Una copertina di Robert Crumb |
Fu Todd a mostrare per primo a Bodé le storie di
Robert Crumb, il celebre autore di Fritz the Cat e Mr.
Natural, stampate sulle pagine dell'East Village Other (EVO),
un giornale di controcultura newyorkese pubblicato con cadenza bisettimanale.
Bodé non perse tempo e inviò una montagna di sue opere alla redazione.
La cartoonist underground Trina Robbins (il giornale pubblicava allora il suo fumetto Suzie Slumgoddess) racconta quel che accadde dopo:
Vidi i lavori di Bodé per la prima volta negli
uffici dell’EVO. La sua arte era in uno stato di abbandono, sgualcita e macchiata di caffè, se addirittura non veniva usata per preparare l’erba. I suoi
comix non assomigliavano a nulla che avessi visto prima – mi commuovevano le sue lucertole morenti con
le farfalle che uscivano dai loro stomaci dilaniati.
In effetti i cartoonist underground di New York si somigliavano un po' tutti, perché in un modo o nell'altro tutti si rifacevano a Crumb. Ma Bodé era innegabilmente qualcosa di diverso.
Trina Robbins decise così di scrivergli, descrivendogli anche lo stato in cui versavano le sue opere. Gli chiese di farsi vivo di persona e lui si presentò rasato, con i capelli corti, e intimidito dall'ambiente dell'East Village. Lei lo portò a pranzo in un ristorante
polacco, ma tutto quello che riuscì a convincerlo a mangiare fu uno strudel di
mele.
Era così incredibilmente ordinario. Poi, certo, finì con il diventare
più schizzato di chiunque altro di noi. Quel giorno, tutti i
cartoonist underground (non molti di loro quella volta – Oltre a Crumb c’erano
Artie Spiegelman, Kim Deitch e Spain di Trashman) incontrarono Vaughn e
furono come una sola persona fulminati dal suo universo. Alcuni di loro oggi negheranno. Non credetegli. Io c’ero.
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Una copertina di Vaughn Bodé
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La maggior
parte del materiale sottoposto da Bodé all’EVO era in realtà già
stato pubblicato nel circuito della Syracuse University. Realizzò tuttavia per
il giornale una serie di copertine inedite: una città che si ergeva su un
teschio; un poliziotto che sparava a un giornale; un bambino terrorizzato che
si raggomitolava sulla pietra tombale della pace; Nixon che offriva aiuto ai
“negri”; una lucertola che desiderava farsi l’intero movimento per la
liberazione delle donne. Finché alla fine convinse anche l'editore a pubblicare
un giornale di soli fumetti: il Gothic Blimp Works. Vaughn lo
vedeva come una possibilità per i cartoonist underground di far conoscere la
loro arte e guadagnarci sopra qualcosa. Ne curò i primi tre numeri, poi
rassegnò le dimissioni. Eccetto per poche altre sporadiche apparizioni nel
tempo, aveva chiuso anche con l’EVO.
Il
punto è che i cartoonist underground, all’epoca, erano tutti allineati all'ideologia
di Robert Crumb e Art Spiegelmann, basata sul
disprezzo del denaro e della proprietà privata, e in più tutti si rifacevano allo stesso principio stilistico del “metti più inchiostro possibile sulla
pagina”. Bodé, dal canto suo, era all'antitesi di tutto questo.
Ben
presto inoltre, molti dei cartoonist della scena underground newyorkese - Trina
Robbins, Kim Deitch e Spain Rodriguez in primis - si trasferirono a San
Francisco, in un ambiente senza dubbio più vitale per la loro arte. Mentre Bodé,
come a voler rimarcare la sua distanza dal loro mondo, rimase a New York, dove
continuò a collaborare con riviste di fantascienza e fanzine e a stringere
nuove amicizie con altri disegnatori, a lui più affini. Tra loro vi erano Richard
Corben, Bernie Wrightson, Jim Steranko e il
già citato Jeff Jones.
Bernie
Wrightson, futuro maestro del gotico e dell'horror, incontrò Bodé per la prima
volta nel 1969 a una convention del fumetto, e anch’egli, come già Trina
Robbins, ricorda di aver avuto a quel tempo l’impressione di trovarsi
davanti una persona con la testa sulle spalle e assolutamente nella norma:
Aveva un’ampia gamma di
interessi religiosi e filosofici, ma non era uno zelota. Sembrava raccogliere e
assimilare informazioni al solo scopo di arricchire il suo lavoro. Ciò di cui
più si preoccupava era di piazzare le sue cose, di assicurarsi un buon conto in
banca. Era forte e molto sicuro di sé. Vedeva se stesso come il futuro Disney
del fumetto underground e ci piaceva scherzare insieme su una Bodéland dove
le visite guidate si sarebbero concluse con morti orribili.
Di lì a poco si sarebbe poi anche presentata a Bodé la prima vera occasione
professionale nel campo del fumetto, grazie stavolta al mondo delle riviste
patinate per soli uomini. Più precisamente, è sulle nelle pagine del Cavalier,
un cugino povero di Playboy che aveva però già ospitato tra le
sue pagine autori del calibro di Robert Crumb, Art Spiegelmann e Harlan Hellison, che Bodé debutta, nel
maggio 1969, con una delle sue serie a fumetti più celebri e riuscite: Deadbone.
Crumb
in particolare aveva da poco sbattuto la porta, dopo che la rivista aveva
pubblicato un articolo negativo sugli underground
comix, e Bodé si era presentato al momento giusto per occupare il posto
vacante. Da quel momento, e per il resto della sua vita, Bodé scrisse e disegnò
per la rivista il suo Deadbone secondo un modulo narrativo da lui
definito “pittografia”, caratterizzato dai balloons esterni al corpo della
vignetta. Alla fine della sua vita avrà prodotto un totale di circa 220 episodi
divisi in 73 albi, con il titolo della serie destinato a cambiare più
volte nel tempo: in Deadbone Erotica nel 1970, in Deadbone
Erotica, One Billion B.C. nel maggio 1972, e in Bodé Erotica altri
sei mesi dopo.
Con Deadbone, Bodé si portò rapidamente fino alla soglia della sua maturità stilistica, mentre il suo mondo fantastico si condensava sempre più attorno ai suoi connotati essenziali: il binomio sesso/violenza da un lato e la ricerca filosofico/religiosa dall'altro.
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Un esempio della resa in italiano dell'inglese
storpiato di Bodé
(Trad. di Luca Boschi) |
Gli abitanti di “Deadbone”, che è il nome di una "società folle e malvagia", nata e cresciuta sulle pendici di una montagna vulcanica alta quattro miglia e creata un miliardo di anni fa dalle stesse "misteriose forze oscure" che crearono il nostro mondo, sono degli animali antropomorfi (lucertole soprattutto) e delle femmine umane dalla sensualità dirompente (seppur disegnate in modo prettamente cartoonistico), destinate presto ad assumere il nome di Bodé Broads e diventare uno dei marchi di fabbrica dello stile di Bodé. Che, dal canto suo, già consapevole del messaggio che voleva trasmettere con le sue opere, era tutt'altro che entusiasta dell'associazione del suo nome a quello della rivista (“Non oso neanche pensare al lettore medio di Cavalier”, avrebbe detto). Ma era un lavoro che gli rendeva comunque di più delle pubblicazioni sulle fanzine e gli garantiva inoltre quella libertà creativa e assenza di censura che lui considerava fondamentali e che difficilmente avrebbe trovato altrove. Come avrebbe presto anche dimostrato la sua esperienza con i curatori di Galaxy - una rivista pulp di fantascienza a cui lui aveva già contribuito con alcune illustrazioni interne e di copertina (vedi il primo post di questa serie) -, che gli richiesero, verso la fine del 1969, di realizzare per loro una storia a fumetti.
* * *
Note al post
1. Oltre che una creazione riuscita, Deadbone si rivelò
anche un successo duraturo, al punto che dalla serie furono ricavati,
con Bodé ancora in vita, una raccolta rilegata e due edizioni in
paperback per i tipi della Bantam Books. "Il primo Bantam a
mostrare delle tette", dichiarò orgoglioso l'artista.
L'immagine di apertura del post è un dettaglio della copertina di Vaughn Bode’s Deadbone vol. 1 (Fantagraphics, 1989). Clicca sull'icona a lato per la visualizzazione intera.
Bellissimo articolo Ivano
RispondiEliminae complimenti per il tuo centesimo!!! Sai concordo i pieno con il fatto di proteggere i propri diritti sull'opera. Ma non so quanto siano realmente cambiate le cose...
Un saluto :))))
Grazie mille, Ximi :)) Questa serie di post sarà abbastanza lunga, perché Bodé è sì morto molto giovane, ma ha avuto una vita intensa ed era una persona particolare.
RispondiEliminaPer i diritti poi qualcosa sicuramente è cambiato; in America prima degli anni 70 l'editore aveva quasi potere di vita e di morte sull'autore.
Un salutone a te :))))
Complimenti x il tuo post numero 100!
RispondiEliminaGrazie mille Nick :)
EliminaNon mi sono dimenticato del post su Bodé per IFET. E' che il discorso fantascienza non si è ancora concluso per quanto riguarda questa serie di post. E prima di trarne il succo ho bisogno di avere scritto tutto. Nella terza parte ci sarà ancora Galaxy di mezzo.
Ah, così inizi anche a collaborare anche tu a IFET? Ci ritroviamo tutti lì, come a una pizza col gruppo!
EliminaIn effetti mi piacerebbe iniziare la collaborazione. Anche se da un certo punto di vista sarebbe una situazione paradossale, dal momento che in realtà sono un tipo molto past-oriented, se si può dire così.
Elimina"...è stato uno dei più influenti fumetti che io abbia mai fatto." Certamente Bodé non peccava di falsa modestia! ;-)
RispondiEliminaBe', dai, in fin dei conti, ha pur sempre usato come termine di paragone gli altri suoi fumetti. Sarebbe stato immodesto se avesse detto di aver disegnato uno dei fumetti più influenti in assoluto ;-)
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