Questo sito utilizza cookie di Google e di altri provider per erogare servizi e analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo agente utente sono condivisi con Google per le metriche su prestazioni e sicurezza, per la qualità del servizio, generare statistiche e rilevare e contrastare abusi. Navigando nel blog accetti l'uso dei cookie e il trattamento dati secondo il GDPR. Per maggiori dettagli leggere l'Informativa estesa.

Il ritorno del Cappello Giallo - Vita, opere e morte di Vaughn Bodé, messia del fumetto /3




Qualunque sua opera guardi, puoi renderti conto che è orientata o sessualmente o verso il desiderio di morte.
Vincent Bodé, fratello di Vaughn


* * *


Pochi mesi dopo l’inizio della sua avventura su Cavalier, e ancora fresco del successo ottenuto alla convention di St. Louis del 1969, Vaughn Bodé si accorda con Elle Jakobsson, nuovo curatore della rivista di fantascienza Galaxy succeduto a Frederick Pohl, per la realizzazione di una serie a fumetti da pubblicare a puntate a partire dall'anno seguente. Apparvero così, sulle pagine della rivista - tra i mesi di febbraio e maggio 1970 -, i sei capitoli di Sunpot, che era sì un'opera di fantascienza ma alla Bodé. Comprensiva cioè, tra le altre cose, dell’utilizzo di un linguaggio volutamente sgrammaticato e denso di riferimenti sessuali a cui i tipi di Galaxy pensarono bene di porre rimedio senza preoccuparsi di richiedere prima il consenso dell’artista. Che, neanche a dirlo, non la prese bene, e, in tutta risposta, uccise già al sesto capitolo, con meno di trenta tavole disegnate, tutti i protagonisti della saga.

Ecco come lui riassunse in seguito l’intera, fallimentare esperienza:
L'opportunità di una serie a fumetti su  Galaxy mi fu soprattutto offerta perché nel 1969 avevo vinto il premio Hugo come miglior artista amatoriale. Ma Sunpot era troppo all'avanguardia per la maggior parte dei lettori e per degli editori all'antica come loro. La censura si spinse al punto da farmi concepire come sole vie d'uscita o il mio suicidio o quello della serie. Finì così che distrussi la mia creazione alla sesta uscita e fui subito licenziato. Come mio solito, mi ero impegnato a fondo nella progettazione del "Pianeta Sunpot" e dei suoi abitanti, ma andai anche oltre: Larry Todd prima mi fece da consulente tecnico per la creazione dell'astronave e delle sue apparecchiature spaziali, poi costruimmo insieme dei modellini tridimensionali della nave e dell'equipaggio! Piccole sculture colorate che mi furono di ispirazione per quella che credevo sarebbe stata una lunga serie a fumetti con un grande futuro davanti. Come potevo immaginare che tutto sarebbe finito con la sesta parte!



Eppure, a dispetto della sua natura monca, Sunpot rimane una creazione dall'indubbio fascino narrativo e figurativo, vivacizzata da personaggi efficaci come Dr. Electric o la sensuale Belinda Bump. Anche qui, come già in Deadbone, abbiamo a che fare con una specie di "società folle e malvagia", la cui sede non è più una montagna immersa nelle nebbie di un passato lontanissimo, ma bensì un'astronave che vaga, in un futuro imprecisato, nelle distese cosmiche del nostro sistema solare.




Ma Bodé, che non riusciva comunque ad accontentarsi del solo Cavalier e né, tantomeno, degli spazi troppo di nicchia dell'underground, una volta fuori da Galaxy decise di giocarsi per prima la carta del National Lampoon. E seppure già lottava ogni mese con la deadline di Deadbone, presentò i suoi lavori alla redazione del famoso, e feroce, mensile umoristico, che giudicò però i suoi lavori "troppo graziosi" per i loro standard. Tentò allora con i poster, i calendari, le carte da gioco, e con la riproposizione di un suo vecchio personaggio dei tempi del Campus, Cheech Wizard, da trasformare in protagonista di una striscia per i quotidiani intitolata The Yellow Hat. La caratteristica più saliente del personaggio era infatti il grande cappello giallo da mago che lo nascondeva sempre tutto a eccezione della parte inferiore del corpo, alloggiata però a sua volta in qualcosa del genere di una tuta rossa. “La creazione più amata e più letta mai apparsa alla Syracuse University”, assicurò Bodé ai tipi dello Hall Sindycate.
Ripulito il personaggio principale dei suoi lati più sgradevoli e tipicamente underground, così da farlo rientrare nella tradizione del Vento nei salici di Kenneth Grahame, oltre che di strips a fumetti celebri come Pogo di Walt Kelly, Little Lulu di Marjorie Henderson Buell e Peanuts di Charles M. Schulz, la striscia avrebbe dovuto ospitare, oltre al “mago”, bambole di pezza, elfi e le immancabili lucertole.


Ma anche The Yellow Hat, giudicato inadatto a essere pubblicato con una cadenza giornaliera, si rivelò  per Bodè un buco nell'acqua e non debuttò mai su nessun quotidiano.

Un'altra delusione ancora Bodè la ricavò poi dall'esclusione dal Dick Cavett Show, un programma televisivo a diffusione nazionale che lo aveva prima contattato per poi fare marcia indietro davanti alle sue dichiarazioni preliminari. Bodé si era infatti presentato come l'artista che avrebbe richiuso il gap generazionale e salvato l'America dalla "decade mortale" che la aspettava al varco, oltre che come colui in grado di “alleviare i blocchi sessuali, pesanti e distorti, della nazione”. La repressione, diceva, causa l’ossessione per il sesso. E questa ossessione riempie la nostra mente negandoci lo spazio necessario ad accogliere Dio. Mentre lui desiderava che tutti si aprissero abbastanza da poter ricevere Dio, e renderlo possibile attraverso la sua arte gli interessava sopra ogni altra cosa.


Dopodiché fu la volta della trattativa con editori di fumetti dal taglio più tradizionale, come Stan Lee della Marvel e Jim Warren dell'omonimo gruppo editoriale specializzato in fumetti dell’orrore (Creepy, Eeerie, Vampirella, Famous Monsters). Ma di nuovo - come era successo con la collaborazione con lo scrittore di fantascienza Roger Zelazny - subentrò il problema dei diritti.
Sarà lo stesso Bodè a raccontarlo, in un'intervista del 1974:
Gente come Stan Lee mi offrì di fare delle serie a fumetti, ma ho sempre dovuto declinare l'invito. Insisto, prima di ogni altra cosa, a mantenere i diritti sulle mie creazioni... il solo che sia mai stato in grado di proteggerle finora sono io. Molti artisti, specialmente quando li incontravo all'inizio, vendevano i loro diritti da un capo all'altro di New York a editori che erano dei veri mostri di avidità, che ti avrebbero portato via tutto se fosse stato possibile. Ma le cose stanno cambiando, da qualche anno a questa parte.

Finì così che l’unica pubblicazione Marvel ad aver mai ospitato qualcosa di Bodé fu, nel 1973, il numero 1 di Crazy Magazine, nella sua quarta di copertina (immagine a sinistra).

Mentre furono sei in totale le copertine che Bodé realizzò, tra il 1970 e il 1974, per la Warren: due in collaborazione con Jeff Jones (Vampirella #4 ed Eerie #27) e quattro con Larry Todd (Creepy #31, #40, #64 e Vampirella #3).


A sinistra: copertina di Jeff Jones e Vaughn Bodé. A destra: copertina di Larry Todd e Vaughn Bodé.


Ed è qui interessante notare, a proposito delle copertine Warren, come l'incontro con due personalità artistiche per molti versi opposte tra loro, com’erano Jeff Jones e Larry Todd (avremo occasione di parlare meglio di entrambi nei prossimi post), ebbe l'effetto di far risaltare ora l'uno ora l'altro dei due ingredienti fondamentali dell'arte di Vaughn Bodé: la sensualità nel caso di Jones, la violenza nel caso di Todd.


* * *


L'immagine di apertura del post è un dettaglio della copertina di The Complete Cheech Wizard Vol. 1 (Rip Off Press, 1986). Clicca sull'icona a lato per la visualizzazione intera.

Commenti

  1. Era un attimino esaltato, vero? Eppure in America queste sue idiosincrasie verso Dio avrebbero dovuto furoreggiare. Davvero un personaggio controverso.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Presentare la rivoluzione sessuale come la strada più sicura per arrivare a Dio era difficilmente tollerabile come argomento da proporre a un pubblico televisivo.
      In quanto al personaggio controverso, da qui in avanti la sua vita sarà tutta un crescendo in questo senso...

      Elimina
  2. Scusa la domanda da ignorantona, ma che cosa si intende per "mainstream"? Potrei anche arrivarci per intuito, ma vedo che tutti vi fanno riferimento, non solo nel fumetto ma anche nella letteratura.

    Per quanto riguarda la sua tesi che "l'ossessione del sesso riempie la nostra mente negandoci lo spazio necessario ad accogliere Dio" è quantomeno curiosa!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mainstream significa "ramo principale" e può essere usato in almeno due accezioni diverse. Nel caso della letteratura si usa per definire la letteratura in senso generale rispetto alla letteratura di genere. Mentre nel cinema o nel fumetto è più usato nel senso di prodotti rivolti alla grande massa del pubblico rispetto a quelli destinati a un pubblico più di elite.

      La tesi sull'ossessione del sesso è di indubbia ispirazione tantrica ed è anche, per esempio, uno dei punti fondamentali dell'insegnamento di Osho Rajneesh.

      Elimina

Posta un commento

Chi commenta su questo sito lo potrà fare solo da loggato con Google. Deve quindi essere consapevole che il suo username resterà inserito nella pagina web e sarà cliccabile. Potrà portare al Profilo di Blogger o a quello di Google+ a seconda della impostazione che si è scelta.
Gli utenti possono eliminare i commenti che hanno inserito. A una eliminazione definitiva provvederà direttamente l'amministratore del sito nel minor tempo possibile. Gli estremi dell'account saranno memorizzati per facilitare commenti successivi.
Tutti i commenti contenenti link per scambio visite o con link che indirizzano a contenuti non attinenti a quanto trattato nei post saranno celermente rimossi dal blog.

Post popolari in questo blog

Non ho dimenticato... Alessandro Momo /1 di 2

Non ho dimenticato... Alessandro Momo /2 di 2

10 serie a fumetti che hanno scandito i miei anni '70

Vikings S03 E07-10: La presa di Parigi

I misteriosi Quindici

Il libro azzurro della fiaba - I sette libri della fiaba Volume 1

Sette opere d'arte per sette poesie