Solve et Coagula - Pagina 62
Capitolo 5 - parte 11
Cercò allora a quel
punto di tornare a concentrarsi sulla musica, ma fu tutto inutile: era ormai
entrata, come in certi dormiveglia, in una specie di tunnel dove i sogni e i
ricordi si intrecciavano insieme in un groviglio inestricabile. Tornata bambina,
riconobbe il posto in cui si trovava: la campagna che si apriva sul retro della
casa della sua nonna materna, cioè, proprio della nonna che le raccontava,
insieme a tante altre, la storia di Zio Lupo.
Quello spazio retrostante era una specie di universo a sé, la cui stessa
esistenza passava inosservata a chi si trovava a guardare l’abitazione di
fronte, dal lato della strada. Luisa, in compenso, dalla finestra del soggiorno
ne poteva circoscrivere con lo sguardo un’ampia parte. Si apriva allora davanti
ai suoi occhi il paesaggio di una valle di modeste dimensioni e anche poco
profonda, al cui interno si alternavano boschetti ombrosi, foraggiere e
campi coltivati, oltre a un torrente il cui corso era però invisibile in ogni
suo punto a Luisa dalla sua postazione.
Accedervi era però tutta
un’altra faccenda. Per poterlo fare, lei e sua nonna dovevano farsi aprire ogni
volta, dalla gentile proprietaria del negozio di orto-frutta che si trovava al
piano inferiore dell’edificio, un pesante cancello di ferro che oltre a
sbarrare l’accesso alla valle segreta ne impediva anche la visione dall’esterno. Poi, dopo esser passate sotto la
volta di un ingresso ad arco, si incamminavano lungo una strada di terra
battuta costeggiata da una breve fila di abitazioni. Arrivavano infine, dopo
duecento metri, ai piedi di un tabernacolo con una statuina della Madonna
affiancato da un alto cipresso. Era a questo punto che la strada si biforcava e
aveva inizio per Luisa l’avventura.
Il più delle volte
sceglievano di prendere la direzione di sinistra e di imboccare così un cammino
che, seppure sotto le sembianze di un semplice viottolo, permetteva in realtà a
chi vi si avventurava di raggiungere, una diramazione dopo l’altra, il
torrente e quasi ogni altro angolo della valle. Verso destra la strada rimaneva
invece dell’ampiezza originaria, ma la sua unica destinazione, dopo aver
costeggiato un bosco ombroso per alcune centinaia di metri, era una radura al
cui centro sorgeva una vecchia casa abbandonata. E questo era un posto dove si recavano
unicamente quando c’era da far provvista di erba gattaia per la gatta di casa.
«Qui cresce bene perché
prima ci venivano le streghe a fare le loro cose»» le diceva allora ogni volta
sua nonna. Senza però mai specificare quali fossero queste cose, forse perché riteneva
che fosse noto a tutti quello che facevano le streghe.
In ogni caso Luisa non
faceva mai domande al riguardo. Continuava invece in silenzio la sua ricerca
dei moscon d’oro, che era l’occupazione a cui più amava dedicarsi mentre sua
nonna raccoglieva l’erba gattaia.
Quanto manca agli inediti?
RispondiEliminaCon la parte che pubblicherò oggi siamo a meno 5, Marco.
RispondiEliminaLa magia dell'infanzia... anch'io avevo la "mia" casa abbandonata, che caricavo di fantasie su spettri e briganti. :-)
RispondiEliminaIn questa scena bucolica, metti me al posto di Luisa e hai davanti uno spezzone della mia infanzia ^_*
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