Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta. Un'indagine sui valori /2
Questa dicotomia - ci rivela Pirsig - è farina del sacco di Fedro (come gran parte delle idee fondamentali del Chautauqua), e se in termini di verità ultima non ha un grande significato, all'interno della modalità classica usata per scoprire o creare un mondo di forme soggiacenti - la modalità e il mondo di Fedro - è legittima.
L'intelligenza romantica si occupa dell'apparenza artistica immediata, l'intelligenza classica della spiegazione scientifica soggiacente. Guidare una motocicletta è romantico, mentre occuparsi della sua manutenzione richiede uno spirito analitico e la capacità di scomporre l'intero fin nelle sue parti più infinitesimali, ed è perciò classico.
L'estetica classica è così sottile che spesso ai romantici sfugge.
A un romantico lo stile classico sembra spesso banale, goffo e brutto, esattamente come la manutenzione meccanica. E' tutta una questione di parti, di pezzi, di componenti e di rapporti. (...) Tutto deve essere dimostrato e misurato.
Ma uno spirito classico non ha una miglior considerazione dello spirito romantico: frivolo, irrazionale, imprevedibile, ecc. ecc....
Lo strumento di Fedro, il solo che lui conoscesse all'inizio, era il coltello chirurgico del pensiero analitico. Il quoziente di intelligenza di Fedro misurava 170, secondo il Test Stanford- Binet che valuta essenzialmente la capacità di manipolazione analitica. Un caso su cinquantamila.
Fedro era un'artista del coltello, e lo usava con destrezza e senso del potere. Con un sol colpo di pensiero analitico riuscì a spaccare il mondo intero in pezzi di sua scelta, e poi i pezzi in frammenti sempre più piccoli, fino a fare del mondo quello che voleva.
L'atteggiamento mentale di Fedro viene usato fin dall'antichità per sfuggire al tedio e all'avvilimento del mondo circostante, ma ora, per quanto strano possa sembrare, esso è così diffuso da costituire precisamente ciò a cui i romantici cercano di sfuggire. Se il mondo di Fedro è tanto difficile da capire non è a causa della sua stranezza ma della sua familiarità.
E preciso adesso che la prima parte del Chautauqua può essere considerata la meno universale del libro, la più legata alla realtà contingente in cui opera l'autore, e può dare in più punti l'impressione, a chi legge oggi, di qualcosa di datato. Ma ci introduce alla persona di Fedro quando ancora non si chiamava così, e getta le basi della sua riflessione.
Fedro cercava qualcosa e usò il coltello perché era l'unico strumento che aveva. Ma si impegnò a tal punto e si spinse così lontano che alla fine la vera vittima fu lui stesso.
Prendendo l'esempio di una manciata di sabbia, il libro (pag. 85) ci mostra il coltello analitico impiegato da Fedro all'opera, mentre separa i singoli granelli per poi ricomporli, sulla base delle loro somiglianze e diversità, in mucchi sempre più piccoli.
Si potrebbe pensare che a un certo punto il processo di suddivisione e di classificazione si interrompa, ma non è così. Continua all'infinito. (...) L'intelligenza romantica si rivolge invece alla manciata di sabbia ancora intatta. Sono entrambi modi validi di considerare il mondo, ma sono inconciliabili.
E dentro questo paesaggio non c'è solo il mucchio di sabbia, ma anche - come sua parte integrante che deve essere capita - chi divide la sabbia in mucchi. Guardare il paesaggio senza vedere quel qualcuno è come non guardarlo affatto. Se si rifiuta quella parte del Buddha che presiede all'analisi della motocicletta si rifiuta il Buddha tutto intero.
Fedro applica dunque, nel rivolgere la sua attenzione al paesaggio infinito, il coltello dell'analisi all'analisi stessa. E si pone all'inseguimento di se stesso. O, più precisamente, all'inseguimento del fantasma della razionalità, da cui si sente interamente plasmato nella personalità. Una personalità di cui vuole liberarsi.
In uno strano modo - ci dice Pirsig - riuscì a spuntarla.
Fedro morì cancellato da una sentenza del tribunale. Una sentenza del tribunale che ordinava il passaggio di corrente alternata ad alta tensione attraverso i lobi del suo cervello. (...) Un'intera personalità era stata liquidata senza lasciar traccia mediante un procedimento tecnicamente ineccepibile che da allora determina il mio rapporto con lui. Io non ho mai conosciuto Fedro. Non lo conoscerò mai.
Ma prima di questo afferrò il fantasma della razionalità. E gliele suonò di santa ragione.
Era - è - il fantasma che sta ancor oggi alla base di tutta la tecnologia, di tutta la scienza moderna, di tutto il pensiero occidentale.
E' un fantasma che si riveste del nome di "razionalità", ma le sue sembianze sono quelle della confusione e dell'insensatezza. (...) E' il fantasma delle convinzioni su cui si fonda la nostra vita quotidiana, lo stesso che dichiara che lo scopo ultimo della vita, che è quello di conservarsi vivi, è impossibile, ma è comunque lo scopo ultimo della vita, e così grandi menti lottano per curare le malattie perché la gente possa vivere più a lungo, ma solo i pazzi si domandano il perché. Si vive più a lungo per poter vivere più a lungo. Senza altro scopo. Questo dice il fantasma.
Suona familiare?
Ora Fedro, rivolto il coltello contro il fantasma della razionalità e insieme contro se stesso, ritorna a sua volta come fantasma, a perseguitare la "nuova personalità" che ha preso il suo posto.
E la caccia al fantasma ricomincia, con un nuovo inseguitore.
Ecco la mia sintesi della prima parte del libro e del Chautauqua, premessa a quell'indagine sui valori che fa da sottotitolo all'opera e verrà approfondita nelle tre parti successive.
Aggiungo soltanto, a chiusura del post, una breve nota autobiografica, sulla storia del mio interesse per il libro di Pirsig.
Con ragionevole certezza, lessi per la prima volta Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta nel 1983, perché ricordo bene che all'epoca avevo già letto molti dei dialoghi di Platone e senza dubbio il Fedro. E non ci misi molto a comprendere di avere tra le mani qualcosa di importante e in un certo senso rivoluzionario, uno di quei libri capaci di determinare degli autentici cambi di prospettiva, anche a dispetto di quel che dice, al riguardo della parola scritta, proprio il Fedro. Ma ricordo altrettanto bene che, pur condividendola in molti punti, non condivisi proprio in toto la sua argomentazione. E trovo che sia stato meglio così.
Altra ragionevole certezza, che mi ha accompagnato per decenni, è che un giorno sarei tornato a leggere Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta. Senza poter tuttavia prevedere che sarebbe accaduto a così tanto tempo di distanza dalla prima volta e a ridosso di due diversi anniversari, dei quali mi sono accorto solo in fase di preparazione di questi post per il blog. Uno di questi due anniversari è l'avvicinarsi del quarantennale della prima pubblicazione italiana del libro, l'edizione Adelphi del 1981. L'altro è sempre un quarantennale ma di tipo molto più personale, e riguarda la mia pratica della meditazione Zen, iniziata nel dicembre 1980. Ma, ripeto, non avevo preventivato nulla in tal senso. E' semplicemente accaduto.
* * *
L'immagine di apertura del post è: Alex Colville, West Brooklyn Road (1996).
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