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The Pleasure of Pain II: L'oratore provenzale [Marquis de Sade]




* * *


Hyacinthe Rigaud, Louis XIV (1701)
Sotto il regno di Luigi XIV, arrivò in Francia un ambasciatore persiano. Re Luigi amava chiamare alla sua corte stranieri di ogni nazione, in modo che potessero ammirare la sua grandezza e riportare ai loro paesi qualche scintilla dei raggi di gloria con i quali copriva i due estremi della terra. L'ambasciatore venne accolto magnificamente a Marsiglia. I magistrati del tribunale di Aix, seconda tappa dell'ambasciatore, non vollero naturalmente essere da meno di una città che, con scarse ragioni, ritenevano inferiore alla loro. La loro prima preoccupazione fu quella di dare il benvenuto all'ambasciatore. Rivolgergli un discorso in provenzale sarebbe stato semplice, ma l'ambasciatore non avrebbe capito una parola. Sembrava una difficoltà insormontabile.

Il tribunale si adunò. In effetti basta poco per riunirlo: un processo di contadini, qualche schiamazzo a teatro o, soprattutto una faccenda di donnine allegre. Sono tutte questioni di grande importanza per quel branco di magistrati oziosi, da quando non è loro permesso, come ai tempi di Francesco I, mettere a ferro e fuoco la provincia, inondandola con il sangue degli infelici che la popolano.

Si aprì dunque la discussione: come riuscire a tradurre il discorso di benvenuto? Si discusse a lungo, senza trovare una via d'uscita. Era forse possibile che in quella congrega di mercanti di tonno, per puro caso rivestiti con le zimarre nere dei magistrati, che non sapevano neppure il francese, si potesse trovare chi parlasse il persiano? Il discorso era pronto: tre celebri avvocati ci avevano lavorato introno per sei settimane. Finalmente si scoprì, non so se in città o in provincia, un marinaio che era vissuto a lungo in Oriente e che parlava il persiano come il suo dialetto. Gli spiegarono il problema. Il marinaio accettò, imparò il discorso e lo tradusse facilmente. Venuto il gran giorno lo rivestirono con una vecchia casacca da primo presidente e gli prestarono la più grande parrucca dell'assemblea. Seguito dalla banda, avanzò verso l'ambasciatore. Si erano messi d'accordo sulle parti da sostenere e l'oratore aveva raccomandato a quelli che lo seguivano di non perderlo mai d'occhio e di imitare assolutamente tutto quello che gli avessero visto fare.


Tiziano, Francesco I / Solimano il Magnifico (c. 1530)


L'ambasciatore si fermò a metà del corso, dove doveva avvenire la cerimonia. Il marinaio fece un compito inchino, ma, poco abituato alla parrucca, la fece volare ai piedi di sua Eccellenza. I signori magistrati, che avevano promesso di imitarlo, fecero altrettanto e chinarono davanti al persiano le teste pelate e poco pulite. Il marinaio, senza perdersi d'animo, raccolse i suoi capelli e se li rimise in testa, cominciando il discorso. Si esprimeva tanto bene che l'ambasciatore lo credette del suo paese ed il pensiero lo fece infuriare.
- Sciagurato! - esclamò, portando la mano alla sciabola - Non parleresti così bene la mia lingua se non avessi rinnegato Maometto. Devo punirti della tua colpa tagliandoti subito la testa.

Lo sfortunato marinaio aveva un bel difendersi. L'ambasciatore non gli dava retta: gesticolava, bestemmiava, imitato in ogni suo gesto da quelli del suo seguito. Per cavarsi dai pasticci, il marinaio ricorse a una prova decisiva: si slacciò i pantaloni e dimostrò di non essere mai stato circonciso. I magistrati provenzali non furono da meno e, in un batter d'occhio, lo imitarono provando che nessuno di loro era meno cristiano di San Cristoforo. Le dame che seguivano la cerimonia dalle finestre scoppiarono a ridere per quella pantomima.
Finalmente convinto della buona fede dell'oratore e di trovarsi in una città di pantaloni, l'ambasciatore alzò le spalle e passò oltre, certo dicendo tra sé: «Non mi stupisce che questo popolo abbia sempre la forca pronta. Per cervello devono essere molto simili agli animali».
Un giovane artista fece della singolare cerimonia un quadro. Il tribunale bandì il pittore dalla provincia e condannò il quadro al rogo, senza pensare che condannava se stesso, in quanto il quadro ritraeva i suoi membri.

- Accettiamo di essere considerati degli imbecilli - dissero i severi magistrati - anche se non lo volessimo, da troppo tempo lo stiamo dimostrando a tutta la Francia, ma non desideriamo che un quadro lo faccia sapere anche ai nostri posteri.


* * *


Opera matura del Marchese de Sade che meno ti aspetti, e che probabilmente sono in pochi a conoscere, L'oratore provenzale è uno dei ventisei racconti che formano la raccolta Histoirettes, Contes et Fabliaux, pubblicata nel 1926 a cura di Maurice Heine.* Di lunghezza tra loro molto variabile (da una ad alcune decine di pagine), e tutte composte da Sade nei suoi anni di reclusione alla Bastiglia, le storie della raccolta si situano, come generi e tematiche, a metà strada tra Boccaccio e La Fontaine, con addirittura alcune escursioni nel genere delle storie di fantasmi, quest'ultime con ogni probabilità orecchiate dal Marchese quando ancora percorreva, da uomo libero, i sentieri della sua Provenza. Mentre degli altri ventitré racconti da lui scritti durante la stessa prigionia, undici sono andati a comporre le Les crimes de l'amour, una delle sue opere pubblicate con Sade ancora in vita, e dodici sono andati perduti.

Ho scelto, di tutta la Histoirettes, questo racconto non solo perché è della lunghezza appropriata per un post, ma anche perché testimonia bene sia della vivace vena umoristica che percorre la maggior parte dei testi della raccolta sia della feroce critica di Sade nei confronti del potere politico e legislativo vigente nella Francia pre-rivoluzionaria, oltre che, dettaglio non secondario, della sua empatia di fondo con il popolo dei diseredati a cui lui stesso aveva finito per appartenere, almeno nella carne se non ancora nello spirito. Del resto, il Marchese aveva i suoi validi motivi per avercela con la corte di giustizia di Aix, cittadina dove fu eseguita in effige la sua impiccagione in conseguenza del cosiddetto "affaire di Marseille". 
Ma ho anche molto apprezzato il sapore fiabesco dell'insieme del racconto, contrastante con tutto quel a cui ho accennato sopra, e dell'incipit in particolare, con quel tono da "C'era una volta" nel suo rimandare al regno di Luigi XIV, il Re Sole, come a una sorta di già lontana età dell'oro. Forse, anche in questo caso, è tutta ironia, ma la suggestione trasmessa da quei raggi di gloria che coprono i due estremi della terra non si cancella comunque.

[I. L.]


* * *


Dei ventisei racconti, venticinque erano inediti e uno già apparso nel 1881 a cura di Anatole France. Gilbert Lely, in Vie du Marquis de Sade (1952), dà Les dangers de la bienfaisance come titolo del racconto già edito. Gianni Nicoletti dà invece, nella nota bibliografica per Newton Compton (1992), il titolo Dorci ou la Bizzarrerie du sort. Non ho trovato in rete alcuna traccia dell'esistenza di un racconto di Sade con il primo dei due titoli indicati.
La versione de L'oratore provenzale qui presentata è tratta da: Donatien Alphonse Françoise de Sade, Histoirettes. Collana I jolly n. 14; Editoriale Corno, 1966. Cura e trad. di Gianni Frati.

Commenti

  1. Si effettivamente è un De Sade che non ci si aspetta. Molto più vicino a Boccaccio che ai suoi scritti più conosciuti. Una ventina di anni un paio dei racconti sui fantasmi del "nostro" se non erro furono pubblicati sulla rivista" l' Eternauta".

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    1. Che notizia, Nick! Conosco "L'Eternauta" ma non la seguivo più di tanto e non avevo nessuna idea della pubblicazione nelle sue pagine delle storie di fantasmi di de Sade. Sarebbe utile riuscire a sapere quali sono esattamente i numeri.

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  2. In effetti se avessi letto questo racconto senza indicazione alcuna e poi mi avessero chiesto: "Chi pensi che sia l'autore? E' un francese del XVIII secolo" non avrei mai pensato a Sade, semmai a qualche illuminista scherzoso.

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    1. In effetti con questo post sono andato un po' fuori tema. Qui di "piacere del dolore" c'è davvero poco... ;-)

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  3. Simpatica quell'edizione Corno anni Sessanta... chissà quanto è fedele agli scritti di De Sade e quanto invece è stato cambiato per alimentare gli istinti pruriginosi dei lettori dell'epoca.

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    1. Che mirassero a solleticare gli istinti pruriginosi non ci son dubbi, visto che hanno messo dipinti di donne ignude perfino sulle copertine dei due volumetti del romanzo "La marchesa di Gange" (sempre di de Sade), dove di donne ignude non v'è traccia ;-D

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  4. Non me lo aspettavo, te lo confesso, ma è una piacevole sorpresa. Anche se le incursioni nelle storie di fantasmi sarebbero decisamente più nelle mie corde. P.S.: che fatica fare la commentatrice seriale! Non sono abituata, e chissà se riuscirò a reggere i tuoi ritmi di pubblicazione fino alla fine...

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    1. Coraggio che siamo quasi al giro di boa. E dopo comincia la parte più prettamente cinematografica... ^__^
      Riguardo alle storie di fantasmi sadiane, sono molto semplici, nello stile tipico dei racconti contadini che narrano di rivisitazioni di morti. Più folcloristiche che horror.

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  5. Il racconto mi ha divertito molto, davvero un De Sade boccaccesco!

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    1. Se poi pensi che è nato tra le pareti della cella di una tetra prigione...

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    2. Io la mano di Sade l’ho riconosciuta.
      Riconosco quell’ironia alla “rovescia “ che permea credo molte delle sue opere.
      Credo che non tanto in questo racconto, ma anche in suoi scritti più conosciuti ci sia quel senso di grottesco e comico sulla morale al rovescio.
      Ti faccio un esempio, non so se su le 120 giornate o sulla Justine ( credo di averne letto qualche capitolo in qualche antologia erotica) non mi pare nella Filosofia.
      Ci sono situazioni comiche dove il Marchese cerca di farti sorridere anche nella descrizione dei crimini più abominevoli.
      Ricordo dove racconta di Libertini che sodomizzano un prete finché questo passa dalle benedizioni al buon Dio alle bestemmie con Ilarieta’ dei suoi aguzzini .
      Ma con una descrizione della scena che paradossalmente la rende “comica”.
      Non so se questa “ironia “ ci sia anche in altri autori come Apollinaire ( di cui ho letto un racconto e non mi sembra) o in Ducasse.
      Poi avendo letto la biografia e quindi le sue vicende giudiziarie riconosco i giudici del’ Aix e qualcosa di “ironico” l’ho trovato anche il Lettere da Vincennes...negli scritti dedicati all’odiata suocera ad esempio.
      Insomma un Sade che ci ride sopra e vuol far ridere mi è familiare.
      Ciao

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    3. Ciao Massimiliano! No, il tipo di ironia che si può rilevare in de Sade non mi pare di poterla rintracciare anche in Lautréamont. Su Apollinaire invece non so dirti, è un autore che conosco molto poco.
      Ma quale biografia di de Sade hai letto? Forse quella di Gilbert Lely?

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  6. Ciao .
    No non ho mai letto una biografia ufficiale di De Sade.
    Quello che so l’ho trovato nel web e nelle note biografiche a cura di Martino Conserva contenuti nei due libretti del 1996 che ho in casa.

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  7. Davvero curioso questo racconto, anche se è fortemente impregnato dello spirito dissacratorio dell'epoca. Secondo me l'esaltazione dell'età dell'oro di re Sole è puramente sarcastica. La presenza dell'ambasciatore persiano mi ha fatto anche pensare a "Lettres persanes" di Montesquieu.

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    1. Penso anch'io che l'esaltazione iniziale sia almeno in parte ironica. Ho riletto di recente una lettera privata di Sade, e quindi degna di fede, in cui lui precisa al suo interlocutore la propria difficile posizione: idealmente si ritiene fedele al re ma non ne ammette gli abusi di potere, il che lo ha portato in un primo momento a simpatizzare con la rivoluzione, per poi prendere nettamente le distanze anche dagli abusi di questa. Sade non pare insomma mai andare d'accordo col potere, che sia monarchico o repubblicano. Tanto più che non mancherà di puntare il dito anche contro Napoleone e le sue mire espansionistiche.

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