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The Pleasure of Pain II: Il mal d’aurora, ovvero il disfacimento della morale secondo Lautréamont [T.O.M.]




* * *


Io faccio in modo d’usare il mio genio per dipingere le delizie della crudeltà!
Voglia il cielo che il lettore, fatto ardito e un po’ feroce come ciò che leggerà, trovi speditamente l’erta e selvaggia via nella palude atroce di queste cupe pagine, colme di malsania.¹
Aria. Quasi mi manca l’aria. Una sensazione di violenza psicologica mai provata prima. Asfissiante. Ossessiva. Opprimente. Sono settimane ormai che vivo dentro questa gigantesca bolla che comprime letteralmente il mio corpo e soffoca il mio spirito in un’atmosfera di terrore. L’idea che malauguratamente mi è balzata in mente per onorare lo speciale ottobrino di Ivano Landi ne è stata cagione. Ma ormai non posso più tirarmi indietro. Potrei voltare le spalle a ciò che ho visto, ma sarebbe ormai troppo tardi. Non si torna indietro dopo aver guadato l’infernale fiume che bagna Babilonia, la grande prostituta, madre di abomini e di lordure!²
Nevrotico. Isterico. Scrivo e cancello subito via gli interminabili refusi. Sembra quasi che qualcuno si diverta a confondermi. Ma la realtà è che è tutto nella mia mente, in quell’enorme bolgia che è la mia mente. Come dite? Che tipo di droga mi sono preso? Nessuna. Assolutamente nessuna. E adesso potete anche spedirmi al sanatorio. Speranza, piange disfatta, e Angoscia, dispotica e sinistra, pianta sul mio cranio riverso la sua bandiera nera.³
Dicono che il cervello sia in grado di produrre delle endorfine in grado di simulare gli stessi stati di euforia o di sonnolenza di certi alcaloidi. Probabilmente è vero. Anzi, lo è sicuramente. Viceversa non si spiegherebbero gli orgasmi. Viceversa non si spiegherebbe ciò che scrivo.
Leggere, scrivere. Sono le due incognite di questa mia stessa fallimentare equazione. Arduo scrivere e leggere di colui di cui non si sa nulla, morto ventiquattrenne lasciando un solo libro. E che libro! Una vertigine infinita! Altro che Hoffman! Altro che McKenna!
Immergersi nelle morbose pagine di quel poema in prosa, così brutalmente imbevute di maledettismo rimbaudiano, il cui titolo richiama, se letto alla francese, quel “mal d’aurora” di vampirica memoria, è un’esperienza che può devastare o esaltare. Dipende tutto dalla prospettiva. O appunto dall’umore che solo le prime luci del giorno, quelle che precedono il crepuscolo del mattino, possono spostare da una parte all’altra come un interruttore. Vi è mai capitato di chiedervi se tutto ciò che percepiamo è reale? Se ciò che definiamo bene è bene e se ciò che definiamo male è male? La differenza è sarcasticamente sottile. Specie se siete voi il Male. Specie se siete voi Satana. Specie se siete voi la bella donna il cui nome è Prostituzione o se siete voi la Bestia che ricevette potere, trono e prestigio e il cui nome si può tradurre nella misteriosa cifra umana 666.
O forse più semplicemente il Male sono io, il lettore, lo scrittore, il blogger che dall’alto del suo sentenziare non fa altro che aggredire, puntare il suo dito accusatore sul suo prossimo, su chi s’interpone tra sé e la soddisfazione dei suoi desideri, su Dio e sugli uomini, indifferentemente. Proprio come fece Maldoror.


Becchino, è bello contemplare le rovine delle città; ma è più bello contemplare le rovine degli uomini!

È tempo di stringere il freno alla mia ispirazione e d’attardarmi un momento per strada come quando s’osserva la vagina di una donna. Occorre esaminare il cammino percorso per poi slanciarsi, a membra riposate, con un balzo impetuoso.
Sono convinto che, al pari del sottoscritto, siano in molti ad aver sentito nominare per la prima volta il Conte di Lautréamont, pseudonimo di Isidore-Lucienne Ducasse, una dozzina di anni fa, in occasione dell’uscita del primo “Misteri d’Italia”, il celebre dossier allegato al magazine cinefilo Nocturno. Naturalmente, in tale contesto il poeta francese veniva citato solo come autore dei versi che ispirarono l’omonimo film perduto di Alberto Cavallone, il surrealista che tentò di essere più surrealista di Buñuel. Non sono invece certo che siano in molti quelli che hanno tentato di scoprire cosa davvero si cela dietro l’altro grande mistero, ben più grande di quello che avvolge una pellicola che solo pochi eletti hanno visto.
È il mistero Ducasse, il mistero di colui che, insieme a De Sade, ha inferto i più gravi danni all’edificio della letteratura occidentale, ispiratosi in parte all’Apocalisse ma anche, come lui stesso riferisce (in una lettera all’editore Verboeckhoven), agli scritti di Adam Mickiewicz, Lord Byron, John Milton, Robert Southey, Alfred Louis Charles de Musset-Pathay e Charles Baudelaire, tutti autori che già prima di lui avevano “cantato il Male” per indurre l’uomo al bene.
E mai nessuno prima di Lautréamont aveva personificato la malvagità con tale enfasi. E mai nessuno lo avrebbe fatto dopo di lui, nonostante siano passati sei quarti di secolo da quel 1868 che vide il poeta trasferirsi a Parigi e dare alle stampe, come anonimo, il primo canto di Maldoror.
Un essere sadico e impietoso senza alcun freno, che si rivolge con inaudita violenza verso il suo prossimo, chiunque esso sia, senza distinzioni di età, sesso e natura. Egli dispiega per centinaia di pagine la sua furia smisurata, il suo odio contro Dio e contro gli uomini. Egli brama il disfacimento e da esso trae soddisfazione.
Razza stupida, idiota, ti pentirai di comportarti così. Te lo dico io. Te ne pentirai, stai certa che te ne pentirai! La mia poesia sarà solo per attaccare, con ogni mezzo, l’uomo, questa bestia feroce, e il Creatore che non avrebbe dovuto generare una simile canaglia. I volumi s’ammucchieranno sui volumi, sino al termine della mia vita, e tuttavia non si vedrà, in essi, che quest’unica idea sempre presente nella mia coscienza.

Da dove può venirmi questa profonda ripugnanza per tutto ciò che è umano?
Ma chi è quell’essere sadico e impietoso? In un certo senso è lo stesso Lautréamont, il narratore, colui che riferisce gli avvenimenti di cui in prima persona è artefice, e che si cala manifestamente nei panni del suo personaggio. Ma in un batter di ciglia il narratore e il suo personaggio si scindono; il primo fa un passo indietro, e cessa di identificarsi con quell’essere sadico e impietoso. Un altro batter di ciglia e il personaggio cessa di essere artefice e diviene un semplice testimone. C’è un continuo e inafferrabile alternarsi di identità da una pagina all’altra e spesso all’interno della stessa pagina. Non è accidentale, come qualcuno potrebbe speculare, bensì surreale, che poi è la cifra stilistica che rende Ducasse così unico.
Ma chi è quell’essere sadico e impietoso? Un uomo, un mostro, un vampiro. Ecco, forse vampiro potrebbe essere la descrizione più pertinente. Sarà per via della fissazione per il sangue, sarà per via del candore della pelle. Sarà per via della ferocia. Ma anche un vampiro, prima di essere un mostro, è stato anch’esso un essere umano. E cosa c’è di più umano del voler provare a raccontare l’orrore di una società ipocrita e bestiale? L’opera di Ducasse, nel suo complesso, fu una radicalizzazione del concetto della “morte di Dio”, e contemporaneamente una spietata critica alla società borghese in disfacimento della seconda metà dell’Ottocento. E se tutto ciò era vero nel 1868, allora lo è ancor di più oggi.
Nei suoi primi anni, quando viveva felice, Maldoror fu buono. Straordinaria fatalità, s’accorse dopo d’essere nato cattivo? Celò il suo carattere per moltissimi anni e finché gli fu possibile; però alla fine, a causa di tanta concentrazione, per lui innaturale, ogni giorno il sangue gli montava al cervello; finché, non potendo più sopportare simile esistenza, si gettò senza indugi sulla via del male… dolce soluzione!
Chi di noi può affermare di non essere nato e cresciuto nella totale fiducia in Dio e nel genere umano?  E chi di noi può affermare di non essersi mai sentito tradito da entrambi? C’è sempre un’età in cui la prospettiva cambia, drasticamente o progressivamente, e iniziamo a provare odio. Il male, l’odio, sono quindi ben lungi dal poter essere considerati la nostra originale passione e proprio questo, il dolce ricordo di quel miltoniano paradiso perduto, che ci monta al cervello, ci spinge a eccessi furiosi verso Dio e verso gli uomini.
E non è strano che in questo opinabile discorso io abbia voluto infilarci Dio, pur senza arrivare agli estremi maldororiani in cui l’essere supremo, colui che si fa chiamare Creatore, non sarebbe altro che un antropofago seduto su un trono fatto di merda umana e oro, il corpo ricoperto d’un sudario fatto con sudicie lenzuola d’ospedale, in mano il torso putrefatto di un uomo morto e tra i piedi una pozza di sangue ribollente. In fondo, non siamo forse noi stessi i primi ad attribuire a Dio le nostre fortune? Perché quindi non attribuirgli anche le sfortune? O per quest’ultime pesano solo i nostri peccati? E che dire dei cinghialetti dell’umanità?


Sazio di uccidere sempre, ormai continuavo a farlo per semplice abitudine.

Chi mai capirà perché assaporiamo non solo le ordinarie disgrazie dei nostri simili, ma anche quelle particolari degli amici più cari pur essendone al tempo stesso dispiaciuti? Un incontestabile esempio per chiudere i conti: l’uomo dice ipocritamente di sì, e pensa no. 
C’è un gusto quasi sadico nell’osservare il nostro vicino di casa o di scrivania e sperare che qualcosa gli vada storto. In fondo anche questa è una vecchia storia. Non siamo capaci di lavorare su noi stessi per migliorarci e sguazziamo nella nostra mediocrità fingendo sia un’eccellenza. Tanto, il mondo è fatto di poveri idioti che non siamo noi. È la stessa logica per cui, quando andavamo a scuola, c’era chi chiedeva agli insegnanti di abbassare i voti dei compagni. Ed è la stessa logica per cui riceviamo maggior piacere dalla cazziata al collega di quanto ne riceviamo da una pacca sulla spalla. Entrambe le cose contano niente, nel nostro piccolo mondo.
Se uno dei tuoi compagni ti offendesse, tu non saresti felice di ucciderlo? - Ma è proibito! - Non quanto credi. Si tratta solo di non lasciarsi arrestare. La giustizia espressa dalle leggi vale niente; ciò che conta è la giurisprudenza dell’offeso.
Ma chi è quell’essere sadico e impietoso? Non certo Maldoror, che, ormai dovremmo averlo capito, non è altro che un grande inganno. E che ne è del mistero Ducasse? Nessun mistero: è solo l’inganno dello specchio, quello dove osserviamo il male dimentichi che nell’immagine che esso ci rimanda ci siamo noi stessi. Maldoror è più spesso passività sofferente, non è affatto quell’efferato sadico che avevamo in mente. Maldoror prova moti di pentimento per le sue azioni. Bestemmia e si mortifica. Compie atti osceni e malvagi e se ne dispiace. Noi abbiamo mai provato pentimento? Molto meglio voltare le spalle e voltare pagina. In fondo siamo giudicati da leggi scritte da furbetti come noi, che si guardano bene dal darti la precedenza alle rotonde, che si guardano bene dal fare la differenziata, che si guardano bene dal tenerti aperto il portone quando stai arrivando di corsa urlando e sbracciandoti, magari arrancando fradicio sotto la pioggia.
Aria. Quasi mi manca l’aria. Una sensazione di violenza psicologica mai provata prima. Asfissiante. Ossessiva. Opprimente. Ormai non posso più tirarmi indietro. Non si torna indietro dopo aver gettato lo sguardo oltre l’infernale cristallo che riflette Babilonia, prostituta madre di abomini e di lordure! 


* * *

Note bibliografiche


¹ Lautréamont, Canti di Maldoror, © 2010 Barbès Srl, pp. 252, ISBN 9788862941235

² Liberamente tratto dal libro dell’Apocalisse, 17:6

³ «L'Espoir, Vaincu, pleure, et l'Angoisse atroce, despotique, Sur mon crane incline plante son drapeau noir.» (Spleen, Les Fleurs du mal, Charles Baudelaire, Paris, 1840)

 Carmine Mangone, Maldoror e la verità pratica, (cc) Ab imis, Laureana Cilento (SA), 2017, pp. 92, ISBN 9780244022273.

 Per una descrizione fisica di Maldoror si faccia riferimento a questo curioso passaggio che, forse solo per un caso fortuito, richiama alla mente la Kuchisake-Onna del folclore giapponese: «Ho preso un coltello dalla lama affilata e mi sono tagliato le carni nei punti dove le labbra s’uniscono. Per un momento, ho creduto d’avere raggiunto il mio scopo. Ho guardato in uno specchio la mia bocca, che mi ero straziata! Fu un errore! Perché il sangue che colava copioso da due ferite non faceva distinguere se quello fosse davvero il riso degli altri. Però dopo alcuni momenti di confronto, ho visto bene che il mio riso non somigliava a quello degli esseri umani: io cioè non ridevo.»

 Federico Pastore, Genio e follia: il caso Lautréamont, © Il vaso di Pandora: dialoghi in psichiatria e scienze umane (vol. XVIII, n. 1, 2010).

⁷ Maurice Blanchot, Lautréamont e Sade, © 2003 SE srl, pp. 208, ISBN 9788867233625

* Tutte le immagini di accompagnamento all'articolo sono opera di Santiago Caruso e sono tratte da: Conde de Lautréamont, Los cantos de Maldoror. Valdemar Edición, Colección Gótica n. 100; 2016, pp. 432, ISBN: 97884-7702-819-2


* * *


Prima o poi doveva accadere in questo Speciale. Di accostare Lautréamont a de Sade, intendo dire. I due autori cioè, che nelle parole citate dall’autore di questo post, hanno “inferto i più gravi danni all’edificio della letteratura occidentale”. Nulla di simile era mai esistito prima di loro. E neanche dopo, per la verità, come se le loro opere avessero davvero posto dei segnali di limite, delle pietre di confine, ma sul bordo di qualcosa al di là del quale non vi è alcuna Terra Incognita da esplorare, bensì un puro insondabile Abisso. Che poi, a fare questo accostamento, sia stato proprio TOM di The Obsidian Mirror, l’ideatore in primis di The Pleasure of Pain, non mi ha affatto sorpreso. (Vi invito a leggere, se non l’avete ancora fatto, i post del primo ciclo dello Speciale a cominciare, naturalmente, dall’introduzione: Il piacere della sofferenza). Mi ha semmai sorpreso, in positivo, la forma con cui TOM ha scelto di proporcelo, a metà tra l’analisi e il racconto, con quegli echi kafkiani che sembrano connaturati alla sua particolare verve narrativa e sono la sua firma ogni volta che lui dà briglia sciolta alla sua creatività. Ho così ragione di credere che anche voi abbiate apprezzato, altrettanto di quanto l’ho apprezzata io, questa sua singolarità di esposizione.


Lo stesso TOM poi, insieme al testo dell’articolo, mi ha anche passato in allegato due immagini. Alla fine, come avete potuto constatare, ci siamo accordati su altre immagini, più strettamente collegate all’opera di Lautréamont, ma ho deciso di approfittare dello spazio di questa mia post-fazione per presentarvele ugualmente.

La prima, relativa al film Ichi the Killer (Koroshiya 1) di Takashi Miike, è quella che vedete riprodotta subito sopra. L'altra, proposta qui a lato, mostra invece una figura del folclore giapponese chiamata Kuchisake-Onna (vedi, più in alto, la nota bibliografica n. 5). Io, che sono (o meglio ero) totalmente ignorante in materia, non ho nulla di mio da aggiungere, ma sul secondo soggetto vi invito a leggere questo antico post del blog The obsidian MirrorKuchisake-Onna, mentre sul primo ad attendere semplicemente l'arrivo della sezione novembrina di questo Speciale, più esplicitamente dedicata alla settima arte. Lì avrete tutte le risposte che potete desiderare, e per di più da uno dei pesi massimi in fatto di cinema. Quindi, keep your eyes open, boys and girls! O, detto in altri termini, state in campana, gente! [I. L.]

Commenti

  1. Innanzitutto grazie per le belle parole che hai speso per me nella tua postfazione. L’idea di inserire Lautréamont in PoP2 è venuta in maniera abbastanza naturale, anche se ammetto di essere stato fino all’ultimo tentato da un paio di altre opzioni.
    Lo stile con il quale ho impostato l’articolo è stata una scelta quasi necessaria… in fondo “Les chantes de Maldoror“ è proprio così: chi lo ha scritto, per usare le tue parole, ha dato briglia sciolta alla sua creatività. E la prova è nel fatto che “Les Chants”, di primo acchito, risulta essere una lettura indigesta: occorre una seconda lettura, se non una terza, per entrare in sintonia con l’Autore. Fortunatamente è facile accorgersi che in quelle righe c’è molto di più di ciò che si riesce a cogliere in prima battuta, per cui il resto viene abbastanza da sé. È un po’ come, perdonami l’improprio accostamento, quel film di Alain Robbe-Grillet di cui abbiamo parlato altrove qualche giorno fa. Una volta non basta!
    A proposito invece di quella descrizione di Maldoror riportata nella nota 5, di cui mi sono accorto solo nelle scorse settimane mentre preparavo l’articolo, è davvero singolare come possa essere identica a una figura del folclore giapponese di mille anni precedente. Sono quasi certo si tratti di una coincidenza, ma chissà.
    Takashi Miike si è certamente ispirato alla Kuchisake per il suo killer (anche perché in quegli stessi anni si era sparsa per Tokyo una leggenda metropolitana che ne aveva rinverdito la memoria) ma mi chiedo se si tratti di un puro caso che il suo personaggio fosse così sadicamente malvagio… boh
    Magari ce lo spiegherà qualcun altro nella sezione novembrina di questo speciale… chissà. ^_^

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    1. Grazie a te per questo splendido post, Obsidian! E sì, condivido in pieno l'idea che occorrano almeno tre letture per penetrare l'opera di Lautréamont. Io credo di averle fatte, ma troppo diluite nel tempo, dal momento che ho acquistato e letto il mio primo Maldoror nell'estate 1979. Era la prima edizione della Newton-Compton, che aveva poi la stranezza di intitolarsi "Tutte le poesie", mentre in realtà comprendeva "I Canti di Maldoror", le "Poesie" che poi poesie non sono e le lettere. Quella mia copia è andata però perduta in chissà quale labirinto spazio-temporale e adesso ho l'edizione in cofanetto della BUR in due volumi. In quanto al famoso film di Robbe-Grillet, direi che si lascia guardare e riguardare volentieri, come anche del resto "Giochi di fuoco".
      E curioso anche quanto si prospetti ampia la sezione giapponese dello Speciale, che tornerà in pista già la prossima settimana, con un post di un famoso nippologo abbastanza conosciuto anche da queste parti ^^

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  2. Aspettavo l' intervento di TOM. Sapevo che Maldoror è un suo pallino da sempre. Credo dopo oggi che questo special meriterebbe una bella pubblicazione cartacea.

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    1. Aspettiamo a dirlo, Nick, siamo appena al quarto capitolo su sedici. Il che significa che abbiamo ancora a disposizione ben dodici possibilità per rovinare tutto ;-D

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    2. Bisognerebbe metterci le mani pesantemente per pubblicare. Tra loro i due speciali sono piuttosto diversi e c'è una certa disomogeneità generale che andrebbe piallata. Sicuramente Ivano sta facendo un lavoro miglior del mio... anche perché io ero praticamente assente mentre postavo i vostri contributi.

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    3. Abbiamo già anche il titolo, fornitoci da Lucius Etruscus: "Invito al dolore". Sezione 1: Da Masoch a Pinhead; Sezione 2: Da Sade a Ichi the Killer.

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  3. Avevo sentito parlare di Isidore "Lautremont" Ducasse molto prima, ai tempi dell'università (facevo lingue e letterature straniere, e francese era la mia seconda lingua nel piano di studi). Lessi solo alcune citazioni sul testo antologico, abbastanza da scoraggiarmi a conoscerlo in modo più approfondito. Non c'è dubbio che lui e Sade sono accostabili per la loro anarchia nichilista contro ogni legge umana e morale. Si potrebbe creare un trio ipotetico aggiungendo a loro l'altro francese "folle", Antonin Arthaud (e comunque la lista dei poeti e letterati francesi che hanno perso ogni contatto con la morale è abbastanza lungo, a differenza di quanto è avvenuto qui da noi).
    Complimenti a Seve per le scelte "narrative" di questo post (la citazione baudeleriana l'ho riconosciuta subito, "Spleen" la sapevo a memoria in francese, a suo tempo) e, più in generale, direi che questo special è veramente di livello elevato quanto quello precedente al quale si ispira.

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    1. L'entrata in scena di Artaud non è prevista in questo Speciale, sebbene sia vero che avrebbe potuto offrire spunti interessanti. Anche soltanto perché Eliogabalo è spesso citato da Sade come modello di libertinaggio.
      I complimenti al misterioso "Seve" gli faranno piacere, chiunque egli sia ;-D Intanto io ti ringrazio per la lode dello Speciale. Ciao a presto, e non solo da lettore ;-)

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    2. Come detto nel commento precedente, è solo merito di Ivano se la qualità si è alzata notevolmente. La citazione baudeleriana? Sospettavo non fosse necessaria una nota a piè di pagina (e tu mi confermi che è così), ma alla fine ho deciso di scoprire tutte le carte utilizzate nella stesura del testo, inclusa quella citazione dell'Apocalisse che, se vogliamo, è ancora più famosa.

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    3. Hey, Ariano non ha detto che la qualità si è alzata, ha detto che è pari al precedente... Ed è già abbastanza :-)

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    4. Confermo! Parità di livello qualitativo fra i due special, entrambi su vette di cultura assai elevate.

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  4. Che dire, se leggere Sade è come piantarsi dei chiodi nel cranio (almeno per quella che è stata la mia esperienza), leggere Lautréamont somiglia più a un viaggio lisergico. Non so se questa frase è un parto della mia mente o se l'ho sentita da qualche parte, ma direi che rende bene l'idea. Con Lautréamont, ahimè, sono molto lontana dal traguardo delle tre letture. ^^ Per il resto, avendo letto il post in anteprima prima di tutti voi, ho già avuto tempo per metabolizzarlo abbastanza, quindi non ho domande o altri commenti da fare. :P

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    1. Wow! Sai che proprio ieri, facendo il punto sul post di TOM, mi chiedevo se era possibile sintetizzare in due parole la differenza la differenza tra leggere Lautréamont e Sade. Ed ecco che arriva questo commento con questa definizione straordinaria. E' la prima volta che la sento, ma la trovo azzeccatissima e geniale. Se è un parto della tua mente, non posso che farti i complimenti!

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    2. Chissà. Se la frase è mia, mi avrà di certo ispirato la prima parte dello speciale. ;-)

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    3. Infatti! Ci avevo pensato pure io...

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    4. Hai letto il post in anteprima e, diciamola tutta, ci hai fatto sopra anche un bel po' di editing, prima che lo impacchettassi, infiocchettassi e lo passassi a Ivano. Grazie!
      PS... che strano ringraziare online una persona che fisicamente si trova a un metro di distanza...

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    5. Ma va'!! Parlare di editing è proprio eccessivo... ^^

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  5. Ciao complimenti per l’esposizione così teatrale che hai fatto di quello che hai scritto, molto coinvolgente davvero.
    Ammetto che non lo conoscevo questo conte Ducasse ne le sue opere .
    Son andato a vedere cosa scrivono di lui su Wikipedia (altro che tuttologo ;)e finalmente ho trovato la citazione dal Maldoror che Ivano aveva fatto sull’incontro fortuito tra l’ombrello e la macchina da cucire sopra un tavolo di dissezione.
    Da quello che ho letto e che hai scritto così bene mi viene da pensare a una sola sostanziale differenza tra Lautréamont e De Sade.
    Se fa parte di quegli autori che “han cantato il male per indurre l’uomo al bene” questa è una caratteristica che non ritrovo nelle opere di Sade.
    Aspetto che rilevo quando parli di personaggio che a un certo punto nell’opera si dissocia dall’autore.
    Ma è anche vero che la sua produzione così limitata è poca cosa per poterlo classificare in un determinato concetto filosofico.
    Chissà cosa ci han trovato di così bello in lui i surrealisti?
    Anzi ne approfitto per associarmi anch’io ai complimenti a Ivano per come sta“impaginando “ questo speciale.
    Queste opere d’arte così oscenamente affascinanti mi lasciano stupito , davvero!
    Non conoscevo neppure Santiago Caruso come artista ma qualcuna delle sue immagini sì ...le avevo già viste in giro.
    Infatti avevo pensato un po’ a Dali ‘ e al surrealismo soprattutto nell’ultimo quadro con la chimera che banchetta.

    Mi ripeto ( ma valeva anche per il primo speciale) ..qua c’è solo da imparare .
    Anzi se mi permetti un paragone SEVE ;) il primo speciale , il tuo è molto POP Rock.
    Questi di Ivano mi fa pensare più a una sinfonia di musica classica...fin’ora almeno!
    Comunque entrambi ricchi di contenuti davvero affascinanti!
    Per uno che ama l’argomento come me.
    Massimiliano



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    1. Ciao Massimiliano! Grazie mille, innanzitutto, per gli apprezzamenti rivolti allo/agli Speciale/Speciali! La differenza di impostazione tra me e Obsidian dipenderà forse davvero anche dal fatto che io ascolto quasi solo musica classica mentre credo che Obsidian ascolti in prevalenza pop/rock? Chissà?

      Per quel che riguarda invece il resto del tuo commento, credo che, neanche a farlo apposta, il mio post odierno possa chiarirti almeno un po' di dubbi sulle somiglianze/differenze tra Sade e Lautréamont.

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    2. Pop/rock? nahh.... Dì piuttosto Heavy Metal dei più duri! \m/

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    3. Io negli anni'70 ero un grande fan dei Deep Purple... Basta per l'ingresso nel club? ;-D

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  6. Avevo sentito parlare del Conte di Lautréamont, ma non avevo la più pallida idea dei contenuti della sua opera. Sono andata a leggere qualcosa della sua breve biografia. Che dire? In confronto il marchese de Sade sembrerebbe un'educanda, per quanto ne sappia, e l'eccellente scelta dei dipinti di Santiago Caruso illustra degnamente il contenuto dell'articolo. Originalissima anche la scelta di TOM di mischiare la forma narrativa all'articolo!

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    1. Ma esiste una biografia di Lautréamont? Da quel che ne so, a parte qualche testimonianza relativa agli anni della scuola e le notizie che si ricavano dalle sue lettere, di lui non si sa molto altro. Almeno mi pareva le cose stessero così.

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    2. Ah, ma io per breve biografia intendevo, assai più modestamente, quella che ho rintracciato su Wikipedia. :)

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    3. Credo che Wikipedia dica più o meno tutto quello che c'è da dire.

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    4. Meno male... pensavo di essermi perso qualcosa.

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  7. Va beh Obs, che te lo dico a fare.
    Sono rimasta affascinata da questo articolo, tutto curato, sia forma che immagini e tutto un dire senza però svelare troppo, lasciando intendere ed incuriosendo. Siete stati fantastici, tu ed Ivano.

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    1. ...e chissà cosa sarebbe stato questo articolo se fosse stato illustrato da una fanciulla di mia conoscenza... ^_^

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    2. Grazie per il "fantastico", Alessia. Del resto Lautréamont ha sempre rappresentato una sostanziale possibilità di incrocio di vie tra me e Obsidian. Era inevitabile che prima o poi qualcosa accadesse ^__^

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    3. @ Obsidian
      Sai che nel mentre preparavo questo post per la pubblicazione mi sono davvero chiesto più volte come sarebbe stato averlo fatto illustrare da Alessia?

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    4. Ragazzi non mi fate emozionare!
      Appena diventerò più brava (e più veloce) possiamo provare a creare qualcosa insieme, sarebbe veramente una bellissima esperienza e chi lo sa a cosa si potrebbe dare vita.

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    5. Mi farebbe piacere, anche se poi in verità ti auguro di poterti cimentare in qualcosa di più appagante dal punto di vista economico.

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