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Apollo servo di Admeto - Quarta parte



Avevamo lasciato, un paio di post addietro, il semidio Eracle a gozzovigliare in un'ala del palazzo dell'ospitale Admeto, con l'uomo addetto a servirlo che si lamentava della sua grettezza. Admeto, come ricorderete, ha volutamente ingannato l'eroe con le sue sottigliezze oracolari e gli ha nascosto, pur senza mentire, la vera natura degli avvenimenti in corso altrove, nel cuore della sua reggia. Ma anche il servo, per ordine dello stesso Admeto, deve far finta di niente e tenere tutto per sé il dolore per la perdita della padrona.
Eracle finisce tuttavia lo stesso per accorgersi della tetraggine del servo. Lo invita allora a non darsi troppo pensiero per una morta che in fin conti non è neanche una del casato e a onorare invece con lui Afrodite, "la divinità più gradita ai mortali". Finché, una battuta dopo l’altra, Eracle viene finalmente a sapere che la morta è in realtà la moglie di Admeto (Alcesti, 826-833):
Me ne ero accorto,
a vedere i vostri occhi bagnati di pianto,
i capelli rasati, l'espressione del volto.
Ma era riuscito a convincermi,
dicendo che stava celebrando il funerale di un'estranea.
Ho fatto violenza a me stesso, ho varcato questa soglia
e ho bevuto nella casa di quest'uomo ospitale,
che sta soffrendo questa disgrazia.
E intanto io a fare baldoria, con la corona sulla testa.
Ma è stata anche colpa tua,
perché non mi hai parlato di questa sciagura
che si è abbattuta sul palazzo.
Ma Eracle vuole anche sapere dal servo il luogo della sepoltura di Alcesti, per strappare la donna dalle grinfie della morte e poter così onorare Admeto per la sua ospitalità (Alcesti, 843-857):
Andrò e spierò le mosse di Thanatos,
il dio della morte dal manto nero.
penso proprio che lo scoverò vicino alla tomba,
a bere il sangue delle vittime.
Balzerò fuori dall'appostamento,
e se riuscirò a afferrarlo e avvinghiarlo con le mie braccia,
nessuno riuscirà a liberarlo prima che mi abbia consegnato la donna,
straziato dal dolore ai fianchi.
Se fallisco nell'agguato,
e Thanatos non si accosta alle offerte di sangue,
andrò laggiù, nella dimora di Kore
e del signore degli Inferi, dove non batte il sole,
e la reclamerò: sono sicuro che riporterò Alcesti sulla terra
e la restituirò all'abbraccio del mio ospite,
che mi ha accolto nel suo palazzo e non mi ha respinto,
anche se lo ha colpito una sciagura così pesante,
e anzi, me ne ha tenuto all'oscuro, per riguardo.

Gustave Moreau - Ercole al lago di Stinfalo 
(1875-1880)

Eracle, l'eroe per antonomasia, sembra in realtà caratterizzato da un eccesso di Thymos e quindi forse, se consideriamo uno dei frammenti superstiti di Eraclito, da una carenza di PsycheIl thymos quel che vuole lo compra al prezzo di psyche, afferma il sapiente di Efeso (cfr. Diels-Kranz, fr. 22 b 85).
Non a caso nell'antichità fu oggetto di dibattito se Eracle a Eleusi fosse stato davvero iniziato ai grandi misteri, come sostenevano alcuni. Molte cose di lui e del suo agire, come anche della sua 'filosofia', fecero pensare piuttosto a un'iniziazione in tono minore, del genere di quelle rivolte alle masse contro cui si scagliò ancora Eraclito (Tonelli, fr. 38):
le iniziazioni ai misteri in uso tra gli umani non hanno nulla di sacro.
Di grande interesse è anche un esempio in tema proposto da James Hillman, attraverso il quale il grande psicologo junghiano ci mostra come la prospettiva di acquisto e perdita del frammento eracliteo appaia esattamente rovesciata se esaminata dal punto di vista della coscienza ordinaria (Il sogno e il mondo infero, 71):
Il passaggio dalla percezione fisica tridimensionale alle due dimensioni della riflessione psichica è dapprima avvertito come una perdita: svanito il thymos, rimaniamo affamati, piagnucolosi, paralizzati, ripetitivi. Abbiamo bisogno di sangue. La perdita è effettivamente un segno caratteristico delle esperienze del mondo infero...
E cos'altro è se non l'incapacità a sostenere questo senso di perdita che rende così difficile la catabasi, la discesa agli inferi, nonostante non esista una sola tradizione religiosa o iniziatica che non ne abbia evocata la necessità assoluta?

Johann Heinrich Füssli
Theresias erscheint dem Ulysseus
während der Opferung (1780-85)

E' noto, soprattutto dai racconti omerici, che le ombre dell'Ade acquistano Thymos, o sostanza vitale, attraverso l'assunzione di sangue. Euripide, nel finale di Alcesti, ci mostra Eracle che riporta la donna al marito Admeto dopo averla strappata alla morte, ma a passaggio già avvenuto. Il che significa che Admeto può sì vederla e anche toccarla, ma la comunicazione tra i due è a senso unico: solo al sorgere del terzo giorno la donna avrà riacquistato la pienezza di thymos e phrenes - i due elementi il cui possesso soltanto differenzia i vivi dai morti - e il suo legame con gli inferi sarà reciso. Viene così a crearsi un effetto speculare all'interno della tragedia con Alcesti di nuovo situata, nel finale come all'inizio, in uno stato ambiguo di sospensione tra la vita e la morte. La differenza è la direzione del movimento: verso l'al di là dello specchio all'inizio, verso l'al di qua dello specchio nel finale.  
Nell'immaginazione omerica, i morti sono privi delle phrenes e del thymos e per questo chiedono a Odisseo il sangue della vita. Achille (Iliade, XXIII, 100 sgg.; cfr. XI, 204-22) spiega cosa è presente  e cosa non lo è nel mondo infero: «Ahimè, v'è dunque anche nella casa di Ade una psyche e un eidolon [un'anima e un fantasma]; di phrenes [polmoni] invece al suo interno non ve ne sono affatto». Secondo Onians, le phrenes si riferiscono alla coscienza-respiro dei polmoni e alla sua voce. I morti (con l'eccezione di Tiresia) non possiedono questo tipo di coscienza derivante dai quotidiani scambi vitali tra interno ed esterno.
Questo era ancora Hillman (Il sogno e il mondo infero, 62-63), che cito per chiarire il significato del termine phrenes.

Mentre per il termine thymos mi rivolgo all'epistemologo e filosofo della scienza Karl Popper (L'Io e il suo cervello, pag. 190), che si appella a sua volta, come Hillman, all'opera di Onians Le origini del pensiero europeo:
Della massima importanza in Omero è thymos, la sostanza vitale, il soffio impalpabile dell'anima, il materiale attivo, dotato di energia, capace di sentire e di pensare, che è in stretta relazione col sangue. Il thymos ci lascia quando sveniamo o, con il nostro ultimo respiro, nel momento della morte. In seguito questo termine subisce spesso una restrizione di significato, così da denotare coraggio, energia, spirito, vigore. Psyche invece, (pur essendo talvolta usato come sinonimo di thymos) difficilmente è un principio di vita in Omero, come lo è negli autori successivi (Parmenide, Empedocle, Democrito, Platone, Aristotele). In Omero sono piuttosto i poveri resti che rimangono quando moriamo, la misera ombra inintelligente: il fantasma che sopravvive al corpo: «non partecipa alla coscienza ordinaria"; è ciò che "persiste pur senza coscienza ordinaria (o vita ordinaria) nella casa dell'Ade, (...) la sembianza visibile ma impalpabile del corpo un tempo vivente"». Così, quando nell'undicesimo libro dell'Odissea Ulisse visita l'Oltretomba, la casa cupa e tenebrosa dell'Ade, trova che le ombre dei morti sono quasi completamente senza vita finché non le ha nutrite di sangue, la sostanza che ha la facoltà di restituire una parvenza di vita all'ombra, la psyche.

Anselm Feuerbach, Il simposio (1873)

Altre versioni dello stesso mito non ritengono tuttavia necessario l'intervento di Eracle. La dimostrazione di amore estremo di Alcesti nei confronti dello sposo è di per sé sufficiente a permettere che sia la stessa Kore, Persefone, a restituirla di sua iniziativa al mondo dei vivi (Platone, Simposio VII):
E invero solo gli amanti sanno voler morire per la salvezza degli amati: non soltanto gli uomini, ma anche le donne. Piena testimonianza di ciò l'offre ai Greci la figlia di Pelia, Alcesti. essa che volle, sola, morire invece del suo sposo, mentre pure egli aveva il padre e la madre: che essa tanto superò nell'affezione per forza d'amore, da dimostrare com'essi fossero in realtà estranei al loro figliuolo e a lui congiunti solo di nome. Compiuta la quale opera, parve non solo agli uomini ma anche agli dei ch'essa avesse fatto una così bella azione, che, pur avendo i numi concesso soltanto a ben pochi, fra tanti autori di molte belle opere, il dono di rilasciare di nuovo la loro anima dall'Ade, la sua anima tuttavia la liberarono, ammirati del suo gesto: in così alto grado apprezzano anche gli dei lo zelo e la virtù d'amore. Orfeo invece, il figlio d'Eagro, lo rimandarono nell'Ade senza che avesse nulla concluso, dopo avergli mostrato un fantasma della moglie, per cui vi si era recato, ma senza avergli concessa lei in persona; perché era apparso di animo fiacco, secondo la sua natura di citaredo, e incapace dell'ardimento di morir per amore come Alcesti, e, piuttosto, preoccupato d'escogitare il modo di penetrare vivo nell'Ade. Appunto per questo gl'inflissero una punizione, facendo sì che ricevesse la morte per mano di donne...
Non sorprende troppo che Fedro in questa parte del Simposio platonico, esortato a dire la sua sull'amore, adatti il mito di Orfeo e Euridice nel modo più conveniente all'efficacia del suo discorso. Più sorprendente è che proprio Orfeo sia preso a modello di vigliaccheria da contrapporre all'eroismo di Alcesti, quando l'esempio più ovvio parrebbe quello, a portata di mano, di Admeto che acconsente che la sua giovane sposa muoia al suo posto. Ma il brano del Simposio appena citato non sembra avere dubbi sulla posizione da prendere al riguardo: non Admeto, ma suo padre e sua madre sono in difetto, "estranei al loro figliuolo e a lui congiunti solo di nome".
Admeto si conferma così il vero personaggio centrale della tragedia. Vittorioso tre volte perché in grado di: 1) attirare su di sé i favori di un dio, Apollo; 2) ottenere il sacrificio d'amore di una donna, Alcesti; 3) procurarsi l'aiuto di un eroe, Eracle.

4 - continua

* * *

L'immagine in alto sotto il titolo del post è: Femmes d'Eleusis di Jean Deville (1931)

Commenti

  1. Probabilmente, quindi, solo l'eccesso di Thymos di Eracle è capace di portare indietro dagli Inferi Alcesti. Dopo aver letto e ponderato qualche minuto su quello che hai scritto, ho pensato proprio questo, pensando anche all'azione di Ulisse, come se desse una 'prima carica' all'anima per permetterle di uscire dagli Inferi e recuperare il proprio Thymos partendo da quella spinta iniziale; spinta che non può esserle data da Admeto perché essendo lui un 're infero', per ricollegarsi al post precedente, probabilmente non possiede il giusto grado di incoscienza vitale di cui invece dispone riccamente Eracle.

    Fra l'altro quel furbone di Apollo simpatizza per una causa che nelle dinamiche - portare indietro i morti alla vita - somiglia all'attività del figlio Asclepio, che è poi la causa del suo esilio temporale!

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    1. Tornerò ancora sui vari problemi irrisolti che presenta la vicenda e l'Alcesti in particolare. Probabilmente la spiegazione è più semplice (ma anche forse più affascinante) di quanto può sembrare a prima vista.
      Buona giornata Alessia :)))

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  2. Un ciclo di articoli molto interessanti, che, come dimostrano le mille informazioni che ci hai dato, si diramano in un'infinità di significati che coinvolgono il mondo antico nel suo complesso. Pur non conoscendo l'autore svedese da cui sei partito, mi sono ritrovata in molte considerazioni su Alcesti, cui ho dedicato la mia tesi di laurea, soprattutto per il problema, di cui parlavi nel secondo post, della sua presentazione come quarto dramma in luogo di un satiresco: Eracle, con questo atteggiamento eroico, sovrannaturale e a tratti scanzonato, porta molto del dramma satiresco in questa tragedia, ma la critica, fuorviata da Aristotele, ha cercato il senso tragico di Alcesti proprio a partire dall'ethos dei personaggi e di Admeto in particolare. Ne sono derivate così tante etichette che non sto a riportarle, ma quel che è certo è che, nel quadro del dramma attico, questo testo risulta spiazzante e molto più complesso di quanto la critica, troppo occupata a rilevae il presunto femminismo di Euripide, voglia ammettere. Grazie per questo tuo percorso, di cui ho apprezzato soprattutto il raffronto - a me prima del tutto ignoto - fra il Tartaro e la Tessaglia: molto affascinante e ricco di spunti!

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    1. Grazie a te Cristina, per la visita e il commento che coglie alcuni punti essenziali del mio discorso che possono sfuggire a chi non ha fatto studi specifici.
      E' proprio per non aggiungere un ennesimo vicolo cieco agli innumerevoli in cui si è prodotta la critica nel corso dei decenni che ho evitato di partire dall'ethos dei personaggi, cioè dalla strada secondo me meno percorribile se si vuole ricavare qualcosa da un testo "complesso" e "spiazzante" come quello dell'Alcesti.
      Ho anche volutamente evitato ogni forma di sistematicità per affidarmi a un percorso del tipo "cerchi nell'acqua". Lancio un sasso e guardo come si propagano le onde, che come hai giustamente notato possono arrivare ad abbracciare un vasto raggio di significati.
      Bello che tu abbia scelto proprio questo testo così affascinante per la tua tesi. E' anche rintracciabile nel tuo blog, almeno in parte?

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    2. Ne ho parlato molto sommariamente nella recensione di Alcesti, con l'intenzione, non ancora realizzata, di approfondire i singoli aspetti (soprattutto Eracle, che mi ha dato, nello studio del dramma, le maggiori soddisfazioni nella ricostruzione della tradizione)... spero di arrivarci, prima o poi.
      Mi piace questa tua idea di procedere per "cerchi nell'acqua": riflette bene il modo in cui la letteratura e l'arte in genere crescono, intrecciando tante storie e tanti nuclei tematici e scoprendo collegamenti inattesi.

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    3. Ne ho approfittato per fare un giro nel tuo blog e ho visto che abbiamo un modo simile di presentare i post, con immagini pittoriche intervallate a parti di testo. E ho anche notato che sei molto creativa nei nomi delle rubriche.
      Cercherò di seguirti con più regolarità d'ora in avanti, visto che il mondo classico è una delle mie più grandi passioni.

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    4. Una passione comune, che farà sì che anch'io cerchi di essere più presente qui nel tuo blog! A presto!

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  3. leggendo questi articoli torno sempre ai miei amati anni di liceo classico ma come con una consapevolezza in più, quella degli studi universitari. Ah se alle superiori avessimo già la capacità di inquadrare tutto in un unico esistenziale!

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    1. Io invece con la scuola non ho mai avuto un buon rapporto. Ero insofferente nei confronti dell'autorità e dei piani di studio.
      Ho cominciato a considerarmi un autodidatta già alle elementari ;D

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  4. Io invece attendo, perché Admeto non mi convince affatto! XD E spero di trovare le risposte nelle continuazioni :D
    Il dubbio è appunto il medesimo prospettato da Alessia: Admeto è in qualche modo esentato da un giudizio di vigliaccheria perché è un re infero?
    Grandissimo lavoro Ivano, questa volta in particolar modo: non conoscevo affatto le tematiche relative a thymos e psyche e, quindi, questo post mi ha davvero affascinato! *__*

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    1. Grazie Glò :)))
      Queste tematiche sono parte del nostro collettivo e ci accompagnano da sempre. Credo che leggerne risvegli in qualche modo in noi degli echi familiari :)

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