Solve et Coagula - Pagina 97
Capitolo 8 - parte 7
Usciti satolli dal Queen’s Head, i due amici indugiarono per un po’ nei dintorni del ristorante, a godersi il sole pomeridiano e continuando a parlare del più e del meno. Poi, a un certo momento, decisero che era tempo di rifare all’indietro le sei miglia che separavano Blyford da Dunwich.
«Abbiamo ancora qualche ora da riempire» disse Maurizio all’arrivo alla macchina. «Ci diamo al birdwatching?».
Ma Massimo, a differenza dell’amico, non era di umore scherzoso. «Io sarei per tornare subito a Londra».
«E dire addio allo spettacolo?» replicò l’altro. «Stai scherzando, spero. Sai cosa faremo invece? Ci stenderemo da qualche parte e passeremo il tempo a raccontarci barzellette e a parlare di cose divertenti. Non voglio che entri nel trip così di cattivo umore, potresti vedere davvero i sorci verdi».
* * *
Luisa avrebbe ascoltato volentieri subito il seguito della storia,
ma suo padre si interruppe per andare in cucina a preparare del
tè. Tolse però prima il disco di Eno dal piatto e averlo sostituito
con un altro dei suoi vecchi vinili. Un istante dopo la stanza era affollata
nuovamente di note, di quelle di pianoforte di Firth of Fifth per l’esattezza. Quel pezzo dei Genesis era uno dei brani
musicali che Luisa preferiva in assoluto e lei comprese così che suo padre voleva metterla in uno stato d'animo il più possibile positivo prima di avventurarsi nella parte più impegnativa, e per lui più dolorosa, della sua rievocazione dell’esperienza di Dunwich.
* * *
Di ritorno a Dunwich, dopo aver parcheggiato l’auto nello
stesso spiazzo di prima adiacente alla spiaggia, i due amici si allontanarono a
piedi di alcune centinaia di metri, camminando lungo il costone di sabbia che
segnava il limite della vegetazione, finché ritennero di avere trovato il posto
che faceva per loro. Sufficientemente appartato ma non troppo lontano dal
centro abitato.
«Pensi che qui saremo anche al riparo dall’alta marea?»
chiese Massimo.
«Che idee strane ti vengono. E poi cosa vuoi che ne sappia
io delle maree?» rispose Maurizio.
«C’era un orologio al pub di Blyford che segnava le maree.
Non lo hai notato?» ribatté Massimo. «E poi io credevo che tu sapessi tutto. E’
per quello che ti ho portato con me».
L’amico rise. «Mi hai portato con te perché nessun altro è
stato altrettanto fesso da farsi convincere».
«Non è vero» protestò Massimo. «Sai benissimo che sei tu il
primo a cui io abbia pensato di chiedere».
Al termine del finto alterco, i due amici montarono prima in silenzio la tenda, poi si sedettero a contemplare il mare, divenuto ormai solo una piatta distesa grigia agitata appena da una brezza insistente ma debole. Eppure, nonostante questo e nonostante la desolazione della spiaggia, a pancia piena il posto non sembrava loro più così ostile come all’arrivo. Perfino Massimo, sebbene non ancora del tutto tranquillo davanti alla prospettiva della serata, appariva visibilmente più rilassato di poche ore prima. Finché cominciarono anche a rimpinzarsi degli scones farciti che si erano portati da Londra, consapevoli che non avrebbero mangiato nient’altro fino all’indomani. Solo quando il sole fu del tutto scomparso dietro la linea dell’orizzonte alle loro spalle, alla luce di una pila tascabile Maurizio fece comparire il 'francobollo' con sopra effigiato Ganesh, il dio elefante indù.
«Direi di cominciare con un quartino da cinquanta microgrammi. Poi vedremo se sarà il caso di aggiungerne un altro o due» spiegò.
Massimo, che non aveva avuto neanche il tempo di documentarsi prima della partenza per l’Inghilterra, era consapevole di dipendere in tutto e per tutto dall’amico e dentro di sé sperava che Maurizio sapesse davvero il fatto suo come sosteneva.
«Tienilo sulla lingua e lasciagli fare il suo dovere. Forse basterà mezzora ma potrebbe volerci molto più tempo. Io non ti perderò di vista un solo istante, ma tu cerca di fare altrettanto con il tuo intento».
«Mi sento come un Carlos Castaneda alle prime armi, ma tu secondo me sei un po’ troppo giovane per fare le veci di Don Juan» ribatté Massimo, scherzando ma anche un po' no.
«Tipico di Carlito non avere fiducia nei suoi maestri» scherzò a sua volta Maurizio.
Mi sta intrigando sempre di più questo viaggio! :D
RispondiEliminaSai che comunque è stato veramente bello realizzare quel disegno per questa tua idea? Mi hai dato una possibilità espressiva immensa prima di tutto perché per la prima volta mi trovavo ad avere a che fare con la rappresentazione di un qualcosa che stava fra due opere e soprattutto perché per la prima volta è stato il lavoro su un disegno a farmi comprendere meglio il significato di quelle stesse opere - o almeno per come io le ho intese!
Quindi adesso mi siedo anche io sulla spiaggia e aspetto di vedere quali segreti nasconde Dunwich Beach.
Ti dirò Alessia, sta intrigando anche me ^_^
EliminaForse vale lo stesso anche per il disegno (non ricordo...) ma scrivere una storia significa anche avere a che fare con gli imprevisti delle situazioni e dei personaggi, che anche all'ultimo istante possono farti deviare dal percorso che avevi stabilito.
P.S. Non so se hai notato, ma adesso di tuoi disegni che compaiono qui a destra tra i post popolari ce ne sono due *_*
EliminaSì penso siano due situazioni creative molto simili da questo punto di vista! :D
EliminaAhah! Ma nooo! Ti sto invadendo la colonnina destraa!
Hai ancora tre posti a disposizione ^_^
EliminaGanesh è sempre stata una delle mie divinità preferite nella mitologia indù!
RispondiEliminaPensa un po'! A me è la prima immagine che è venuta in mente lì per lì...
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