The Pleasure of Pain II - Ichi the killer: L'amore fa male (ma Miike di più) [Cassidy]
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Il 2001 è stato un anno magico per Takashi Miike, il
prolifico pazzoide giapponese, classe 1960, che ha da poco sfondato il muro dei
cento film diretti in carriera e ancora non accenna a rallentare. Se non
bastasse la sua incredibile produttività, a far parlare di Miike è la sua fama
che lo precede in tutto il mondo fin da quel capolavoro di Audition (1999). Nel 2001 il buon Takashi ha leggerissimamente
esagerato sfornando sette film (!), cosette come Visitor Q, una pellicola che
dovreste proprio vedere se pensate che la vostra famiglia sia strana e che,
comunque, sembra un film da prima serata di Canale 5 se confrontato con The Happiness of the Katakuris, una roba
che mescola splatter, animazione a passo uno e... ehm, Karaoke.
Ma senza ombra di dubbio il film che ha definitivamente
sdoganato il folle genio di Takashi Miike è stato Ichi the killer che, visto
il tema trattato, casca a fagiolo per la rubrica “The Pleasure of pain” ed
ancora oggi, a diciassette anni dalla sua uscita, resta uno dei titoli in grado
di prendere a sberle anche gli stomaci più tosti.
"Diamoci una mossa, abbiamo qualche stomaco da prendere a sberle". |
Takashi Miike, per quanto mi riguarda, ha un solo difetto.
Beh, due a dire la verità, ma visto che per la sua congenita follia non
possiamo farci niente, limitiamoci ai difetti cinematografici. Al pari di
Quentin Tarantino (che, non a caso, va pazzo per il cinema di Miike), i suoi
estimatori sono in grado di fare più danni della grandine al cinema stesso. Sì,
perché in troppi hanno capito che per fare film come Miike, sia sufficiente
sbudellare personaggi sul grande schermo per risultare autoriali, quando,
invece, quello che dovrebbe essere chiaro è che Miike riesce ad andare all’essenza
dei personaggi, a fare poesia con le budella: un’idea personalissima di cinema
che riesce bene solo a lui, per cui gli imitatori dovrebbero astenersi.
“Ecco, è passato Miike a fare un altro massacro. Poi tocca sempre a me pulire!”. |
Inoltre, poiché il frullatore mentale di Takashi frulla e
spara fuori materiale rielaborato senza distinzione tra cultura cosiddetta alta
o cultura bassa, non è inusuale vederlo adattare per il grande schermo qualche
Manga, come nel caso di Ichi the killer
(KoroshiyaIchi), scritto da Hideo
Yamamoto, da non confondere con il direttore della fotografia di fiducia di
Miike che si chiama nello stesso modo; ma è solo un caso di omonimia e non
cominciate a dire che tanto gli Orientali sono tutti uguali perché non è vero,
ok?
Cosa vi dico sempre dei primi cinque minuti di un film?
Che mettono in chiaro tutto l’andamento. Quelli di Ichi the killer sono il biglietto da visita di tutta la follia che
vedremo nei 120 successivi minuti. Il boss del crimine Anjo viene rapito e
brutalmente massacrato, e noi spettatori sappiamo fin da subito che l’uomo è
più morto della disco music; a non saperlo, ma soprattutto a non volerci
credere, è il più fedele dei suoi uomini, lo yakuza sfregiato e sadomasochista
Kakihara, e quando dico sadomasochista parlo anche del modo in cui va conciato
in giro che da solo provoca dolore.
“Ah quindi non ti piace la mia giacca? Va bene, non me la lego certo al dito”. |
L’omicidio viene attribuito al letale assassino Ichi,
misteriosissimo, ma famigerato per i suoi metodi “sbudellosi” di far fuori la
gente. Viene da pensare che un assassino che costringe quasi sempre una squadra
con tute e mascherine a dover ripulire dopo il suo passaggio («Anche questa
volta ha fatto un macello») sia una specie di bestia, un incrocio tra Hannibal
Lecter e una granata a frammentazione soltanto più incazzata; beh, più o meno,
perché in realtà Ichi è un ragazzo che definire problematico sarebbe peccare di
ottimismo, mettiamola così, i ragazzi di Mery
per sempre (1989) a suo confronto sembrano studenti modelli, ecco.
Anni di Judo mi hanno lasciato delle cose e prima di
sentirvi iniziare... Sì, facevo Judo come in una canzone di Elio e le storie
tese, allora? Dicevo, il Judo mi ha insegnato come far volare a terra qualcuno
in modo creativo e a contare fino a dieci in giapponese. Nozione che mi torna
utile oggi, perché Ichi, oltre ad essere un nome molto popolare in Giappone
vuol dire anche uno, quindi stiamo parlando di Ichi, l’assassino numero uno.
Ricky Bobby Ichi, la storia di un uomo che sapeva contare fino a uno. |
Peccato che il nostro numero uno entri in scena dopo un
paio di minuti di film, con una tuta in gomma (ovviamente con
un enorme numero uno giallo sulla schiena) che lo fa sembrare la parodia di un
supereroe e la cosa più eroica che fa è... Beh, diciamo masturbarsi mentre spia
un disgraziato gonfiare di botte una prostituta. Non proprio Batman, se vogliamo
dirla tutta. Come fa Miike a mettere in chiaro cosa stava facendo Ichi nascosto
dietro la finestra? Vi prego non fatemelo descrivere, ma se tenete duro dopo i
primi cinque minuti di film, tranquilli, tanto dopo peggiora (storia vera).
Non è per la trama che Ichi the killer verrà ricordato,
di suo sarebbe uno Yakuza Movie (genere popolarissimo in Giappone) piuttosto
lineare: hanno ucciso il boss, il suo fedelissimo deve vendicarlo e al massimo
staremmo qui ad aspettare lo scontro finale tra Kakihara e Ichi. A voler essere
generosi, ci sarebbe la sottotrama di chi ha incastrato Ichi per l’omicidio.
Insomma, niente di rivoluzionario, se non fosse che tutto è stato elaborato dal
cervello a frullatore di Takashi Miike e il risultato finale è ancora qualcosa
di unico nel suo genere.
“No, non esco stasera, sto guardando un film di Takashi Miike. Hai del Travelgum per caso? Sai per la nausea”. |
Dettaglio fondamentale prima di continuare. A differenza
di noi Occidentali, i Giapponesi, quando adattano per il grande schermo
un’opera di fantasia, come potrebbe essere uno dei loro Manga, non si fanno
troppi problemi per risultare realistici a tutti i costi, un limite da cui noi
Occidentali non riusciamo a svincolarci. Per i Giapponesi, invece, se storia di
fantasia dev'essere che lo sia e quindi Ichi, con le sue lame retrattili sui
talloni, può dividere a metà le persone come faceva Goemon con la sua spada in
quasi tutti gli episodi di Lupin. Immaginate questa mancanza di limiti, nelle
mani di uno come Takashi Miike cosa può generare!
Senza troppi vincoli di realismo, quindi, Miike apre il
film con una regia acidissima e popola la pellicola di personaggi assurdi,
partendo da Karen, la prostituta dalla parlata Nippo/Yankee interpretata dalla
bellissima Paulyn Sun (nota anche come “Alien Sun” e ci sarebbe da indagare su
questo soprannome), oppure il viscido e manipolatore Jijii, interpretato da un
altro che, quando distribuivano la follia, era tra i primi della fila insieme a
Miike, ovvero Shinya Tsukamoto, il regista della trilogia Cyberpunk di Tetsuo.
Insomma, una bella banda di matti!
Siamo una banda di bastardi, al soldo dell’uomo del Giappone (Cit.) |
Eppure, il più colorito di tutti resta Kakihara (Tadanobu
Asano); capello alla Billy Idol, guance sfregiate ben prima del Joker di Heath
(detto BIP) Ledger e una serie di giacche e giacchette, molte delle quali color
viola che davvero sembrano state scippate dall’armadio della storica nemesi
dell’Uomo Pipistrello. Sulla questione guance, poi, Takashi Miike regala al
personaggio un’entrata in scena memorabile: lo vediamo di spalle intento a
fumare una sigaretta, con il fumo che invece di uscire come dovrebbe da sopra,
viene sparato fuori dai lati della faccia, entrambi tenuti insieme da un paio
di graffette… alla faccia di chi dice che il Punk è morto.
“Fumare fa male. Ma io posso farvene di più” |
Kakihara è pronto a tutto pur di ritrovare il suo Boss,
anche a pestare i piedi fregandosene della gerarchia interna della Yakuza. Lo
scopre molto presto Suzuki (Susumu Terajima) vittima dell’interrogatorio fatto
in puro stile Kakihara. Il poveretto finisce appeso per la pelle della schiena
a dei ganci appesi al soffitto, un po’ come se fosse uno dei quarti di bue di
Rocky, purtroppo per lui ancora vivo. Bisogna dire che persone appese al
soffitto e un uso, diciamo libertino, degli spuntoni acuminati è un po’ un
marchio di fabbrica del cinema di Takashi Miike (se avete visto Audition non potete certo dimenticarlo),
ma tutto questo serve a raccontarci Kakihara, un sadomasochista che ama l’olio da
frittura e se la ride felice mentre tortura Suzuki. Nemmeno l’intervento dello
Yakuza più alto in grado lo preoccupa; anzi, se la ridacchia felice come se il
dolore di Suzuki sia spassoso come l’ultima puntata dei Simpson.
"Dehihiho, mitico! Guarda come si agita, nemmeno lo stessero punzecchiando con uno spillone. Ah no! Lo sto facendo!". |
Il rapporto con il dolore di Kakihara lo caratterizza, e per
farsi perdonare la mancanza di rispetto nei confronti di Suzuki fa gioiosamente
ammenda, sacrificando qualcosa che gli dà piacere. Per sua fortuna, Kakihara si
definisce un tipo goloso, quindi si affetta la punta della lingua (il tutto in
favore di macchina da presa) per poi donarla come se nulla fosse a Suzuki. Non
oso pensare cos'avrebbe fatto se fosse stato lussurioso invece che goloso, così
che dobbiamo ancora considerarci fortunati, perché di sicuro sulla violenza Miike
non tira mai via la mano. Ma nemmeno Kakihara!
"Lo sai che carne ci vuole per il bollito alla piemontese?". |
In tutto questo, non mancano dosi abbondanti di umorismo
(nerissimo!) e un attimo dopo essersi asportato un pezzo di lingua, Kakihara
risponde al cellulare come se nulla fosse. Di ancora più spassoso, se riuscite
a stare al gioco, c’è la dichiarazione d’amore a Kakihara di Karen, che, pur di
diventare la sua donna, inizia a dargli supporto nello strappare le guance ad
un poveretto in cambio di informazioni.
Tipo quando vostra zia vi dava i pizzicotti sulle guanciotte da bambini. |
Ed è qui che Ichi
the killer inizia a trovare un senso. Kakihara compie una ricerca disperata
del suo Boss, non perché sia innamorato di lui nel senso omosessuale (o in
qualunque modo sessuale) del termine, quanto perché da sadomasochista puro,
aveva trovato nel Boss l’unico in grado di picchiarlo e malmenarlo nel modo in
cui ha bisogno. Questo diventa chiaro quando Karen cerca di prenderlo a
frustate con tutta la sua forza, ma lasciando Kakihara molto annoiato. Le sue
parole alla ragazza sono il manifesto programmatico del personaggio: «Se vuoi
fare male a qualcuno, non devi provare empatia per lui, devi provare la gioia
del dolore che gli fai provare. Questa è la forma più alta di compassione».
Purtroppo, Karen non è abbastanza per un professionista del dolore come
Kakihara, che inizia seriamente a pensare che Ichi, il temibile assassino,
potrebbe essere l’unico in grado di massacrarlo come davvero desidera.
“Mia nonna mi picchiava più forte, mettici un po’ d’amore in quelle botte”. |
Allora, parliamo di questo Ichi. Il personaggio
interpretato da Nao Omori è una macchietta quasi fantozziana, un sfigato della
peggio specie pressato e maltrattato da tutti, capace di andare in loop come un
disco rotto quando, sbagliando qualcosa, fa partire la cantilena delle scuse.
L’unica cosa che smuove il ragazzo sono i bulli: appena vede qualcuno trattare
male un innocente, si trasforma in una bomba atomica capace di sbudellare tutto
e tutti, salvo poi sprofondare nuovamente nei suoi sensi di colpa.
Alla base di questa mente devastata c’è un trauma,
avvenuto come accade sempre ai Giapponesi a scuola, perché nella loro cultura
votata al lavoro, gli abitanti del Paese del Sol Levante fanno tutte le loro
esperienze (buone o cattive che siano) a scuola, per poi iniziare a lavorare
dedicandosi solo a quello. Nel caso di Ichi, il trauma è aver assistito allo
stupro di Tachibana, un’amica intervenuta per difenderlo dai bulli e finita lei
stessa vittima nel modo più terribile, in una scena che Miike ci mostra solo
come flashback e che a sua volta è un omaggio alla stessa (tremenda) scena di
quel capolavoro di Sonatine di
Takeshi Kitano, perché nel frullatore cerebrale di Miike ci finisce dentro
tutto, anche il cinema.
Ichi da allora è un sociopatico che si eccita solo
davanti alla violenza perpetuata contro i deboli, ma impossibilitato a
raggiungere una vera soddisfazione, perché in un attimo, PUFF! ha già
massacrato tutti dentro la stanza. Lo scenario, quindi, è chiaro: Ichi e
Kakihara sono poli opposti magneticamente attratti, ma allo stesso tempo sono
personaggi che non troveranno mai l’amore di cui avrebbero bisogno.
Anime gemelle o nemici mortali? Sicuramente entrambi ben vestiti. |
Sì, perché alla fine Ichi the Killer è questo: una
storia di amori non corrisposti, di metà della mela che sembrano combaciare
anche se non proprio in maniera perfetta; solo che per raccontare questa trama,
Takashi Miike pare non salvaguardare nemmeno una parte del corpo dei suoi
personaggi. In 125 minuti assistiamo a lingue e capezzoli affettati, pugni ingoiati
(in una mossa marziale di difesa capace di spiazzare ogni avversario), gole e
arti recisi; insomma un bagno di sangue in cui il dolore fisico dei personaggi
va di pari passo con il piacere che provano nel massacrare o essere massacrati.
L’apice non può che essere lo scontro finale tra Ichi e
Kakihara, che avviene sul tetto e vede lo Yakuza ossigenato in fibrillazione
come uno scolaretto, perché è chiaro che non ti può capitare di incontrare la
tua potenziale anima gemella due volte nella vita, ma con due personaggi così
scombinati è altrettanto chiaro che non può essere tutto pesche e crema. Il
vero dolore per loro sarà quello di continuare a non trovare reciproca
soddisfazione uno dall’altro, una delusione così grande che si traduce in un
suicidio tragico, che normalmente si direbbe shakespeariano, se non fosse già
tutto così Miikiano; quindi occhio alla ferita in mezzo alla fronte di Kakihara,
che è rivelatrice su come si sono svolti davvero i fatti.
“Takashi ma cosa ti fumi per fare film così?”. “Rosmarino”. |
Con tutti questi morti ammazzati male e coppie di sicari
assassini, di cui uno vestito da cane (eh!?) Ichi the killer è una storia di amore e dolore, soprattutto dolore,
capace di mettere alla prova il vostro fegato in fatto di film. Per “The Pleasure
of pain” non poteva però esserci titolo migliore… Amatevi come ama soffrire e far
soffrire Kakihara, sono sicuro che questo in vita vostra non ve lo ha augurato
mai nessuno!
* * *
Non potevo quasi credere a quel che vedevo, quando ho posato per la prima volta gli occhi su questo post che Cassidy - il blogger super esperto di cinema (e fumetto) amministratore de La bara volante - ha preparato per The Pleasure of Pain II. Tra i candidati, fin dall'inizio, a fare da sigillo allo Speciale, a causa della progressione dei temi che avevo in mente, non potevo ancora sapere che avrebbe magicamente richiuso il cerchio riportando The Pleasure of Pain al suo post delle origini, Il piacere della sofferenza, apparso lo scorso primo maggio su The Obsidian Mirror. Tutto era allora cominciato con degli uncini (quelli del ciclo di Hellraiser) e tutto a degli uncini ora ritornava. Degli uncini che per di più sono forse la sola cosa che, graficamente parlando, ha attraversato immutata, accompagnandosi al logo del titolo, le due fasi dell'iniziativa. Cosa chiedere quindi di meglio a un finale?
Ma vi sarete forse anche accorti di qualcos'altro. Ossia che il discorso da me iniziato sotto l'insegna di Dal sadismo a Sade è arrivato appena al suo secondo post ed è ancora abbastanza lontano dal potersi considerare concluso. Credo anzi che potrebbe tranquillamente arrivare a dieci parti, se prendessi in considerazione tutti gli appunti che ho messo su carta. Ho invece intenzione di limitarmi a esaurire il discorso avviato su Le centoventi giornate di Sodoma, in particolare in relazione al Salò di Pier Paolo Pasolini, e poi mettere il discorso de Sade a riposo, almeno per un po' di tempo. Detto in altri termini, The Pleasure of Pain II termina oggi come previsto, ma dalla prossima settimana prenderà il via una sua extension di breve durata, la minima necessaria.
Il punto è che una buona parte dei guest-post che mi sono stati proposti dai validi collaboratori allo Speciale, che approfitto per ringraziare tutti di nuovo, mi ha invogliato ad aggiungere qualcosa sull'argomento specifico, così che si può dire che alla fine io abbia lavorato soprattutto "a braccio". Che è poi il mio modo consueto di lavorare con il blog.
Non mi resta quindi che invitarvi a seguirmi anche per la breve durata di The Pleasure of Pain II Extended, oltre che, se qualcuno di voi, chiunque di voi, che legge queste righe si sentisse stimolato a farlo, invitarvi ad inviarmi un nuovo guest-post in tema da pubblicare al suo interno.
[I. L.]
Spettacolare modo di omaggiare un maestro schizzato e parecchio "doloroso" come Miike ^_^
RispondiEliminaUna degna conclusione dello speciale, anche se scopro continuerà...
Un puro post in stile Cassidy ^__^
EliminaE sì, si è reso necessario un prolungamento...
Spettacolare conclusione...anzi no! Spettacolare punto di traghettamento verso la terza parte .;)
RispondiEliminaBe', parlare di terza parte forse è un po' troppo. A meno che non sia il tuo blog a decidere di ospitarla e in tal caso un mio guest-post ce l'hai già assicurato ;-D
Elimina>>> In effetti avevo la sensazione di qualcosa di incompiuto, avendo tu già accennato in varie occasioni a una gran mole di materiale da te preparato. A questo punto attendo anch’io questo ‘prolungamento’, nell’attesa che il blog riprenda il suo corso normale… immagino che mai come quest'anno, dopo questa sfacchinata, tu attenda con asia il Natale per riposarti dalle fatiche del blogging! Riguardo il film, “Ichi the killer non è il mio Miike preferito ma è sempre un piacere (…) riguardarlo. Un film perfetto per questo speciale, che sarebbe stato adattissimo anche alla prima parte.
RispondiEliminaHai visto giusto, Simona. Quest'inverno mi prenderò una pausa extra-large (quella che avevo tentato invano di prendere lo scorso anno) proprio per riequilibrare l'impegno del blog, che mi ha assorbito quasi ogni minuto libero da inizio estate a oggi. Il prolungamento non basterà a esaurire tutto il discorso così come l'avevo progettato all'inizio, ma almeno la parte ora in corso, dedicata a Le 120 giornate e a Salò, quella sì.
EliminaMa è finito così?
RispondiEliminaE' questo l'ultimo post..?
Ichi the killer è bellissimo!
Ma non dovevi parlare di Salò di Pasolini...cosè sto extended?
Hei, Max, cosa ho scritto più in alto nel mio commento al post di Cassidy?
Elimina"Ho invece intenzione di limitarmi a esaurire il discorso avviato su Le centoventi giornate di Sodoma, in particolare in relazione al Salò di Pier Paolo Pasolini, e poi mettere il discorso de Sade a riposo, almeno per un po' di tempo."
Esattamente a questo serve l'extended, a parlare del film di Pasolini ^__^
"Ichi the killer" l'avevo sentito come titolo di un anime, non sapevo che ne avessero fatto anche un live action così folle. Lo annoto ;-)
RispondiEliminaPer me invece fino a poco tempo fa era Terra Incognita, ma credo che questo ve lo immaginavate già da soli ^__-
EliminaIl mio grazie va a te per questo intervento che suggella nel miglior modo possibile il corso di questo Speciale. Fin quasi dall'inizio il Giappone premeva per esplodere... prima l'accenno a "Ichi the killer" nel post di TOM, poi l'intervento di Ariano su Mishima e infine lo spin-off su "Limpero dei sensi" di Lucius Etruscus.
RispondiEliminaA presto rileggerti, Cassidy ^__^
Ah be'... io questo regista non lo conoscevo per niente.
RispondiEliminaP. S. Fossi in voi però tutto questo lavoro lo trasformerei in libro o in ebook
Grazie per la stima, Ferruccio, ma forse il materiale è troppo eterogeneo per tirarci fuori un e-book convincente...
EliminaIo pensavo ai lettori futuri. Mi pare un lavoro molto valido e quindi con la giusta uniformità (va aggiunto il legame tra le parti) potrebbe avere valore anche in prospettiva. Sul blog non è facile pensare che tra un anno ci sia un qualcuno che legga tutti questi post. Magari capita si uno o su l'altro. Be', hai capito cosa intendo, pensaci... o pensateci
EliminaPer il futuro è senz'altro una possibilità. Ma dovrei avere abbastanza tempo per organizzare tutte le mie serie di post in e-book. Poi c'è la questione dei diritti delle immagini... per i libri, soprattutto se li metti in vendita, anche a prezzo minimo, non è come per i blog.
EliminaSi mi rendo conto delle difficoltà, io per esempio sto impaginando e mettendo in eBook tutto quello che sul mio blog può avere una parvenza di libro: è un lavoro immane, ma credo necessario. Soltanto ieri, mi sono trovato centinaia di visite per un post del 2012 , credo sia stato usato come ricerca scolastica.
EliminaProvo a immaginare questo lavoro, che potenziale...
Nel tuo caso però è più facile, perché lavori molto a rubriche, con post autoconclusivi e della stessa struttura e lunghezza. I record culturali, per esempio, richiedono pochissimo lavoro di revisione, sono quasi solo da impaginare e basta. Lo stesso i racconti ispirati ai quadri e ai disegni di tuo padre. O la cucina letteraria.
EliminaSì forse inconsciamente è una strada che ho intrapreso dall'inizio, ma tu fallo che ti ospito anche per un'intervista per presentarlo
EliminaAh ah! Ne riparliamo al momento dovuto, cioè... tra qualche anno ^__^
EliminaCiao Cassidy , complimenti per il post...veramente bello.
RispondiEliminaPoteva starci anche e un paragone come una lotta tra lo stile Old English con uno qualsiasi dei componenti dei Beatles (Ichi) e il Glam di David Bowie (Kakihara) ...ahahah!!
Sopra ho detto che Ichi the killer è bellissimo , mi ridimensiono un pò : diciamo che per questo genere sicuramente ha tanti meriti e qualche difetto.
Che poi secondo me accomuna tanti film provenienti dal paese del sol levante.
Tu riassumi molto bene quel che penso io del cinema orientale e cioè un cinema veramente senza limiti , per certi versi veramente sopra le righe.
Quando scrivi che i giapponesi non si fanno problemi ...in generale , è come se mi leggessi nella testa.
Ho sempre pensato (e son stato anche criticato per questo..quasi al limite di sembrare razzista con quelli con gli occhi a mandorla...ma non lo sono) che gli orientali hanno un limite di sopportazione diverso da quello degli occidentali.
Cioè quello che per noi è inaccettabile per loro è sopportabile...un metro di confronto diverso.
E' una mia convinzione che viene puntualmente provata ogni volta che guardo il cinema orientale in generale.
Sono culture diverse ed è inevitabile che ci siano anche punti di vista diversi anche se poi vengo frainteso di pensare per luoghi comuni.
Tornando al film sopra...rispetta anch'esso le mie convinzioni.
Datato ma veramente affascinante.
Il punto di forza è sicuramente il personaggio di Kakihara che a mio avviso eclissa Ichi.
C'e un altro film che secondo me non stonerebbe e che ha in comune con Ichi lo splatter ma forse non è troppo sadico ed è Story of Ricky di Ngai Choi Lam del 1991.
Ciao
Ma se era poesia in Ichi The Killer, cosa fa con le budella Miike ne L'Immortale?
RispondiEliminaUn grande grazie per il passaggio e il commento, Bruno, ma non dispongo delle conoscenze necessarie a commentarti a mia volta. Passo quindi la palla all'autore del post, sperando che ricapiti da queste parti ;-)
EliminaIl riferimento era al film di Miike del 2017, disponibile su Netflix. L'immortale è una specie di vecchio samurai che non può morire, è stato "benedetto" da una strega che ha immesso sanguisughe nel suo corpo, di modo che curino qualsiasi sua ferita. Così i suoi avversari cercano di eliminarlo e ci vanno vicini, ma anche se fatto letteralmente a pezzi il nostro eroe si riappiccica ogni volta tutto intero... La poesia dello squartamento raggiunge in quel film nuovi livelli.
EliminaAh, ok. Adesso è più chiaro anche per me. Grazie Bruno :-)
EliminaCi rimarrà sempre il dubbio di chi mai abbia ispirato Miike in quella scena dove il suo protagonista si affetta le guance da un orecchio all'altro... La Kuchisake-Onna? Maldoror?
RispondiEliminaL'uomo che ride? La Dalia Nera?
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