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The Studio Section Six - 1976-79: Gli anni di The Studio /9




Gli esseri umani tendono a comunicare con metafore, così una visualizzazione non astratta può essere fuorviante. Disegnare un albero può etichettare in modo troppo specifico il pensiero espresso, può definire troppo chiaramente quel particolare albero. Perciò l’espressione deve veicolare un contenuto emozionale. Qualcosa che non parli solo di che cosa significa per me quell’albero ma anche di che cosa gli alberi significano per tutti noi. Io provo a coinvolgere lo spettatore nel processo creativo. So che se provo a dirgli qualcosa non ascolterà. E del resto io non ho davvero niente da dire a nessuno. Lo spettatore deve arrivare da solo alla verità.
(Jeffrey Jones)

Dei quattro artisti di The Studio, va probabilmente a Jeffrey Jones il primato del più intransigente nel non scendere a compromessi con la sua arte. Come ebbe a raccontare una volta, in una delle sue tante interviste, a proposito del suo primo periodo di attività professionale:
Vivevo nella paura. Cosa mi era successo? Avevo scoperto che più mi sedevo al tavolo da disegno o al cavalletto per fare del lavoro che odiavo e meno volevo essere lì. Stavo perdendo la mia gioia e alla fine scoprii che la mia gioia era più importante dell'approvazione degli altri. Iniziai così a essere uno con cui era difficile avere a che fare e a perdere commissioni. Divenni determinato a, be', non tanto a "fare a modo mio", quanto piuttosto a fare il lavoro che amavo. Non è facile perseguire quel che davvero vuoi nel tuo profondo, o anche solo capire cosa vuoi.
E' stato poi il pittore, illustratore e fumettista George Pratt a tornare in tempi più recenti sull'argomento, nel suo post commemorativo Jeff Jones: 1944-2011, in cui rievoca un episodio specifico raccontatogli una volta dal suo collega, amico e mentore:
Mi raccontò una volta che gli avevano offerto di realizzare le copertine della serie di paperbacks di Nick Carter, il che sarebbe stata una buona opportunità di guadagno per lui in quegli anni, oltre che un importante punto di merito nel suo curriculum professionale. Disse che mentre rincasava in treno, con la mente rivolta alle copertine, pensò che tutto quel lavoro garantito, anche se di per sé era una buona cosa, gli avrebbe impedito di dipingere quanto avrebbe voluto. Che si sarebbe trovato con le mani legate. Disse che aveva sentito quelle copertine succhiargli via la vita prima ancora di averne cominciata una. Arrivato a casa, rifiutò il lavoro.

* * *

Abbandonata la produzione sui comic-book e poi anche quella sui magazine, ridotta al minimo l'attività di copertinista, negli anni di The Studio Jones può finalmente permettersi di inseguire i suoi sogni pittorici, sebbene gli echi della sua produzione precedente, almeno quella relativa ai magazine e all'illustrazione, non manchino di riaffiorare a più riprese, come ben dimostra questa rapida rassegna che vi propongo di alcune delle sue opere più importanti del periodo.

1974 - Vampire Mother

La prima di queste opere, Vampire Mother, risale in realtà a un paio di anni prima della nascita di The Studio, ma la reputo comunque interessante come opera di transizione. Chiaramente influenzata dal lavoro svolto in contemporanea dall'artista per i magazine horror della Warren PublishingVampirella in particolare, la si può tuttavia già considerare un ghiotto anticipo delle opere a venire.
Il soggetto raffigurato potrebbe essere Lilith, già protagonista di una tavola realizzata da Jones nel 1970 per il numero 9 di Vampirella. Oltre infatti a comparire nel mito biblico come l'originale donna di Adamo, da lui rifiutata, Lilith è anche considerata il primo vampiro della storia e l'antenata di tutti i vampiri.

Vampire Mother (1974, a sinistra) e Lilith (1970, a destra)


Per la prossima opera, e per un paio delle successive, lascerò invece parlare il più possibile direttamente l'artista (con la sigla J.J.), attraverso una serie di estratti, in mia traduzione, dal volume The Studio (Dragon's Dream, 1979).

1977 - In a Sheltered Corner

Idyl Impress, 1977 (Stampa in 1200 copie b/n e 50 colorate a mano)

J.J.: Una donna è nell'angolo tra due muri, circondata, imprigionata quasi, da rovi e spine; all’improvviso si rende conto che qualcuno la sta guardando.


Il contenuto è sempre nella mente di chi guarda, ed è sempre diverso. Mentre stavo disegnando quest'immagine accadde qualcosa di strano. Le macchinazioni della mente inconscia, suppongo. Mi ritrovai con un terzo uccello in volo con il secondo. Un giorno osservai il mio quadro da un passo di distanza e pensai: «O mio Dio! Perché, sai cosa avevo fatto? Avevo disegnato un uccello nella mano e due nel cespuglio!

1977 - Blind Narcissus

Big O, 1979 (poster)

J.J.: Ho intitolato un mio dipinto Blind Narcissus (Narciso cieco). Volevo che la figura fosse a dimensioni naturali. Era una reazione, credo, alla nascita di The Studio. In un posto con il soffitto alto quasi cinque metri, disponevo all’improvviso di abbastanza spazio per creare qualcosa di grande formato. Finii per farlo così grande che non entrava nell’ascensore [dovettero issarlo al dodicesimo piano con delle funi]. Era importante per me che la figura umana fosse a dimensione naturale. Presi i pennelli e iniziai a dipingere, e mi resi conto che dipingendo in dimensioni reali si incontrano problemi che non si hanno con gli altri formati. Volevo una ragazza alta poco meno di 170 cm, ma quando iniziai a farne lo schizzo mi accorsi che era troppo grande. Sembrava troppo grande. Ma com’era possibile? Allora compresi che, ovviamente, una figura in dimensioni reali è davvero "in dimensioni reali” solo nel momento in cui ci posi gli occhi sopra. Ma allora è anche infinita – talvolta sono abbastanza intelligente da essere imbarazzato da quanto sono stupido – e quando ti allontani non è più in dimensioni reali, così come la luna è delle dimensioni di una moneta da dieci o venticinque centesimi a seconda della lunghezza del tuo braccio.
Se dipingevo la figura "in dimensioni reali", allora qualunque cosa più vicina rispetto alla figura sarebbe stata di necessità più grande delle dimensioni reali. Così dissi: Aha, è solo una questione di matematica. E saltò fuori la matematica. Cominciai a spargere diagrammi ovunque nello Studio. Arrivò Barry [Windsor-Smith] e cercò di venirne a capo Anche lui si era trovato con un problema simile. Penso che Michael [Kaluta] se la stesse ridendo di noi. Se una figura è, diciamo, 185 cm sulla superficie della tela – o alla lettera 185 cm nella realtà – quanto è grande? Non riuscivamo ad arrivarci. Se tieni un righello a una certa distanza è come con la monetina. Non riuscivo a trovare nulla in nessun libro, così dovetti dipingere “in dimensioni reali” usando solo l’istinto.
[...]
L’ambientazione è una foresta spoglia e brulla prima del sorgere del sole. Andavo a Central Park alle sei del mattino, poi tornavo di corsa allo Studio per dipingere prima di dimenticarmi i colori e l’aspetto degli alberi. Penso sia per questo che gli artisti si portano i loro cavalletti all’aperto. Se cerchi il realismo devi essere sul posto. Io ho provato a dipingere all’aperto, ma mi irrita; è ventoso, o freddo o caldo, e gli insetti finiscono nei colori; ma non è davvero questo… Cerco di mettere così tanta immaginazione nel mio lavoro che la realtà è un’intrusa. Anche se nel lavoro allo Studio sembra che io cerchi il realismo, il mio realismo è più che semplicemente “ciò che esiste".

1977 - Sleep

1977 - Descent

Big O 1979 (poster)

Detto in breve: una via di mezzo tra un tarzanide e un barbaro stile Conan da un lato, una chiara reminiscenza delle strisce di Idyl dall'altro.


1978 - Chastity

Big O, 1979

1978 - Belling the Slayer

Peter & Pan Graphic Production, 1987

J.J.: A volte mi sembra di sapere consciamente ciò che faccio, altre volte no, e mi arrangio come posso. Lo stato creativo sembra spesso raggiungermi quando non provo a ottenerlo; a volta arriva quando non penso a niente, molto spesso quando sono a letto e per metà addormentato. Il dipinto intitolato Chastity è nato così. Quando mi misi davanti alla tela vuota sapevo esattamente cosa metterci sopra e feci tutto molto in fretta e facilmente. Ma succede raramente… raramente. Il più delle volte devi confrontarti con te stesso giorno dopo giorno e non è facile. A volte è una vera sgobbata e la nebbia si alza all’improvviso. È successo con il disegno di alcune ragazze che appendono campane su una figura mortifera. Iniziai con la testa di uno scheletro e non avevo idea di come avrei proseguito. Continuavo a disegnare e cancellare, ma mi stava piacendo. Disegnai una ragazza e mi dissi: interessante, ho una ragazza che abbraccia uno scheletro. Poi mi dissi che allo scheletro servivano delle corna, come mani che ghermiscono – e all’improvviso compresi che la figura era quella del triste mietitore, con la falce tra le mani. E la cosa divertente è che le ragazze che ho disegnato non sembrano temerlo. Forse lo stanno decorando, come un buffone di corte – come un folle. Così iniziai a mettergli delle campane e chiamai il quadro Belling the Slayer, un gioco di parole con i campanelli da slitta, e all’improvviso era come se avessi saputo dall’inizio che cosa stavo facendo. Forse lo sapevo. Per Chastity è stato l’opposto, l’immagine c’era già ancor prima che gli dessi inizio.


Belling the Slayer di Jeff Jones è poi servito anche da ispirazione per un balletto dallo stesso titolo, variazione sul tema tradizionale della vergine e la morte. Dal sito del Ballet-Dance Magazine:
"Belling the Slayer", con le coreografie di Kirk Peterson e messo in scena per la prima volta dal BalletMet di Columbus, Ohio, nell'aprile 1989, trae la sua storia dall'omonima stupefacente serie di opere create dall'artista e illustratore Jeffrey Jones. All'interno di un lessico gestuale rigidamente strutturato, "Belling the Slayer" si focalizza sul vasto e melanconico tema del rapporto della vita con la morte.

1978 - The Doorway

In: National Cartoonists Society Portfolio of Fine Comic Art #1

Questa splendida immagine a china, che riecheggia in parte il soggetto di In a Sheltered Corner, trova posto nello stesso portfolio che comprende anche The Witch di Barry Windor-Smith (che ho presentato nel precedente post della serie).

* * *


Ma poiché, salvo eccezioni, non si vive di sola arte, Jeff Jones non poteva astenersi completamente dall'accettare lavori di natura più commerciale. Per fortuna, la fama ormai consolidata gli permise di limitarsi al minimo indispensabile e di scegliere ciò che più gli consentiva di esprimersi al meglio delle sue capacità. Il 1977 lo vede così all'opera su un magnifico set di illustrazioni per l'ultimo romanzo scritto da Thomas Burnett Swann (1928-1976), un autore di opere di historical fantasy scomparso l'anno prima.
Il contributo di Jones all'opera - una riscrittura della storia di amore tra Didone e Enea intitolata Queens Walk in the Dusk - comprende, oltre alla testa di elefante del frontespizio riprodotta qui a fianco, otto illustrazioni che rimprendono, ma con maggior finezza, il percorso stilistico già avviato in alcune copertine della collana di paperbacks della Zebra Books dedicati alle opere e ai personaggi di Robert E. Howard. Le tre che presento qui di seguito sono le mie preferite del volume.


Da sinistra a destra: Nereid / Trees / Dido and Aeneas.
Da: Queens Walk in the Dusk di Thomas Burnett Swann. Heritage Press, 1977; pg 41, 69, 97.


Il frontespizio dell'edizione del 1978
L'anno successivo è poi la volta di Red Shadows, raccolta di quindici racconti con protagonista Solomon Kane. Di nuovo Robert E. Howard, in altre parole. Ma si tratta in realtà, per Jeff Jones, di un ritorno, insolito per un illustratore, su un'opera da lui già affrontata nel 1968 e con lo stesso editore, Donald M. Grant.
Una nuova edizione di una vecchia opera, quindi. Che non solo presenta però tutte illustrazioni nuove di zecca, a cominciare dall'immagine di copertina, ma anche un numero maggiore di tavole a colori (otto invece di quattro) rispetto all'edizione precedente. E cosa di meglio di un confronto per dare un'idea degli enormi progressi stilistici compiuti da Jones nel settore, nell'arco di tempo che separa i suoi esordi frazettiani dagli anni della maturità artistica di The Studio?

Ecco, per cominciare, tre delle quattro illustrazioni a colori dell'edizione del 1968 di Red Shadows:


Ed ecco, per il confronto, tre delle otto illustrazioni a colori dell'edizione del 1978. Come è facile accorgersi, il predominio dei toni freddi della vecchia edizione (ma anche della molto più recente Queens Walk in the Dusk), lascia qui il posto a una sovrabbondanza di toni caldi dal sapore autunnale.*

Da sinistra a destra: The Hut of old Ezra the miser stood by the road / "My work here is done" / Kane Gazes somberly
at the scattered bones and grinning skulls
- Da: Red Shadows. Donald M. Grant, 1978; pg 32, 160, 241

* * *

The Studio - Complete Comics Chronology XIII: May - July 1972

Puoi vedere le immagini in formato più grande cliccandoci sopra.

Jeffrey Catherine Jones: Idyl (1 pg)
National Lampoon #26 - NL Communications, Inc, May 1972 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Barry Windsor-Smith: "Norman the Barbarian: Gomorrah, the World!" (6 pg)
National Lampoon #26 - NL Communications, Inc, May 1972 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Jeffrey Catherine Jones: Sleep (5 pg)
Psycho #6 - Skywald Publishing Corporation, May 1972 (Magazine)
Editor: Sol Brodsky; Jeff Rovin (assistant)
Jeffrey Catherine Jones: "A Peel" (2 pg)
Swank - Hearst Communications, Inc., May 1972 (Magazine)
Editor: Jay Fielden
Barry Windsor-Smith: Cover + "Whatever Gods There Be!"* (23 pg)
The Avengers #100 - Marvel Comics group, June 1972 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas
Inkers (*): Joe Sinnott; Syd Shores; Barry Windsor-Smith
Michael William Kaluta: Cover
Detective Comics #424 - DC, June 1972 (Comic-book)
Editor: Julie Schwartz
Barry Windsor-Smith: "Why Must There Be an Iron Man?" (21 pg)
Iron Man #47 - Marvel Comics group, June 1972 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writer: Roy Thomas
Inker: Jim Mooney
Michael William Kaluta: Cover
Batman #242 - DC, June 1972 (Comic-book)
Editor: Julie Schwartz
Bernard Albert Wrightson: Title page
House of Mystery #203 - DC, June 1972 (Comic-book)
Editors: Joe Orlando; Mark Hanerfeld
Michael William Kaluta: "Mars - - Or Bust!" (9 pg)
Korak, Son of Tarzan #46 - DC, June 1972 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Writer: Len Wein
Jeffrey Catherine Jones: Idyl (1 pg)
National Lampoon #27 - NL Communications, Inc, June 1972 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Jeffrey Catherine Jones: "Chivalry" (1 pg) + "Bias" (1 pg)
Swank - Hearst Communications, Inc., June 1972 (Magazine)
Editor: Jay Fielden
Jeffrey Catherine Jones: Cover
Wonder Woman #200 - DC, June 1972 (Comic-book)
Editor: Denny O'Neil
Barry Windsor-Smith: Cover + "The Frost Giant's Daughter" (12 pg)* +
"The Sword and the Sorcerers!" (7 pg)**
Conan the Barbarian #16 - Marvel Comics group, July 1972 (Comic-book)
Editor: Stan Lee; Writer: Roy Thomas
* Reprint from Savage Tales #1 (modified) - Colored by Barry Smith
** Reprint from Chamber of Darkness #4 - Colored by Barry Smith
Bernard Albert Wrightson: Cover
Detective Comics #425 - DC, July 1972 (Comic-book)
Editor: Julie Schwartz
Bernard Albert Wrightson: Cover + "All in the Family..." (9 pg)
House of Mystery #204 - DC, July 1972 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Writers: Mary Skrenes [as Virgil North] (script); Bernie Wrightson (plot)
Michael William Kaluta: Cover + Title page* + "Born Losers" (8 pg)** 
House of Secrets #98 - DC, July 1972 (Comic-book)
Editor: Joe Orlando
Writers: Mark Hanerfeld (*); John Albano (**)
Barry Windsor-Smith: Cover* + "While the World Spins Mad!" (20 pg)**
Marvel Premiere #3 - Marvel Comics group, July 1972 (Comic-book)
Editor: Stan Lee
Writers: Barry Smith (plot); Stan Lee (dialogue)
Inkers: Dan Adkins (**); Frank Giacoia (*)
Jeffrey Catherine Jones: Idyl (1 pg)
National Lampoon #28 - NL Communications, Inc, July 1972 (Magazine)
Editors: Doug Kenney, Henry Beard
Jeffrey Catherine Jones: "Stumped" (1 pg) + "In Deep" (1 pg)
Swank - Hearst Communications, Inc., July 1972 (Magazine)
Editor: Jay Fielden


* * *

Note

* La prima immagine a sinistra e l'immagine centrale del trittico sono riprodotte, nel volume The Studio, rispettivamente con i titoli Early moon e Withdrawn. Questa seconda immagine è inoltre stata riproposta, sempre col titolo Withdrawn, in forma di poster dalla Big O nel 1979.

L'immagine di apertura del post è: Jeff Jones, The Wall (1977)

Commenti

  1. Insomma ce n'è di arte, personalità complessa!

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    1. Personalità più che complessa, Ferruccio. Non per niente terminerà la sua vita in un corpo di donna...

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  2. Splendide opere nate (quelle successive) forse proprio grazie alla tranquillità mentale di potersi concentrare solo sui lavori graditi (e comunque anche quelle più antiche non è che siano di qualità più bassa, eh!) C'è da dire che è - appunto - una situazione che può permettersi solo l'artista affermato o ricco di famiglia. Molti sono costretti ad accettare qualunque lavoro pur di pagare le bollette...

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    1. Va detto che si è anche accontentato di guadagnare molto meno di quel che avrebbe potuto pur di inseguire i suoi sogni. Tanto è vero che negli ultimi suoi anni di vita, quelli della "pensione", ha vissuto in un monolocale.

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  3. "Non è facile perseguire quel che davvero vuoi nel tuo profondo, o anche solo capire cosa vuoi." Questa è una grande verità con la quale tutti noi, prima o poi, dobbiamo fare i conti. Devo dire che fino a oggi questa è la parte di The Studio che preferisco. Mi piace quando, oltre mostrare l'opera di un artista, si riesce a entrare nel suo intimo, senza raccontarlo ma usando le sue stesse parole.

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    Risposte
    1. Wow! Sono contento, Simona, di sapere che stai apprezzando questo mio lavoro. E anche a me piace molto riportare questi spezzoni di "vita interiore".
      Grazie del commento e a presto :-)

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