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Trilogia delle Madri /18: Verso il Mar Nero /5




E' tempo di riprendere, dopo l'intermezzo ricreativo dedicato al film The Editor, la progressione ufficiale di questa serie di articoli, e insieme il lento ma inesorabile cammino verso il Mar Nero. Più in particolare, questo post porta finalmente a conclusione il trittico relativo alla tragedia Eumenidi di Eschilo, ispiratomi, come forse ricorderete, da una frase del Supiria de Profundis di Thomas De Quincey, che non sarà male ripetere qui ancora una volta:
Erano queste le Semnai Theai, o Dee Sublimi, erano queste le Eumenidi o Graziose Signore (così chiamate dall’antichità in trepida propiziazione) dei miei sogni di Oxford.

L'analisi approfondita di Eumenidi - accompagnata da quella di altre parti dell'Orestiade e dal confronto con il brano di Plutarco tratto dalla Vita di Marcello e con le posteriori tragedie di Sofocle e Euripide - mi ha appunto permesso di mostrare fin qui quanto si assomiglino, per caratteristiche e funzioni, le due triadi di divinità femminili delle Madri e delle Erinni (o Furie). Abbastanza, senza dubbio, da permettere a De Quincey di giocare con gli appellativi "Semnai Theai" e "Eumenidi", sebbene sia anche vero che quel "dei miei sogni di Oxford" in chiusura di citazione, giochi del tutto a sfavore della volontà, da parte dello scrittore inglese, di sovrapporle in toto. Va inoltre ricordato che in De Quincey l'accostamento tra le due triadi è facilitato dal suo appropriarsi, nel capitolo del Supiria de Profundis in cui presenta la sua versione delle Madri, Levana e le "Nostre Signore del dolore", del principio eschileo della sofferenza come madre di saggezza.

Chiarito questo, riprendo ora il discorso sulla tragedia Eumenidi da dove lo avevo lasciato, cioè dall'assoluzione finale di Oreste nel processo che lo vedeva imputato di matricidio. Assoluzione decisa dal tribunale dell'Areopago ma con l'intervento fondamentale della dea Atena, che dopo averlo insediato lo presiede in quella prima seduta. E' infatti la dea a garantire, con il suo voto finale, il perfetto equilibrio tra accusa e difesa e la conseguente assoluzione del matricida.

Il giudizio e l'assoluzione di Oreste non esauriscono tuttavia affatto il compito del tribunale dell'Areopago. La dea Atena ne decreta anzi un'ideale perpetuazione in tutti i tempi a venire (Eumenidi, 681-707):
Ascoltate questo decreto, popolo dell'Attica,
voi che giudicate il primo processo per sangue versato.
Anche nel tempo a venire resterà sempre al popolo di Egeo
questo Consiglio di giudici. Questo è il colle di Ares,
sede e accampamento delle Amazzoni, quando vennero in armi
per odio contro Teseo, e innalzarono qui, contro l'Acropoli,
una nuova acropoli, irta di torri, e sacrificavano ad Ares. Qui
la reverenza dei cittadini e la paura, sua consanguinea,
li tratterrà, di giorno, come di notte, dal commettere ingiustizia;
a meno che i cittadini stessi non stravolgano le leggi:
l'acqua limpida, corrotta con il fango, non sarà più bevibile.
Ai cittadini consiglio di coltivare e riverire
una vita non troppo libera, non troppo dominata
e di non cacciare dalla città tutto ciò che suscita paura:
chi, tra i mortali, può essere giusto, se non teme nulla?
Se rispetterete secondo giustizia questa maestà,
avrete un baluardo a salvezza della vostra contrada
e della città: nessuno ne ha di uguali, non tra gli Sciti,
né nella terra di Pelope. Io fondo un tribunale
incorruttibile dal denaro, venerando, inflessibile, presidio della terra,
vigile a difesa di chi dorme. [...]

Trapela qui, segnatamente nei versi 690-9, il forte pessimismo eschileo sulle inclinazioni naturali dell'essere umano, che lasciate senza redini tendono irrimediabilmente verso l'ingiustizia. Per questo non è neppure pensabile fondare una dike davvero giusta senza un intervento divino di qualche tipo. Compito dei legislatori sarà poi quello di legiferare senza mai perdere di vista il principio divino della giustizia, nella consapevolezza che qualsiasi intervento meramente umano può solo essere peggiorativo.
Ma anche l'elemento "pauroso" (deinòn) del divino, se utilizzato nella giusta misura, senza eccedere, è garanzia di buongoverno della città. In Eumenidi, è l'assimilazione delle Erinni nel culto religioso cittadino a garantire la contemporanea assimilazione del deinòn e a creare l'equilibrio tra le due diverse forze personificate da Atena e Erinni - olimpica e patriarcale la prima, ctonia e matriarcale la seconda.


Rembrandt Harmensz. van Rijn, Pallade Athena o Figura con armatura, 1664-65
Ma è anche sempre preferibile "lasciare a piede libero un colpevole, che rischiare di condannare un innocente", secondo la linea garantista a cui si attiene la dea nel fondare il tribunale dell'Areopago. Il che si traduce, all'atto pratico, nella regola che, in caso di parità di voti nel verdetto di colpevolezza o innocenza, si manda l'imputato assolto. E il tribunale dell'Areopago è appunto strutturato in modo da rendere possibile la parità di giudizio.
Nel caso specifico di Eumenidi, è il voto finale della stessa Atena che permette di raggiungere la parità nella conta dei giudizi e quindi far pendere la bilancia della giustizia a favore di Oreste. Lo stesso meccanismo permette inoltre alle Erinni di uscire dalla contesa sconfitte ma non umiliate, e la scaltra Atena ha così più facile gioco nel tener loro testa nel successivo confronto dialettico, quando le dee primigenie minacciano per due volte di estendere all'intera città di Atene il trattamento che intendevano riservare a Oreste (E., 781-788):
nuovi dei! Avete calpestato antiche leggi,
le avete strappate dalle mie mani. Ma io, umiliata, infelice, schiacciata dall'odio,
in questa terra phéu! veleno, veleno verserò dal cuore... e da esso una lebbra
che secca le foglie, che non fa nascere figli, - o Dike, Dike! -
dilagando al suolo, scaglierà su questa contrada
contagi che annientano i mortali. Levo gemiti.
Che fare? Ridono di me. Dolore insopportabile
ho patito in questa città.  sciagurate, infelici
vergini figlie della Notte, straziate dal disonore!

E' questo lo scoglio più difficile da superare per Atena, forse l'unico vero scoglio. E la dea per riuscirvi ricorre all'aiuto delle dolci ma penetranti armi di Peíthō, persuasione. Una prima volta e poi (con parole variate di poco) una seconda (alla reiterazione della minaccia in E., 809-821), replica a Erinni, proponendo una sorta di scambio alla pari (E., 792-808):
Ascoltatemi, basta con gravi lamenti.
Non siete state sconfitte: il verdetto è uscito dalle urne
a parità di voti, secondo verità, senza umiliarvi.
Da Zeus erano già venute fulgide testimonianze, e il testimone
era lo stesso che aveva dato il responso:
Oreste non ricevesse danno per quanto aveva fatto.
E voi non scagliate pesante rancore contro questa terra, non furia,
non rendetela infeconda, grondando dai vostri pomoni
gocce di veleno che distruggano i semi con lame spietate.
In piena giustizia, io vi prometto che avrete sedi e recessi sacri in questa terra giusta,
e siederete presso gli altari su troni fulgenti, onorate dai cittadini.

Che il Coro respinge però per altre due volte, con parole sdegnate (E., 837-846 e 870-880):
Io soffrire questo!
Phéu!
Io, dotata di antica saggezza,
abitare in questa terra!
Macchia d'infamia, phéu!
Spiro furia e tutto il mio odio.
Oiόi dá phéu!
Quale spasimo mi trafigge i fianchi?
Ascoltami, io madre Notte!
Dagli antichi onori,
inganni invincibili di dei
mi ridussero a nulla.

Solo quando la dea della sapienza spinge infine l'arma della propria persuasione al punto di riconoscere alle più anziane Erinni una saggezza superiore alla propria, le antiche dee figlie di Notte accettano di deporre le armi, in cambio della promessa di onori e di una dimora "immune da ogni patimento".


Leo von Klenze, L'Acropoli di Atene (1846).

Assistiamo, in definitiva, in Eumenidi, a una sintesi, ottenuta attraverso l'intermediazione di Atena (le cui prerogative si distaccano qui notevolmente da quelle del fratello Apollo, con la sua inalterabile intransigenza), tra un'antica e una nuova forma di dike, che instaura, nel tessuto sociale della Polis, un pur precario equilibrio tra l'antica e la nuova forma della giustizia. Con il nome cambiato in Eumenidi, le Erinni sono ora domate, senza però essere per questo completamente spogliate delle loro antiche prerogative. La nuova funzione che Atena richiede loro è infatti a un tempo creativa e distruttiva (E., 903-915):
Quanto possa portare a vittoria senza macchia,
e sorga dalla terra, dalla rugiada marina e dal cielo;
e che i soffi di venti che spirano sotto il sole terso
raggiungano questa contrada, e il frutto della terra e delle greggi
non si stanchi, con il trascorrere del tempo, di affluire in rigoglio ai cittadini,
e sia integro il seme dei mortali. Ma stermina gli empi.
Io amo, come il giardiniere ma le sue piante,
che la stirpe di questi uomini giusti
fiorisca senza dolore. E' questo il tuo compito. E io
non consentirò che nelle gare gloriose della guerra
questa città, vittoriosa, non mieta onore tra i mortali.

Avviene così che le Erinni, divenute le "graziose signore" di cui parla De Quincey, si tramutino da maledizioni a benedizioni per i buoni cittadini e per gli amici di Atene, mentre conservano la loro natura di dee terribili e paurose per tutti gli altri.
Segue a questo punto nella tragedia un prolungato scambio di onori e auguri, tra la dea olimpica e le anziane figlie di Notte, fino al suo chiudersi, insieme a all'Orestiade tutta, con la scena di un corteo cerimoniale che accompagna le Eumenidi nella loro nuova dimora, un santuario nel sottosuolo dell’Acropoli di Atene (E., 1021-1031, con una lacuna nel testo originale):
Apprezzo questi voti augurali,
e alla luce di fiaccole fulgenti
vi scorterò giù, nei luoghi di sotto terra,
insieme con queste ancelle,
custodi rituali del mio simulacro.
Onorate queste deità ammantate di vesti purpuree,
e prenda slancio il bagliore della fiamma,
affinché il loro soggiorno benevolo in questa terra
in futuro rifulga nelle gesta di uomini eccellenti.

Anche come Eumenidi dunque, e pur se hanno sostituito le loro vesti nere di sangue raggrumato con altre purpuree, le dee conservano la loro originaria natura sotterranea e i loro riti continuano come prima a essere officiati nelle ore notturne. Con sacrifici senza libagioni di vino e con miele sobrio, come si conviene agli dei inferi.

E Oreste? Oreste farà ritorno alla sua Argo, ora gemellata con Atene, ma per poco. Le Erinni continuano infatti a perseguitarlo ed è di nuovo Apollo a giungergli in soccorso, con un nuovo oracolo: deve ora recarsi sulle rive del Mar Nero, nel Chersoneso taurico (l'attuale Crimea), rubare un'antica statua lignea di Artemide e portarla ad Atene. E' così che un'antica dea barbara fa il suo primo ingresso nel mondo greco e occidentale.


* * *


L'immagine di apertura del post è: Philippe Auguste Hennequin (1762-1833), The Furies or Eumenides chasing Orestes.

Commenti

  1. Mi chiedo se questo "cambio di veste" da Erinni a Eumenidi sia stato originato da una necessità "teologica" (nel senso di voler placare divinità temute) o se piuttosto simboleggi un'evoluzione della figura femminile nella società greca dell'antichità.

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    1. Una parte consistente della critica è orientata su entrambe le due tesi che dici, Ariano, che non si escludono a vicenda. Il contrasto tra Erinni-Clitennestra da una parte e Oreste-Apollo dall'altra, sarebbe qualcosa che...
      "inclina a trasformarsi in guerra tra una visione pre-ellenica, mediterranea, di tipo matriarcale, in cui vige la legge del sangue, e una visione olimpica, ellenica, patriarcale." (cito dal grecista Angelo Tonelli).
      Si parla quindi allo stesso tempo di due diverse visioni religiose e di matriarcato e patriarcato.
      Del resto, la sostituzione di un nuovo ordine teologico e sociale a quello vecchio non è mai qualcosa di automatico e indolore. Come mostra bene la storia del Cristianesimo, che per neutralizzare il paganesimo ha dovuto in buona parte assimilarlo.

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  2. Per me che conosco Le Erinni solo tramite Sandman di Neil Gaiman ( comunque denominate Le Eumenidi che sono anche protagonisti dei capitoli finali della serie ), questo post è pura manna di conoscenza.

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    1. Di numeri di Sandman posteriori al n. 50 non ne ho letti, quindi i capitoli finali con le Eumenidi non li conosco. Grazie per il tuo interesse, Raffaele :-)

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  3. IO NON C'HO CAPITO NIENTE!
    Ma è colpa mia e della mia ignoranza ...ma che stai a fare uno special sulla Tragedia Greca...(ho sparato na cazzata, non è una "cosa"greca?)
    Comunque complimenti per l'impaginazione..ma cosa sono queste Trilogie sulle madri?
    E soprattutto da dove bisogna partire per seguirle?
    Ho letto il post precedente sul film Editor (molto bello e interessante , più alla mia portata) e poi ho letto questo...e mi son perso.
    Ciao Ivano e complimenti ..i tuoi post son sempre molto belli sia graficamente che per contenuti *

    *quando li capisco -:)

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    1. Caro max, partendo dall'inizio, per "Trilogia delle Madri" si intende la trilogia filmica di Dario Argento composta da "Suspiria", "Inferno" e "La Terza Madre", che trae la sua ispirazione iniziale dal libro "Suspiria de Profundis" di Thomas De Quincey. Nella versione di Argento le tre Madri di De Quincey diventano però tre streghe. Il regista e i suoi collaboratori, in primis la ex moglie Daria Nicolodi, hanno inoltre aggiunto alla storia elementi esoterici presi in particolare dall'alchimia e dall'antroposofia di Rudolf Steiner.
      Ma le Madri non compaiono per la prima volta neanche in De Quincey. Prima di lui ne aveva già parlato Goethe, che aveva tratto a sua volta ispirazione da Plutarco, l'unica fonte classica che ne parla esplicitamente. Altri riferimenti alle Madri, più o meno espliciti, sono presenti in altre tradizioni antiche, in alcuni scrittori moderni e anche in Jung e in Freud. Io in questa serie di post mi sto divertendo a formare un gigantesco collage con più riferimenti possibile, ma tenendo sempre al centro di tutto la trilogia argentiana.
      In questo trittico sulla Tragedia greca ho giocato su una certa somiglianza tra le due triadi, delle Madri e delle Erinni/Eumenidi, ma mi è servito anche per aprire la strada verso il Mar Nero, dove Argento colloca la nascita delle sue Madri. Proprio Oreste infatti, come mostrato nel finale di questo post, si trova a dover raggiungere il Mar Nero, dove... ma questo si vedrà poi.
      La strada consigliata per capirci qualcosa è comunque quella di accedere alla pagina statica "Tutti i post divisi per serie" e iniziare il percorso dal primo post della serie (of course).

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  4. Da Erinni a Eu, una trasformazione totale ma che appunto continua a contenere almeno culti segreti.
    Chissà se davvero Argento si è ispirato a queste figure, ma probabilmente sì vista la frase (pur onirica) di De Quincey su Suspiria.
    Probabilmente avrà voluto dare una sorta di origine vaga e transreligiosa alle sue figure.

    Moz-

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    1. Argento si è ispirato direttamente alle tre Madri di De Quincey, Miki. Mentre De Quincey non sembra essersi ispirato a niente, visto che le sue Madri sono molto diverse da quelle di Goethe, che lo precede di alcuni decenni. Goethe a sua volta ha detto di aver preso l'idea delle Madri da Plutarco, che è l'unico autore a farne menzione in epoca classica. Questo percorso è l'armatura di base attorno a cui cresce tutto l'edificio.

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