When Charlie speaks of Lester... - I quaranta anni di "Mingus" /1
When Charlie speaks of Lester / You know someone great has gone / The sweetest swinging music man / Had a Pork Pie hat on.
Joni Mitchell, Goodbye Pork Pie Hat
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Secondo post della nuova rubrica (o virtualmente tale) del blog dedicata agli anniversari e alle ricorrenze. Nel primo, ad aprile, ho voluto ricordare, seppur con due mesi di ritardo, il cinquantenario dell'uscita nelle sale di Brucia ragazzo brucia, del bravo regista italiano Fernando di Leo (1932-2003). Senza però concentrarmi sul film nella sua interezza, ma soltanto su una sua sottotrama che mi sono divertito a intitolare Snoopy vs Mickey Mouse, scegliendo così di isolare la parte più leggera di un film nell'insieme tutt'altro che leggero. Va poi da sé che neanche nei suoi toni da commedia Di Leo rinuncia a offrirci degli spaccati mordaci sulla società e le relazioni umane. L'avere inoltre io potuto coniugare in tal modo cinema e fumetto, mi ha anche motivato a chiedere a Lucius Etruscus di far apparire il mio post nella rubrica Comics in Movies del suo blog Non quel Marlowe. Chi volesse vedere, o rivedere, il risultato, non ha che da cliccare sul titolo in blu poche righe sopra.
Il presente secondo appuntamento ruota invece intorno alla celebrazione di un quarantennale, quello dell'uscita, nel giugno 1979, di Mingus, album capolavoro della cantautrice e pittrice di origini canadesi Joni Mitchell. Neanche in questo caso ho però intenzione di recensire davvero l'album - cosa avrei mai da aggiungere alle mille cose, in positivo e negativo, che ne sono state dette? - preferendo invece concentrarmi sulla sua storia e sulla storia del mio rapporto con il disco e i suoi due grandi protagonisti: Joni e Charles.
Joni Mitchell, lo ricordo bene, la scoprii nell'estate del 1977, con l'album Hejira, pubblicato alla fine dell'anno precedente. Accadde grazie a una recensione, non so dire oggi se a opera di un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli o un prete, in cui veniva presentato come il miglior disco dell'anno. Mi fidai e lo comprai a scatola chiusa, un giorno in cui ero insieme a un amico (ancora tale oggi), appassionato come me di musica e alta fedeltà, amico con cui passavo ore, oltre che ad ascoltare musica, a studiare le caratteristiche tecniche di piatti, amplificatori, casse acustiche e chi più ne ha ne metta. Hejira lo ascoltai così per la prima volta a casa sua, sul suo impianto hi-fi, rimanendo, lo dico subito, abbastanza deluso e quindi mille miglia lontano dall'immaginare che di lì a pochi mesi quello sarebbe diventato uno dei miei dischi preferiti di sempre, grazie anche alla superba prestazione al basso di Jaco Pastorius (1951-1987). Per fortuna non desistetti, nei giorni seguenti, dall'ascoltarlo di nuovo e di nuovo.
Ricordi molto meno precisi li ho riguardo il mio primo incontro con la musica di Charles Mingus (1922-1979), anche se deve essere successo più o meno nello stesso periodo. So comunque per certo che l'album era Mingus Ah Um (1959), quello con Goodbye Pork Pie Hat, dedicata alla memoria del sassofonista Lester Young (1909-1959), e Fables of Faubus. Fu subito amore, anche se la botta definitiva me la dette l'acquisto del triplo The Great Concert of Charles Mingus (1964), con dentro anche le interminabili versioni live di Goodbye Pork Pie Hat e Fables of Faubus (credo si sia capito che adoro questi due brani).
Sullo scadere del 1977, poi, la Mitchell se ne uscì con un altro disco notevole, e anche fin troppo eclettico nei suoi 60 minuti di musica: il doppio Don Juan's Reckless Daughter, sempre con Jaco Pastorius e l'aggiunta di altri pezzi dei Weather report, che attirò finalmente sulla cantante l'attenzione degli appassionati di jazz.
Fin quando, meno di un anno dopo, nell'autunno del 1978, lessi per la prima volta di un album in lavorazione a firma di Charles Mingus e Joni Mitchell insieme. Che io vissi come un vero regalo dall'alto, perché se mi avessero chiesto quali due artisti avrei fatto lavorare insieme in ambito musicale, se fosse stato in mio potere farlo, avrei molto probabilmente indicato proprio loro due.
Inutile dire, così, che comprai il disco il giorno stesso del suo arrivo nei negozi, dopo avergli fatto la posta per settimane, rimanendone soddisfatto fin dal primo ascolto. Unica lieve pecca che vi riscontrai, la disomogeneità dovuta alla circostanza che dei suoi sei brani, solo quattro portano anche la firma di Charles Mingus, mentre gli altri due sono composti per intero, testi e musica, da Joni Mitchell.
Mingus, che aveva intitolato il suo progetto musicale semplicemente Joni I-VI, aveva inizialmente richiesto alla Mitchell di rielaborare e adattare alle musiche da lui composte i quattro poemetti dell'opera di T.S. Eliot, Four Quartets. Ma Joni giudicò il compito troppo gravoso - peggio che cercare di adattare la Bibbia, spiegò a Charles - e i due si accordarono diversamente. Alla fine, come ho detto, i brani che nell'album Mingus portano anche la firma del musicista sono solo quattro: Chair in the Sky, Sweet Sucker Dance, The Dry Cleaner From Des Moines, e il preesistente Goodbye Pork Pie Hat. Mentre i due brani composti interamente dalla Mitchell sono God Must Be a Boogie Man e The Wolf Who Live in Lindsay.
E in mezzo a tutto questo - o, meglio, nella fase finale di tutto questo - la morte di uno dei due protagonisti: Charles Mingus.
Una morte a cui Joni Mitchell dedica spazio nelle abbondanti note di copertina del disco, delle quali traduco qui al volo le parti che considero più significative:
La prima volta che lo vidi il suo volto irradiò su di me una raggiante malizia. Mi piacque subito. Ero venuta [da Los Angeles] a New York per ascoltare sei nuove canzoni che lui aveva scritto per me. Ero onorata! Ero curiosa! Era come se stessi sulla riva di un fiume - un alluce nell'acqua - a tastare la situazione - e Charles arrivasse e mi spingesse dentro - "Nuota o affoga" - ridendo di me mentre zampettavo come un cane tra i flutti della musica classica nera.
Mai come in questo ultimo anno ho sentito il ticchettio del tempo che scorre. Volevo che Charlie vedesse il progetto completato. Ascoltò tutte le canzoni eccetto una - God Must Be a Boogie Man. So che l'avrebbe fatto sogghignare. Ispirata dalle prime quattro pagine della sua autobiografia - Peggio di un bastardo - sulla notte del nostro primo incontro - fu l'ultima a prender forma - due giorni dopo la sua morte.
E' stato un lavoro difficile ma stimolante. Cercavo di far contento Charles e allo stesso tempo rimanere fedele a me stessa. Ho inciso ogni canzone tre o quattro volte. Ero alla ricerca di qualcosa di personale - di qualcosa di reciproco - di qualcosa di indescrivibile.
Seguono i ringraziamenti di Joni. Tra cui quelli ai vari musicisti che suonarono nelle sessioni di prova, a certo Daniel Senatore, che fece conoscere a Mingus la musica della Mitchell, e ai musicisti che suonarono nelle sessioni finali del disco.
Queste versioni - scrive Joni - mi soddisfano. Sono dipinti sonori.
Per poi concludere con una descrizione della morte e i funerali di Mingus:
Charles Mingus, un mistico della musica, è morto in Messico il 5 gennaio 1979 all'età di 56 anni. Fu cremato il giorno dopo. Quel giorno 56 capodogli si spiaggiarono sulla costa messicana e furono a loro volta inceneriti col fuoco. Ecco le coincidenze che elettrizzano la mia immaginazione.
Sue [Graham Mingus, la moglie], portò le ceneri in India come da lui richiesto fino alla sorgente del fiume Gange, in un punto dove l'acqua scorre turchese e luccica dell'oro delle squame di grandi carpe, e ve le gettò all'alba insieme a fiori e preghiere.
Sue e il fiume sacro
Ti condurranno tra i santi del jazz -
Da Duke e Bird e Fats –
E da qualunque altro santo tu abbia.
Penso che possa bastare, per oggi. Tornerò a breve, nella seconda (e
ultima) parte dell’articolo, su alcune delle questioni qui sollevate.
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L'immagine di apertura del post è: Joni Mitchell, It's a Muggin' (1979).
Quando scoprii Joni Mitchell non lo ricordo ma ricordo bene lei! Mitica!
RispondiEliminaBel post, Ivano, pieno di informazioni che non conoscevo
Sì, mitica Joni, anche se, dalla metà degli anni '80 in poi, ho trovato altalenante la qualità della sua produzione.
EliminaGrazie mille per il gradimento del post, Patricia. Son qui apposta per fornire informazioni non troppo note ;-)
Un album con musicisti straordinari: Shorter, Pastorius, Hancock... Non dico altro!
RispondiEliminaGrazie
Vero, Ferruccio, difficile trovare un simile concentrato di talenti riuniti in un'unica opera. Anche se Gerry Mulligan ce lo avrei visto volentieri nella versione definitiva, dopo che aveva partecipato alle sessioni di prova.
EliminaGrazie mille a te :-)
Ho suonato il sax soprano e contralto, un paio di anni anche il tenore , ma confesso che il baritono di Mulligan mi ha sempre affascinato
EliminaIo mi sono cimentato solo con il soprano. E una volta, credo nel 1981, mi capitò di suonarlo in un'improvvisazione con Donald Rafael Garrett, sebbene solo per divertimento, in una serata fiorentina tra amici.
EliminaPer me è lo spunto per iniziare, nel senso che non ho mai ascoltato Joni Mitchell e quindi devo proprio porre rimedio.
RispondiEliminaEh, sì, direi che è il momento di rimediare e di procurarti almeno tutta la sua produzione del decennio 1970-1980, da Ladies of the Canyon a Shadows and Light.
EliminaGrazie, Ariano, e buon ascolto ;-)
Ciao ho “saputo “ di Joni Mitchell quando ho ascoltato nel 1994 (?) una sua cover Ladies of the Canyon da Annie Lennox.
RispondiEliminaIncuriosito ( preferisco la voce della Lennox comunque) ho ascoltato l’originale e la bella Woodstock contenuta nell’album della Mitchell.
Piacevole sorpresa.
Molto interessante il tuo articolo e mi incuriosisce molto anche Mingus anche se non amo particolarmente il Jazz.
Molto suggestivo immaginare le sue ceneri sparse sul Gange.
Fiori e preghiere...acque sacre.
Molto bello
Grazie mille Max, per l'interesse :-)
EliminaNon sapevo che Annie Lennox avesse cantato una cover di Ladies of the Canyon. La cerco.
Se poi ti piace Woodstock, prova ad ascoltare la nuova versione, più intimista, della stessa Mitchell contenuta in Both Sides Now, uscito mi pare nel 2000.
Ho ascoltato la cover. Non avrei mai riconosciuto Annie Lennox senza sapere che è lei. Direi che si mimetizza come un camaleonte con la voce della Mitchell.
EliminaLeggo con interesse perché ignoro praticamente tutto di Joni Mitchell e di Charles Mingus. Anzi, aggiungo che, fino a un attimo fa, del secondo ne ignoravo anche l'esistenza.
RispondiEliminaA completamento della mia ammissione di ignoranza, aggiungo che dei Weather Report, da te citati di sfuggita, conosco solo il brano "Black Market" (ma solo perché è la sigla storica del notiziario di Radio Popolare)...
E' comprensibile che tu non abbia mai sentito nominare Mingus, visto che sono abbastanza rari i nomi del jazz la cui fama travalica i confini di quel genere musicale. Di solito, se succede, è perché collaborano con artisti di generi più popolari. Certo, se la Mitchell fosse stata nei tuoi gusti, avresti inevitabilmente conosciuto anche lui.
EliminaNon sapevo della faccenda della sigla, ma in effetti "Black Market" si presta bene.
Grazie per l'interesse, TOM :-)
La Mitchell non la conosco molto. Più che altro per essere l'autrice di Woodstock, il cui ritornello un tempo citavo spesso a lezione, perché con lievissima poesia diceva una piccola grande verità astrochimica.
RispondiEliminaEh, già, è vero: Siamo polvere di stelle / Carbonio vecchio di miliardi di anni...
EliminaA parte ciò, per il resto una canzone utopistica, un po' naif, tipicamente in sintonia con l'epoca dei figli dei fiori.
Grazie mille per il contributo, Marco :-)
Assurdo, bellissimamente assurdo, come tutto sia andato in quel verso, per te. Sì, succede anche a me che le cose confluiscano in questo senso. Lo avevi sperato ed è successo.
RispondiEliminaBello anche come tu non ti sia arreso alla delusione iniziale del "miglior album dell'anno", e infatti...
Comunque, non conoscevo i nomi citati ma da te c'è sempre da imparare, sempre roba di classe.
Moz-
Di Mingus non mi stupisce, invece pensavo che Joni Mitchell, almeno di nome, fosse conosciuta da tutti. Ma forse c'è una barriera generazionale di cui non avevo tenuto conto finora.
EliminaMentre per quel che riguarda le connessioni, non è neanche finita qui. Come disse una volta qualcuno, credo Kukuviza ma forse anche altri, nel mio blog anche le cose che sembrano più lontane tra loro finiscono sempre per interconnettersi. Lo vedrai nella seconda parte dall'articolo ;-)
Grazie per aver apprezzato, Miki!
La prima volta che ho sentito Goodbye Pork Pie Hat è stata in una versione dei Pentangle che ho in un cd che possiedo da molti anni. Non so quanti, ma il prezzo è ancora in lire. E credo che sia la prima volta che ho sentito citare Mingus, il titolo della canzone mi era rimasto piuttosto impresso.
RispondiEliminaChe peccato che Mingus non abbia potuto vedere finito il progetto con Joni.
Ho ascoltato la versione, non male ma abbastanza strana devo dire, dei Pentangle. Ma davvero risale al 1968? Caspita!
EliminaE sì, concordo, è un vero peccato non poter disporre di nessuna dichiarazione definitiva di Mingus a proposito dell'album che porta il suo nome, ma solo di testimonianze altrui.
Grazie mille, Kuku, a presto!
Sì, una versione veramente strana, forse neanche si riconosce se non si sa il titolo! Sì a quanto pare è l'unica versione che hanno fatto, io ce l'ho in cd raccolta.
EliminaGrazie a te per questi bei post!