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When Charlie speaks of Lester... - I quaranta anni di "Mingus" /3 (Finale)




Charles Mingus parlava criticamente degli Americani, che con la loro cultura della Coca Cola non riuscivano a capire la statura intellettuale, il modo di vivere e pensare di popoli che hanno una storia di millenni... Cercavo di capire, di seguirlo in quel suo modo tipico di parlare, troppo chiuso per le mie orecchie poco use a quel linguaggio e a una serie di argomentazioni complesse portate avanti una dopo l'altra, che dall'estrema Asia al Mediterraneo, passando attraverso l'India e i paesi arabi, l'Egitto, toccava temi quali la religione, la vita, la politica, la musica di queste regioni...
Isio Saba, fotografo e pioniere del jazz in Italia


Ho terminato il post precedente scrivendo che avrei parlato del "metodo  operativo" di Pachita, ma con la precisazione che non sarebbe stato attraverso le descrizioni offerte nei suoi libri da Alejandro Jodorowsky, suo assistente per vari anni. Preferisco rivolgermi, allo scopo, all'opera di Carlos Castaneda, che nell'ottavo volume della sua saga sciamanica, The Power of Silence (1987), dice la sua, sebbene per la mediazione del solito don Juan, anche sulla famosa guaritrice messicana.
Ritengo però anche necessarie, a questo punto, un paio di premesse, la prima riguardante proprio la ragione di questa mia preferenza. Ho infatti scritto che avrei utilizzato parole "secondo me più incisive e più rispondenti al vero", senza con questo voler dire che secondo me Jodorowsky non dica il vero su Pachita, ma soltanto che il suo ordine di pensiero rimane ampiamente ancorato al "canone occidentale", come testimonia anche l'utilizzo abituale che lui fa, all'interno del suo sistema psicomagico, del termine "inconscio". Diverso è il caso di Castaneda, che pur essendo nato e cresciuto all'interno dello stesso paradigma, e pur avendo completato tutti i gradi della formazione accademica, riesce a trasferirsi a sua volontà interamente entro i confini di un "canone" altro, dove sono il nostro stile di pensiero e la nostra stessa concezione della realtà ad apparire in qualche modo difettosi, mancanti di qualcosa che è forse (o anche sicuramente) l'essenziale. Solo dall'interno di questi confini è, secondo me, possibile descrivere correttamente l'operato di Pachita, senza scomodare concetti come "inconscio" o altri allo stesso modo impropri.

Come scritto in un'occasione dallo stesso Castaneda:
A un dato momento, e senza neanche che me ne rendessi conto, il mio lavoro misteriosamente cambiò, dal raccogliere dati antropologici all'interiorizzare i processi cognitivi del mondo degli sciamani.*

Il secondo punto è più complesso e riguarda la particolare scrittura castanediana, densa di termini comprensibili solo all'interno di un determinato sistema di riferimento o paradigma. La parte di libro riguardante Pachita ne racchiude, per fortuna, solo uno: "punto di assemblaggio". Ma poiché riveste un ruolo decisivo nel testo, cercherò di offrirne una spiegazione il più sintetica e comprensibile che posso.
Proviamo a immaginare una massa energetica di inconcepibili proporzioni a cui la nostra minuscola massa energetica sia collegata attraverso un'unico punto di giuntura, delle dimensioni approssimative di una palla da tennis, la cui funzione è di convertire prima i flussi di energia, provenienti in numero incalcolabile dall'esterno, in dati sensoriali e poi assemblarli in modo tale che il nostro sistema cognitivo possa interpretarli, in ugual modo in tutti gli esseri umani, come "la nostra realtà”. E questo per mezzo di un secondo conglomerato di energia, analogo al primo, chiamato "intento" e responsabile, attraverso l'intenzionalità, di ogni possibile variazione di stato nell'universo. Con la conseguenza che la nostra realtà non è mai un prodotto diretto della percezione, ma di un'interpretazione dei dati della percezione stessa che avviene, consapevolmente o a livello subliminale, per mezzo dell'intento e dell'intenzionalità.
L'altra caratteristica fondamentale del punto di assemblaggio è il poter cambiare di posizione e collocarsi altrove nel nostro campo energetico, così da accogliere differenti flussi di energia dall'esterno, tradotti poi a loro volta in dati sensoriali che il nostro sistema cognitivo interpreta come una diversa realtà. Uno spostamento che può aversi spontaneo, e casuale, in una serie di occasioni, per esempio nel sonno, in conseguenza di un'estrema fatica, in certe malattie o per l'utilizzo di droghe. Uno degli obiettivi più importanti della disciplina sciamanica è intendere, per mezzo dell'intenzionalità, dei movimenti controllati del punto di assemblaggio, così da assemblare mondi (ovviamente preesistenti alivello energetico) regolati diversamente ma altrettanto coerenti di quello in cui viviamo. Mondi a cui non solo ogni essere umano può potenzialmente accedere, ma al cui interno può anche vivere o morire.
Ecco, credo che quanto appena premesso sia più che sufficiente a permettere di comprendere il senso dell'estratto che segue, che non presenta, per il resto, particolari difficoltà.

Da The Power of Silence di Carlos Castaneda (pag. 64-66, traduzione mia):

[Don Juan] mi ricordò un evento di cui ero stato testimone a Città del Messico e che mi rimase incomprensibile finché lui non me lo ebbe spiegato usando il paradigma degli sciamani.
Ciò di cui ero stato testimone era stata un'operazione chirurgica eseguita da una famosa guaritrice psichica. Il paziente era un mio amico. La guaritrice era una donna che entrava in una trance molto accentuata al momento di operare.
Fui in grado di osservare come, usando un coltello da cucina, aprì l'addome del mio amico all'altezza dell'ombelico, gli estrasse il fegato malato, lo mise in una boccetta di alcol, poi lo rimise al suo posto e richiuse la ferita, che non sanguinava, con la semplice pressione delle mani.
C'era un certo numero di persone nella stanza in penombra, a seguire l'operazione. Alcuni sembravano essere degli osservatori curiosi come me, altri degli assistenti della guaritrice.
Dopo l'operazione, parlai brevemente con tre degli osservatori. Tutti e tre mi confermarono di aver assistito agli stessi eventi a cui avevo assistito io. Quando poi parlai con il mio amico, il paziente, mi disse che durante l'operazione aveva percepito un costante ma lieve dolore allo stomaco e una sensazione di bruciore al fianco destro.
Raccontai tutto questo a don Juan e azzardai anche una spiegazione scettica. Gli dissi che la stanza in penombra secondo me si prestava perfettamente a giochi di prestigio di ogni genere e tali da render conto della visione di organi interni estratti dalla cavità addominale e lavati nell'alcol. Lo shock emotivo causato negli spettatori dal drammatico piombare in trance della guaritrice - che consideravo altrettanto un trucco - favoriva poi la nascita di un senso di fede quasi religiosa.
Don Juan mi fece subito notare che la mia era un'opinione scettica e non una spiegazione scettica, perché non spiegava il dato di fatto che il mio amico era effettivamente guarito. Don Juan mi propose allora una spiegazione alternativa basata sulla conoscenza degli sciamani. Mi spiegò che il fatto saliente da cui tutto l'evento dipendeva, era la capacità della guaritrice di muovere il punto di assemblaggio dell'esatto numero di persone presente nella stanza. Il solo trucco in gioco - se di trucco si poteva parlare - era che il numero di persone presenti nella stanza non doveva superare il numero che lei era in grado di gestire.
Il suo accentuato stato di trance e gli istrionismi che lo accompagnavano erano, secondo lui, o degli stratagemmi ben architettati per catturare l'attenzione dei presenti o delle manovre inconsce dettate dallo spirito stesso. In ogni caso i mezzi più appropriati a permettere alla guaritrice di promuovere quell'unità di pensiero necessaria a rimuovere ogni dubbio dalle menti dei presenti e forzarli a entrare in uno stato di consapevolezza intensificata.
Quando lei ha aperto il corpo con il suo coltello e ne ha estratto gli organi interni non ha fatto nessun gioco di prestigio, sottolineò don Juan. Si è trattato di eventi reali che, per il loro accadere in uno stato di consapevolezza intensificata, si collocano al di fuori dell'ambito del nostro ordinario metro di giudizio.
Chiesi a don Juan come poteva la guaritrice essere in grado di muovere il punto di assemblaggio di così tante persone senza neppure toccarle. La sua risposta fu che il potere della guaritrice, un dono o una straordinaria conquista, era di fare da canale per lo spirito. Era stato lo spirito, spiegò, e non la guaritrice a muovere i punti di assemblaggio.
"Te lo spiegai a suo tempo, sebbene tu non abbia capito una sola parola" continuò don Juan "che tutta l'arte e il potere della guaritrice consistevano nel rimuovere il dubbio dalla mente dei presenti. Così facendo, fu capace di permettere allo spirito di muovere i punti di assemblaggio. E una volta che questi punti si sono mossi, tutto diventa possibile. I presenti avevano avuto accesso allo spazio in cui i miracoli sono la normalità".
Aggiunse con enfasi che la guaritrice doveva essere lei stessa una sciamana e che se facevo uno sforzo di memoria avrei ricordato che era stata spietata con le persone che la circondavano, specialmente con il paziente.
Gli ripetei ciò che ricordavo della sessione. L'altezza e il tono piatti della voce femminile della guaritrice che mutavano radicalmente, al momento dell'ingresso nella trance, in una ruvida e profonda voce maschile. Una voce che annunciava che lo spirito di un guerriero dell'antichità precolombiana aveva posseduto il corpo della guaritrice. Una volta fatto l'annuncio, poi, l'atteggiamento della guaritrice mutò in modo radicale. Era posseduta. E assolutamente sicura di sé, e iniziò ad operare con totale sicurezza e fermezza.
"Preferisco la parola 'spietatezza' a 'sicurezza' e 'fermezza'"commentò don Juan, che poi proseguì: "La guaritrice doveva essere spietata per poter creare l'ambiente adeguato all'intervento dello spirito".
Asserì poi che eventi difficili da spiegare come quell'operazione sono in realtà molto semplici. A farli sembrare difficili è il nostro insistere nel pensare. Se evitiamo di pensare, ogni cosa trova il suo posto.
"Questo è completamente assurdo" ribattei a don Juan, e lo pensavo veramente.
Gli ricordai che lui stesso richiedeva a tutti i suoi apprendisti un pensiero rigoroso e che aveva sempre accusato il suo insegnante di non essere un buon pensatore.
"Certo che pretendo che tutti quelli di cui mi circondo pensino con chiarezza" replicò. "Ma spiego anche, a chi vuole ascoltare, che il solo modo di pensare chiaramente è non pensare affatto. Ero convinto che avessi compreso questa contraddizione degli sciamani".
Protestai a voce alta che la sua era un'affermazione oscura. Rise e mi prese in giro per il mio bisogno di difendermi sempre. Poi mi spiegò ancora una volta che per uno sciamano esistono due tipi di pensiero. Uno è il modo comune e ordinario di pensare, che è sempre comandato dalla normale posizione del suo punto di assemblaggio. E' un tipo di pensiero intorbidito che non risponde davvero alle sue necessità e gli lascia una gran nebbia nella testa. L'altro è il pensiero esatto. E' funzionale, economico, e lascia davvero molto poco di inspiegato. Don Juan rimarcò che perché questo tipo di pensiero prenda il sopravvento il punto di assemblaggio deve cambiare posizione. O almeno il modo ordinario di pensare deve cessare, così da permettere al punto di assemblaggio di spostarsi. Di qui l'apparente contraddizione, che in realtà non è per niente una contraddizione.


Joni Mitchell, Mingus in Mexico (1979).


Il problema di Pachita con Mingus era che la sua malattia non era del tipo che lei potesse aggredire con il suo famoso coltello da cucina, per cui dovette ricorrere alle cure tradizionali che i curanderos si tramandano da secoli, o da millenni, di generazione in generazione, consistenti di intrugli, impiastri e rituali di varia natura. Se Pachita si fosse davvero illusa di poter guarire Mingus in quel modo, o se abbia invece voluto illudere lui, non possiamo saperlo. Ma se fosse vero il secondo caso, allora potrebbe essere riuscita nel suo scopo, almeno a leggere quel che Sue Graham Mingus ricorda di quei giorni:
Abbiamo fatto un sacco di tentativi, di cose pazzesche che però, fortunatamente, hanno dato un sacco di vitalità a Mingus in quegli ultimi sei mesi di vita, perché quella strega gli aveva dato una speranza. Lui si lasciava fare tutto, sopportava tutto. Malgrado tutto, senza quei tentativi la vita sarebbe stata per Mingus, e per tutti noi, assai più pesante.**

Nel frattempo, mentre accadeva tutto questo, Joni Mitchell scriveva, nel finale del suo testo per Goodbye Pork Pie Hat, come in una cronaca in presa diretta:
Now Charlie's down in Mexico
With the healers
So the sidewalk leads us with music
To two little dancers
Dancing outside a black bar
There's a sign up on the awning
It says "Pork Pie Hat Bar"
And there's black babies dancing...
Tonight!




* * *


* Dal commentario dell'autore all'edizione del trentennale di The Teachings of Don Juan: A Yaqui Way of Knowledge. New York, Washington Square Press; 1998.

** Intervista con Sue Graham Mingus. In: Mario Luzzi, Charles Mingus. Lato Side Editori, Roma; 1983

L'immagine di apertura del post è: Joni Mitchell, Goodbye Pork Pie Hat (1979).

Commenti

  1. Non so che dire. Sai già che fondamentalmente sono un razionale, anche se non chiudo mai del tutto la porta all'imponderabile. Penso che dare speranza a una persona malata, soprattutto se ciò viene fatto senza motivi di lucro, sia comunque importante. Peraltro un musicista di fama mondiale sicuramente è un uomo con un cervello fuori dalla norma, quindi davvero per lui una scintilla può scatenare l'incendio. In questo caso gli ha almeno potuto ridare lo spirito per sentirsi vivo, nel senso più completo del termine, fino all'ultimo respiro.

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    1. A proposito di imponderabile... mi sono accorto che sia a maggio che a giugno ho finito per parlare di streghe pur partendo da altro e senza aver previsto di farlo. A questo punto sono curioso di sapere cosa mi attende a luglio ;-D
      Grazie del bel commento, Ariano. Farò presto un salto al tuo bloggheanno (in compagnia di una strega, naturalmente).

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  2. Io sono una persona molto razionale, quindi pur apprezzando queste energie (inconscio o meno) non credo al lavoro di guaritore. Ecco, lo ha fatto star bene negli ULTIMI sei mesi di vita, non lo ha guarito.

    Moz-

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    1. Sai, uno degli scopi di questo blog è proprio quello di proporre una visione del mondo alternativa a quella dominante e cosiddetta "razionale". Temo quindi che non potremo mai incontrarci su questo piano.
      In ogni caso, le persone guarite da Pachita sono nell'ordine delle migliaia.

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    2. Ma io sono razionalissimo, eppure attratto in egual misura da queste cose, quindi in un certo senso ci incontriamo (anche se di mio tendo a non credere a queste cose)^^

      Moz-

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  3. Anch'io come gli altri commentatori qui sopra non so cosa credere. In genere sono abbastanza scettico, specialmente quando certe cose vengono documentate in questo modo...

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    1. Scusa, Obs, ma in quale altro modo dovrebbero essere documentate queste cose? Stile CICAP forse?
      Non è questione di cosa credere o non credere ma di esperienza o non esperienza di qualcosa. Non hai idea di quanti curanderos ho incontrato tra il 1984 e il 2011, anche se di tutti solo uno al livello di Pachita (sono merce rarissima).
      Jodorowsky, che non volevo proporre ma mi tocca, è stato più fortunato di me... del resto ha vissuto 17 anni in Messico.
      https://www.youtube.com/watch?v=hTq-V10kwH0

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    2. No scusa tu. Il mio commento era sintetico e non esprimeva esattamente il percorso del mio pensiero. Dopo aver letto il tuo articolo mi sono precipitato a cercare delle immagini in rete ed era quelle che mi riferivo dicendo "documentate in questo modo". Immagini di santi e guaritori se ne sono viste a milioni e quasi sempre si riferivano a bricconi di ogni tipo.
      Castaneda è stato assolutamente convincente ed è proprio quello il modo in cui certi fenomeni andrebbero diffusi. Ciò non mi azzera del tutto le perplessità, ma è già qualcosa.

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    3. No, figurati, non c'è nessun problema. In ogni caso questo post mi permette anche di spiegare, almeno a chi legge i commenti, perché non ho mai accettato l'invito rivoltomi da Ariano, ma anche da altri blogger, di realizzare post sui miei ventotto anni di esperienza nello sciamanesimo (anche se qualcosa qua e là un po' di soppiatto l'ho infilato). Mi ritroverei lo spazio commenti inondato di "opinioni scettiche" che rischierebbero di dare il via a diatribe che so già in anticipo non porterebbero da nessuna parte. E questo blog non è nato per ospitare questo genere di cose.
      Grazie per la precisazione, non necessaria ma comunque molto gradita :-)

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  4. Come ben sai io sono un uomo di scienza, quindi quanto riportato sopra da Casteneda per me ha più valore di narrativa, che non di pratica medica.
    Pur tuttavia dico che la salute non è solo fisica, ma anche mentale (spirituale, se preferisci) e psicosociale, e queste tre componenti sono strettamente sinergiche tra loro: influenzare positivamente una può avere riflessi positivi sulle altre, e questo non solo è riconosciuto dalla moderna medicina, ma viene anche utilizzato in maniera funzionale. Cercare di far sentire bene un paziente, non serve solo ad allietarlo, ma è un vero e proprio approccio terapeutico, in concerto con una terapia organica ovviamente.
    Ci sono inoltre approcci medici e chirurgici che fino poco tempo fa erano disconosciuti e oggi cominciano a essere consuetudine. Per esempio l'agopuntura oppure l'ipnosi come alternativa all'anestesia.
    Detto questo, quella cosa dell'estrazione del fegato e successiva guarigione non è un tipo di credenza su cui potremmo incontrarci, anche se (ma non credo sia necessario sottolinearlo), suscita lo stesso il mio interesse, anche se più da un punto di vista antropologico.

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    1. Se leggi attentamente quello che ha scritto Castaneda, Marco, puoi vedere che da nessuna parte dice che Pachita ha materialmente estratto il fegato dal corpo del paziente. Dice solo che lui e gli altri presenti lo hanno percepito in quel modo. Tutto il suo discorso, ma si potrebbe dire tutto lo sciamanesimo, ruota infatti intorno al tema della percezione e quello che in realtà dice è che Pachita ha trasportato la percezione delle persone a un livello in cui le cose non sono più soggette alle leggi fisico-chimiche della realtà di tutti i giorni, quindi nemmeno il corpo del paziente o il suo fegato. Anche Elkin, per esempio, il famoso antropologo che ha studiato gli sciamani australiani, e i cui testi sono quelli di riferimento nelle università, descrive l'introduzione dei cristalli di quarzo, anche di grosse dimensioni, nel corpo degli apprendisti da parte degli sciamani. Ma si potrebbe fare anche l'esempio della pratica degli sciamani siberiani del totale disossamento del corpo. Tutti questi casi, come sa bene qualsiasi sciamano o apprendista sciamano, hanno a che fare con un cambio della percezione. Castaneda lo spiega attraverso la "metafora" (sottolineo le virgolette) del "punto di assemblaggio", altri lo spiegano in altri modi, ognuno secondo la propria sintassi ereditaria (sempre per citare Castaneda).

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  5. Ecco, io infatti non ho ben capito il discorso del cambio di percezione nell'ambito dell'operazione compiuta da Pachita. Perché era necessario cambiare la percezione dei presenti? Di tutti i presenti? Non sarebbe stato al limite necessario cambiare solo lo stato di percezione del paziente?

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    1. Probabilmente la spiegazione in questo caso è molto terra terra, Kukuviza. Pachita era molto famosa e tanta gente voleva assistere alle sue operazioni. Ma è anche possibile che lei stessa considerasse importante, se non addirittura necessario, avere un pubblico. Anche perché era tra i suoi spettatori che sceglieva gli assistenti o le persone a cui voleva tramandare le sue conoscenze. Lo stesso Jodorowsky è stato "assunto" in questo modo.

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  6. Ciao bisognerebbe spostare il punto di assemblaggio di tutti gli scettici che hanno commentato questo post in maniera che non abbiano più dubbi , riuscirebbero allora a capire l’operato degli sciamani .
    Comunque restando in tema te l’avevo già scritto che avevo “percepito “ in te qualcosa di magico , ricordi?

    Allora sul commento precedente t’avevo scritto che forse avevo immaginato l’esito dell’incontro tra Pachita e Mingus.
    Forse c’ho preso a metà .
    Pensavo che in una situazione di malattia grave come quella del musicista ogni appiglio che potesse rappresentare una speranza fosse buono compreso quello di appoggiarsi a un ciarlatano.
    Il problema è che il termine ciarlatano è spregiativo ed io non voglio intenderlo in quel modo.
    Da quello che leggo sopra nei vari commenti , chi più chi meno, non ci si sposta troppo dal cercare comunque una
    spiegazione razionale all’operato di Pachita.
    Secondo me basterebbe accettare razionalmente la spiegazione che dai te del concetto di punti energetici e centri d’assemblaggio.
    Lavorando su di noi cercando di togliere i dubbi “ razionali” diventa più semplice capire il resto dei concetti.

    Togliere quelle barriere mentali che ti impediscono di guardar oltre.

    Tanto la medicina è per definizione una scienza non esatta.
    E i miracoli non li fanno ne i farmaci e gli interventi chirurgici sotto anestesia ne chiamiamole le “tecniche sciamaniche”.
    Questo spiega perché Pachita con Mingus ha fallito.
    O forse dipende dai punti di vista è riuscita nel dargli quella che agli scettici forse può sembrare solo un effetto placebo mentre invece per chi ci crede è l’equivalente di una cura palliativa ..magari chiamiamola pure speranza.
    È molto interessante il concetto che hai espresso .
    Poi io ho seguito dei corsi d’aggiornamento sulle tecniche ipnotiche legate all’anestesia e quindi ci si può riallacciare a quei concetti “sciamanici” legati alla percezione soggettiva e oggettiva delle cose.
    Come in questi corsi tenuti da neurologi ho sentito pure parlare di esperienze percettive legate allo stato di coma in determinati pazienti con racconti che lasciano veramente esterrefatti.



    Parliamo di musica , Mingus
    Ho ascoltato due pezzi di Joni Mitchell :
    Goodbye Pork Pie e God must be a Boogie man.

    Rispetto all’interpretazione di Woodstock la Mitchell non sembra manco lei.
    Nella prima canzone sembra di ascoltare una voce Black, sorprendente come sia riuscita a modulare così bene la sua voce a testimonianza di quanto sia eclettica come artista.
    God must..mi piace un po’ meno , mi sembra un brano incompleto comunque molto brava lei.
    Prenderò il cd ...bisogna ascoltarlo nella sua completezza.
    Te hai sentito la versione della Lennox di Ladies of the canyon?
    Ciao

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ammazza che commento, Max... ma quando ti decidi ad aprire 'sto benedetto blog? Anzi, no... non lo fare mai... già immagino gli sconvolgimenti nella blogosfera tipo tettonica a zolle ma a ritmo super accelerato ^__^
      Scherzi a parte, i punti di vista di ognuno dipendono dall'educazione culturale che ha ricevuto o che si è creato. Io gli scettici di principio non li incolpo di niente, sono stato io stesso scettico a oltranza fino a circa metà delle superiori. Talmente a oltranza che a un certo punto ho cominciato ad avere dei dubbi sulla validità di molte cose che mi venivano trasmesse come certe a scuola e a cercare risposte alternative. Diciamo quindi che essere super scettico di natura mi ha aiutato molto da questo punto di vista. Poi però è arrivato per fortuna anche il momento, intorno ai venti anni, in cui i dubbi sono caduti tutti di colpo.
      A parte la mia premessa, mi ha fatto in ogni caso un gran piacere leggerti, Max, e stai pur certo che la magia non abbandonerà mai le pagine di questo blog ^__^

      Venendo ora al discorso musicale... sì, la voce della Mitchell in Mingus è spiccatamente "black", ma lo era già stata anche in precedenza, segnatamente nei suoi bellissimi album The Hissing of Summer Lawns e Reckless Don Juan's Daughter e lo sarà dopo in Taming the Tiger e Both Sides Now. Prova per esempio ad ascoltare quell'inestimabile gioiello musicale che è Harlem in Havana.
      E ho anche ascoltato la versione della Lennox di Ladies of the Canyon, facendo una gran fatica, devo dire, a riconoscere la voce della cantante scozzese. Bella cover, comunque.

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