The Studio Section Six - 1976-79: Gli anni di The Studio /3
La "antropomiomachia", o lotta tra uomini e topi, con cui ho concluso il post precedente ci ha anche fornito, come di passaggio, alcune preziose informazioni sulla genesi e lo sviluppo dell'esperienza di The Studio in generale. E' ora tempo di scendere un po' più nei dettagli proprio a questo riguardo.
Come racconta Bernie Wrightson in A look Back, furono per primi lui e Barry Smith ad sentire l'esigenza di avere uno spazio fisico più grande di un appartamento in cui svolgere il proprio lavoro:
In quel periodo, tutti e due abitavamo appartamenti molto piccoli, mentre però iniziavamo a lavorare su opere di grandi dimensioni. Barry in particolare stava lavorando a un'opera di due metri di lunghezza che aveva dovuto dividere in più sezioni.*
Quest'opera di Smith citata da Wrightson è Artemis and Apollo, iniziata dall'artista nei primi mesi del 1976, al suo ritorno dall'Europa. Era rimasto in Inghilterra alcuni mesi, dove gli avevano curato un linfoma con la radioterapia, ma con effetti devastanti sulla sua personalità. Fu in questo stato di profondo malessere che dette inizio a un elaboratissimo disegno a penna lungo due metri con al centro le due divinità dell'antica Grecia. "Un'allegoria formata di mille allegorie" nelle sue parole, che finì però anche con il trasformarsi per lui in una vera ossessione.
Come racconta a J.S. nella sua intervista per il volume The Studio, dopo sette versioni interrotte a metà e cestinate:
È quanto di più sudato e profondamente onesto io abbia mai fatto. E tuttavia fu un totale insuccesso, perché non riuscii a portarlo a termine... Ti dico che in una calda notte d’estate del 1976 ero così abbattuto da essere pronto a gettarmi dalla finestra – sai, con qualche poetica nota d’addio appuntata sul petto. Nei mesi precedenti avevo raccolto ogni possibile parola scritta sulla mitologia greca, su Artemide e Apollo in particolare. Sedevo nello Studio con il mio quinto bicchierino di Scotch in mano circondato da libri e ammennicoli vari concernenti il dipinto che avevo davanti. Dicevo a me stesso che qualunque cosa io avessi voluto ottenere con questo dipinto non aveva importanza, che il pubblico non ne avrebbe mai saputo niente; solo io me ne preoccupavo così stupidamente. Cercavo di persuadermi alla resa. Poi, senza pensare presi Pantheon of Heathen Gods di Tooke, speditomi durante il mio lavoro di ricerca da un amico solidale. La pagina si aprì sulla massima di Apollo: Conosci te stesso. Conosci te stesso, è tutto quello che dovevo sapere. Mi concentrai e mi rimisi al lavoro. Non sembra un film? Non immagini Errol Flyn a recitare la parte? Ma è successo davvero.
Ma il male assoluto contro cui doveva combattere era il persistere in lui degli effetti collaterali della radioterapia:
Mentre il dipinto andava avanti, la mia concezione di quel che facevo era in sobbollimento allo stesso modo del mio organismo a opera delle radiazioni. Un giorno prendevo una decisione e agivo, e una settimana o un mese dopo non ne ricordavo più il senso.
Alla fine, tuttavia, era ugualmente riuscito a creare qualcosa dall'aspetto abbastanza compiuto: un semioriginale colorato sopra una foto ad alta risoluzione dell’originale. Ma poi l'editore a cui lui lo aveva affidato finì col perderlo, all’aeroporto di San Francisco.
Come reagì l'artista alla perdita? Nel modo più antico-greco immaginabile: rendendo omaggio agli imperscrutabili disegni del fato. Prese uno dei centinaia di studi fatti per la figura di Artemide e ne ricavò un dipinto su legno di 80 centimetri di lato che gli richiese sette mesi di lavoro. Era il suo primo dipinto a olio in assoluto, e lo intitolò Fate Sowing the Stars.
Ecco la sua descrizione dell'opera:
A sinistra c’è la rappresentazione del disordine, la guerra in questo caso, a destra l’armonia. Le Sibille stanno lì solo a fare presenza, sans title. Tutto il mio interesse era per la dea bianca che rappresenta il fato: il suo volto è una maschera di distacco, niente giudizi, critiche, o dubbi. Fa quel che deve fare e noi non abbiamo voce in capitolo.
Ma in realtà non si arrese veramente e ancora ai tempi di The Studio dette inizio alla versione che lui definiva scherzosamente Apollo VIII. Una riproduzione del dettaglio centrale di una versione precedente dell'opera era in ogni caso già apparsa, nel gennaio 1977, come copertina del numero 7 del magazine di fumetti SF e fantasy Star Reach.
Ad accompagnarla, nelle pagine interne, una sorta di comunicato stampa della Gorblimey Press, attraverso il quale Barry Smith dichiarava trattarsi della foto colorata di un dettaglio di quella che era allora l'ultima versione dell'opera (la quinta), ancora provvisoria, sebbene nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere, esattamente come le altre quattro che l'avevano preceduta, definitiva.
Particolarmente rivelatrici sono, a questo riguardo, le parole con cui l'artista apriva il suo "comunicato":
Particolarmente rivelatrici sono, a questo riguardo, le parole con cui l'artista apriva il suo "comunicato":
Il perfezionista non è qualcosa di realmente esistente. Chi è così etichettato non gode segretamente dell'epiteto né si sente orgoglioso di portare come titolo una definizione così impropria. Io penso che qualcuno che abbia acquisito con merito questa nomea andrebbe piuttosto definito, più correttamente, un uomo che non si auto-inganna.
Seguirono poi, negli anni, nuove versioni ancora di Artemis and Apollo, di diverso formato e realizzate con tecniche sempre diverse, fino ad arrivare finalmente all'ultima, definitiva e straordinaria versione (che va comunque detto Barry Smith non ha incluso in nessuna pagina del suo sito ufficiale) datata 1990. Quella di cui presento l'immagine intera qui sotto e due suoi dettagli in altri punti della pagina.
Barry Windsor-Smith, Artemis and Apollo, 1990 (detail). Dal sito: Ivaluable. The world's premiere auctions and galleries |
Ma è adesso il momento di riprendere, dopo questa lunga ma spero appassionante divagazione, la storia delle origini di The Studio da dove mi ero fermato. Presa la loro decisione, Barry Smith e Bernie Wrightson pensarono subito di coinvolgere nel progetto gli amici colleghi Jeff Jones e Mike Kaluta e mettersi alla ricerca di un posto dove lavorare insieme (ma separati).
Visitammo diversi posti nell'arco di una decina di giorni, ma alla fine del giro tornammo al primo o secondo posto visitato. Non che a prima vista ci avesse fatto una così bella impressione, sporco e pieno di macchinari e immondizia varia. Ma dopo aver visto altri posti davvero incredibili - a dir poco disgustosi - sparsi nel resto della città, alla fine decidemmo per quello.*
Ma mentre Jeff Jones aderì prontamente all'idea, Mike Kaluta dapprima si rifiutò, perché pensava di non essere in grado di coprire la sua parte di spese d'affitto. Solo dopo alcuni mesi si convinse del contrario e divenne a tutti gli effetti il quarto dei Fab Four di The Studio.
In realtà, come raccontato da Bernie Wrightson:
[Barry, Jeff e io] iniziammo un'intesa opera di persuasione su Mike, mettendolo alle strette e facendolo sentire in colpa. Di fatto, lo costringemmo a diventare dei nostri. E quando finalmente fu uno di noi, si rese presto conto che poteva permettersi di dividere le spese dell'affitto.*
Niente di tutto questo però impedisce ancora il sorgere di una domanda, soprattutto alla luce delle traballanti premesse a cui ho accennato nel post precedente: l'esperienza di The Studio fu davvero qualcosa di utile e/o necessario?
I suoi quattro protagonisti sembrano tutti concordare di sì.
Barry Smith: "Mi costringevano a mettercela tutta, a non farmi vincere dalla pigrizia. Solo guardare i loro lavori mi trascinava e mi spronava al fare del mio meglio".
Jeff Jones: "È importante lavorare qui. Abbiamo trovato un’atmosfera di ispirazione e creatività. Nel momento in cui rimango invischiato in un dettaglio di qualcosa che sto realizzando, posso spostarmi di sette metri e vedere un’opera meravigliosa creata da qualcun altro. Loro possono avere problemi analoghi un’ora dopo, il giorno dopo, ma non nello stesso momento. Basta questo a fare del luogo un posto magnifico dove lavorare".
Mike Kaluta: "Iniziai a sentirmi a casa in questo posto quando mi resi conto che non dovevo più stare seduto da solo in una stanzetta a guardare un’opera che non stava riuscendo bene. Potevo percorrere sedici metri, fino al lato opposto dello Studio, e trovarmi in un modo completamente diverso".
Bernie Wrightson: "Dal punto di vista artistico, lo Studio mi è di grande aiuto. Penso che un artista abbia bisogno di un posto del genere per ottenere un'atmosfera di un certo tipo. Ha bisogno di essere immerso in un'atmosfera dove può lavorare in compagnia di altri artisti, i suoi pari, altre persone che rispetta. E' un'opportunità unica di osservare gli altri lavorare nelle sue stesse condizioni".*
Possiamo così dire, tirando le somme, che si trattò in primo luogo di una delicata questione di equilibrio: tra l'esigenza della solitudine, profondamente sentita da un gran numero di artisti di ogni epoca e paese, e i vantaggi della convivenza tra simili appena esposti dai nostri quattro protagonisti. E non è azzardato concludere, senza con questo voler minimamente insinuare che siamo arrivati all'epilogo di questa Section Six, che l'esperienza di The Studio durò finché il primo dei due termini di questo equilibrio non prese il definitivo sopravvento sull'altro.
Barry Windsor-Smith, Artemis and Apollo, 1990 (detail). Dal sito: Ivaluable. The world's premiere auctions and galleries |
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The Studio - Complete Comics Chronology VII: November 1970 - January 1971
Puoi vedere le immagini in formato più grande cliccandoci sopra.
Bernard Albert Wrightson: Cover Raunch #4 - Gale Burnick, November 1970 (Fanzine) Editor: Gale Burnick | |
Jeffrey Catherine Jones: Cover + Interview w/ art Reality #1 - Robert Gestenhaber, November 1970 (Fanzine) Editor: Robert Gestenhaber | |
Michael William Kaluta: 2 illustrations Reality #1 - Robert Gestenhaber, November 1970 (Fanzine) Editor: Robert Gestenhaber | |
Bernard Albert Wrightson: Cover Tower of Shadows #8 - Marvel Comics group, November 1970 (Comic-book) Editor: Stan Lee | |
Barry Windsor-Smith: "Back To the Savage Land" (10 pg) Astonishing Tales #3 - Marvel Comics group, December 1970 (Comic-book) Editor: Stan Lee Writer: Gerry Conway Inker: Sam Grainger | |
Bernard Albert Wrightson: Cover Chamber of Darkness #8 - Marvel Comics group, December 1970 (Comic-book) Editor: Stan Lee | |
Barry Windsor-Smith: Cover + "Lair Of The Beast-Men!" (19 pg) Conan the Barbarian #2 - Marvel Comics group, December 1970 (Comic-book) Editor: Stan Lee Writer: Roy Thomas; Inker: Sal Buscema | |
Barry Windsor-Smith: Cover Marvelmania Monthly Magazine #2 - Marvelmania International, 1970* (Magazine) Editors: Mark Evanier, Steve Sherman * Plus #3, 4, 6: Various illustrations | |
Michael William Kaluta: "Artificial Limbs" (1 pg)* + "Death is a Sailor" (7 pg)** + "As Night Falls: Michelle's Song" (2 pg.) + "Time Lapse" (1 pg.) + Back cover Reality #2 - Robert Gestenhaber, December 1970 (Fanzine) Editor: Robert Gestenhaber * Reprinted from Gothic Blimp Works ** Originally scheduled to be included in "Web of Horror" #4 | |
Bernard Albert Wrightson: Illustration Reality #2 - Robert Gestenhaber, December 1970 (Fanzine) Editor: Robert Gestenhaber | |
Jeffrey Catherine Jones: Illustration ERBdom #42 - Camille (Caz) Cazedessus, January 1971 (Fanzine) Editor: Camille (Caz) Cazedessus | |
Bernard Albert Wrightson: Cover + "Frankenstein story" (Inside front cover) + "Out On A Limb"* (6 pg) I'll Be Damned #4 - Damnation Enterprises, January 1971 (Fanzine) Editor: Mark A. Feldman * Originally scheduled to be included in "Web of Horror" #4 | |
Bernard Albert Wrightson: Cover Tower of Shadows #9 - Marvel Comics group, January 1971 (Comic-book) Editor: Stan Lee | |
Jeffrey Catherine Jones: "Vampi's Feary Tales: Lilith" (1 pg) Vampirella #9 - Warren Publishing, January 1971 (Magazine) Editors: Nicola Cuti, Archie Goodwin, Bill Parente, James Warren Writer: Nicola Cuti | |
Barry Windsor-Smith: "The Boy Who Loved Trees" (6 pg) Vampirella #9 - Warren Publishing, January 1971 (Magazine) Editors: Nicola Cuti, Archie Goodwin, Bill Parente, James Warren Writers: Gardner F. Fox, Barry Windsor-Smith | |
Bernard Albert Wrightson: Illustration (Flash Gordon) Comic Crusader #11 - Martin L. Greim, 1971 (Fanzine) Editor: Martin L. Greim | |
Bernard Albert Wrightson: Illustration Fantastic Fanzine #13 - Gary Groth, 1971 (Fanzine) Editor: Gary Groth | |
Bernard Albert Wrightson: Interview + Illustration (King Kull) Infinity #2 - Adam Malin, Gary Berman; 1971 (Fanzine) Editors: Gary Berman, Richard Garrison, Adam Malin, Doug Murray | |
Jeffrey Catherine Jones: Illustration ("Wolfling") + Back cover Infinity #2 - Adam Malin, Gary Berman; 1971 (Fanzine) Editors: Gary Berman, Richard Garrison, Adam Malin, Doug Murray | |
Michael William Kaluta: Illustration ("Spaceman") Infinity #2 - Adam Malin, Gary Berman; 1971 (Fanzine) Editors: Gary Berman, Richard Garrison, Adam Malin, Doug Murray |
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* Bernie Wrightson, A Look Back. Underwood-Miller, 1979, 1991; Edited by Christopher Zavisa. Pg. 318
Tutte le altre citazioni, eccetto dove diversamente indicato, sono tratte dal volume The Studio. Dragon's Dream, 1979.
L'immagine di apertura del post è: Barry Windsor-Smith, Artemis and Apollo, 1990. Dal sito: Ivaluable. The world's premiere auctions and galleries
Davvero affascinante questo excursus di questo collettivo di artisti! Complimenti, me lo sono goduto dal primo a questo ultimo post.
RispondiEliminaMi fa molto piacere, Red. E non è finita qui. Altre meraviglie ci aspettano al varco ^__^
EliminaMi metto alla finestra (di Windows o MacOs, quale che sia)
EliminaAhahah, grazie mille!!!
EliminaIndubbiamente possiamo dire che se non ci fosse stata l'esperienza di "The Studio", molto probabilmente l'evoluzione artistica ed anche la carriera dei quattro artisti sarebbero state molto diverse.
RispondiEliminaNon è facile da stabilire, Nick, visto che comunque tutti e quattro già da un paio di anni avevano "svoltato".
EliminaMolto belli questi tuoi post Ivano. Io poi ero a digiuno dell'argomento, quindi imparo molto volentieri 😀
RispondiEliminaGrazie mille, Giulia. Questo è un argomento ultra-specialistico e quindi penso che ne sia a digiuno il 99,9% degli utenti di internet ;-)
EliminaOpera meravigliosa. Il fatto che sia nata come una sorta di reazione al male del corpo non mi sorprende, quando si ha l'impressione che le cose stanno volgendo al peggio l'unico modo per non impazzire è concentrarsi ossessivamente su qualcosa che non ti faccia pensare al "peggio" imminente. E creare bellezza è il miglior pensiero ossessivo sul quale concentrarsi.
RispondiEliminaUn'ossessione durata quasi quindici anni! Per questo è ancor più sorprendente il telegrafico commento con cui Barry Smith liquida questa incredibile opera nella sua autobiografia "Opus": "Un bel soggetto nelle mani di un principiante". Davvero incontentabile!
EliminaUn grande Grazie per l'elogio del post, Cassidy, e per la nomina. Corro subito a leggerti!
RispondiEliminaMamma mia che bello questo articolo. Non hai idea di quanto mi abbia emozionata. È tutto perfetto, citazioni, immagini, frammenti di questa esperienza incredibile. Grazie, Ivano.
RispondiEliminaTi confesso, Alessia, che anche a me ha molto emozionato lavorare sopra questa parte di articolo. Mi fa quindi doppiamente piacere ricevere questa tua impressione. Grazie davvero. E a presto :-)
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