The Studio Section Six - 1976-79: Gli anni di The Studio /2
Ricorderete, forse, come mi ero divertito, nelle prime quattro Sezioni, a riempire un passo alla volta un rettangolo diviso in quattro parti. Una volta completato con la Section Four, il giochino dava come risultato il logo ufficiale di The Studio:
Ma vi è, in questo, anche un riferimento fisico alla realtà dello Studio, con la sua unica grande stanza divisa in quattro parti, ognuna occupata da uno dei nostri fab four. Ecco infatti cosa si ottiene se, prolungando oltre il mio gioco, sostituiamo ogni quarto di logo con la corrispondente sezione di locale, cioè con il singolo studio di ogni artista così come lui lo ha allestito:
Che sebbene non significhi per niente un'effettiva corrispondenza con la suddivisione reale del locale, si tratta comunque di una particolare suddivisione degli spazi che vanifica in partenza qualunque tentativo di esperienza collettiva. Poiché, come spiegò allora Jeff Jones:
Abbiamo il nostro angolo, il più lontano possibile fisicamente dagli altri, con un segno in mezzo alla stanza che fa da linea divisoria, e i nostri tavoli da disegno agli angoli.
Una separazione radicale degli spazi a cui andò poi ad aggiungersi, man mano che ciascuno dei quattro diventava più consapevole delle abitudini dei compagni, una separazione dei tempi. Ancora nelle parole di Jeff Jones:
Programmiamo sempre i nostri orari di lavoro in modo da evitare gli altri. Io vengo molto presto, Berni un po’ più tardi, Barry lavora per la maggior parte del tempo a casa e Michael dipinge in piena notte.
In altre parole, l'idea di collettivo alla base della nascita di The Studio si trovò soggetta, fin da subito, a una costante opera di sabotaggio da parte dei suoi stessi membri: quattro individualità probabilmente troppo forti e troppo poco disponibili a "indebolirsi", anche solo per quel tanto necessario a far parte di un'associazione di persone riunite sotto un unico tetto. Un'opera di sabotaggio che potremmo anche definire, senza particolare esagerazioni, nei termini di una "lotta per la riconquista della solitudine perduta". Non a caso ho esordito, nel precedente post, con l'indicare l'esperienza di The Studio come caratterizzata da una serie di paradossi. E neanche potrà più sorprendere, dopo simili premesse, che non fosse destinata a durare.
Jeff Jones, Three Ages of the Woman |
Ma avevo anche accennato, in chiusura del precedente post, a un'altra lotta, che si sovrappose fin dell'inizio a quella appena descritta. L'ho scherzosamente definita, parafrasando il titolo della pseudo-omerica Batracomiomachia, "antropomiomachia", ossia la lotta tra uomini e topi.
E' forse da considerarsi solo una divagazione ai fini del mio discorso, ma poiché a Jeffrey Catherine Jones è piaciuto includerlo il brano nel suo breve testo autobiografico A Collecting Remembrance, trovo più che accettabile offrirne qui la mia traduzione:
Una mattina presto, voglio dire prima dell'alba, entrai nello Studio che condividevo in quel periodo con Kaluta, Windsor-Smith e Wrightson. Doveva essere il 1978, credo, perché a quel tempo io e Michael vivevamo ormai nello Studio, visitando i nostri appartamenti solo occasionalmente per ritirare la posta. Ci incrociavamo intorno a quest’ora del giorno perché io la notte dormivo, mentre Michael dormiva... beh, nel 1978, Michael era un dormiglione di prima categoria. In quella mattina memorabile, mentre aprivo la grande serratura orizzontale d'acciaio della nostra grande porta d'acciaio, trovai Michael accucciato dietro il tavolo da disegno, ora in posizione verticale, con una pistola. Una pistola. "Benvenuto in ‘Desolation Row’" mi disse, mentre scrutava con un occhio sopra la parte superiore del tavolo. Devo fare un salto indietro di un mese per dire che cosa aveva portato a questa situazione all’apparenza così disperata. Fin dal momento in cui ci eravamo trasferiti nello Studio, nel giugno del 1976 - Michael sarebbe arrivato alcuni mesi dopo -, sentivamo, nelle ore più silenziose della note, dei rumori di sottofondo. Erano I topi. Beh, all'inizio un paio di noi pensavano che fossero carini e un altro paio di noi no. Quando poi i topi cominciarono, in aggiunta alle loro escursioni notturne, a masticare i nostri lavori, le pile di poster e i cavi elettrici (trovammo un topo morto stecchito con i denti ancora attaccati a una prolunga), decidemmo che non erano più carini. Ma per noi bambinoni dal cuore grande degli anni '60, "far la pelle ai topi" non era certo la prima opzione. Decidemmo così che la soluzione migliore fosse quella delle trappole “compassionevoli", che li avrebbero catturati vivi. E dopo? Bene, Michael e io acquistammo un acquario in cui ospitare i topi, un po’ come fossero degli animali domestici. Non riuscimmo a trovare delle vere trappole “compassionevoli” ma acquistammo delle loro versioni pirata al negozio di ferramenta più vicino. Inutile dire che non sempre funzionavano come dovevano. Alcuni topi venivano catturati, ma altri scappavano e pochi altri ancora li trovavamo morti o quasi morti con la porticina della trappola che si era abbassata sulle loro parti posteriori lasciandoli per metà fuori. Io e Michael mettevamo i topi che catturavamo nell'acquario e li nutrivamo con del burro di arachidi. Una sera a mezzanotte, un giorno in cui avevamo deciso che l'acquario era abbastanza pieno, Michael e io lo portammo giù con l'ascensore dal nostro dodicesimo piano, attraverso l'atrio fin nella notte. Calati nei panni di salvatori dei topi, li portammo dall’altro lato della strada, fino a un parcheggio vuoto. Gli edifici si ergevano alti e scuri su ogni lato e credo che ci domandammo dove sarebbero finiti i topi. Ma questo sarebbe stato il problema di qualcun altro. Mentre tamburellavamo sull'acquario con un bastone, tutti i topi sciamarono nella notte. Sì, sciamarono, muovendosi in gruppo come un’unica chiazza scura di nuovo al di là della strada e di nuovo nel nostro edificio. Michael era rimasto seduto per ore dietro al suo tavolo da disegno con la pistola, una pistola ad aria compressa, a cogliere sul fatto i topi mentre strisciavano lungo la parete opposta fin sotto i termosifoni. "La pistola non li uccide davvero" mi spiegò. "Rimangono soltanto storditi". "E poi cosa ne fai?" gli chiesi. "Li metto in un sacchetto di carta e li faccio precipitare da una finestra del dodicesimo piano" mi rispose con un sorriso.*
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The Studio - Complete Comics Chronology VI: Maj 1970 - November 1970
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Bernard Albert Wrightson: "The Secret Of The Egyptian Cat" (10 pg) The House of Mystery #186 - DC Comics, Maj 1970 (Comic-book) Editor: Joe Orlando Writer: Robert 'Bob' Kanigher Link | |
Barry Windsor-Smith: "The Demon That Devoured Hollywood!" (6 pg) Tower of Shadows #5 - Marvel Comics group, Maj 1970 (Comic-book) Editor: Stan Lee Writer: Roy Thomas Inker: Dan Adkins | |
Bernard Albert Wrightson: "Dark As Death" (3 pg) Challengers of the Unknown #74 - DC Comics, June 1970 (Comic-book) Editor: Murray Boltinoff Writer: Al Case | |
Bernard Albert Wrightson: "Mirror, Mirror on the Wall, Who's the Deadliest of All?" (8 pg) The Unexpected #119 - DC Comics, June 1970 (Comic-book) Editor: Murray Boltinoff | |
Jeffrey Catherine Jones: "An Axe to Grind" (7 pg) Vampirella #5 - Warren Publishing, June 1970 (Magazine) Editor: Bill Parente 7 pages Link | |
Michael William Kaluta: "Eyes of Mars" (5 pg) Graphic Showcase #3 - CCAS Publications, Summer 1970 (Fanzine) Editor: T. Long Link | |
Bernard Albert Wrightson: Cover + 3 illustrations Infinity #1 - Adam Malin, Gary Berman; Summer 1970 (Fanzine) Editors: Gary Berman, Richard Garrison, Adam Malin, Doug Murray | |
Bernard Albert Wrightson: Cover This Is Legend #1 - Richard Jennings, Summer 1970 (Fanzine) Editor: Richard Jennings Link | |
Michael William Kaluta: Frontispiece ("Ex Libris") + "The Gardener" (5 pg) This Is Legend #1 - Richard Jennings, Summer 1970 (Fanzine) Editor: Richard Jennings Link | |
Jeffrey Catherine Jones & Bernard Albert Wrightson w/ Alan Weiss: "The Legend of Sleepy Hollow" (11 pg) This Is Legend #1 - Richard Jennings, Summer 1970 (Fanzine) Editor: Richard Jennings Writer: Virgil North (Adaptation from Washington Irving's short story) Link | |
Bernard Albert Wrightson: "Stake-Out" (4 pg) I'll Be Damned #2 - Mark Feldman, July 1970 (Fanzine) Editor: Mark A. Feldman Link | |
Michael William Kaluta w/ Bernard Albert Wrightson (?): "The Coming Of Ghaglan" (6 pg) The House of Secrets #87 - DC Comics, August 1970 (Comic-book) Editor: Dick Giordano Writer: Raymond Marais | |
Barry Windsor-Smith: "The Scream of Things" (7 pg) Tower of Shadows #7 - Marvel Comics group, September 1970 (Comic-book) Editor: Stan Lee Writer: Allyn Brodsky; Inker: Vince Colletta 7 pages | |
Bernard Albert Wrightson: Cover + "Gargoyle Every Night!" (7 pg) Chamber of Darkness #7 - Marvel Comics group, October 1970 (Comic-book) Editor: Stan Lee Writer: Roy Thomas; Inker: Johnny Craig Link | |
Barry Windsor-Smith: Cover + "The Coming Of Conan!" (22 pg) Conan the Barbarian #1 - Marvel Comics group, October 1970 (Comic-book) Editor: Stan Lee Writer: Roy Thomas Inkers: John Verpoorten (Cover) and Dan Adkins (Story) Link | |
Bernard Albert Wrightson: "House Of Madness!" (8 pg) The House of Mystery #188 - DC Comics, October 1970 (Comic-book) Editor: Joe Orlando | |
Bernard Albert Wrightson: "The Hounds of Night!" (1 pg) The Unexpected #121 - DC Comics, October 1970 Editor: Murray Boltinoff Writer: Murray Boltinoff [as Al Case] | |
Bernard Albert Wrightson: Cover + "Revolting Rhymes" (8 pg) Abyss #1 - Abyss Publications, November 1970 (Fanzine) Link | |
Michael William Kaluta: "The Hunter and The Hunted" (4 pg) + "Apprenticeship" (4 pg.) + Back cover Abyss #1 - Abyss Publications, November 1970 (Fanzine) Link | |
Jeffrey Catherine Jones: Inside front cover + "Union" (8 pg) Abyss #1 - Abyss Publications, November 1970 (Fanzine) Link |
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* Jeffrey Catherine Jones, A Recollecting Remembrance (1997-2003)
Le altre due citazioni di Jeff Jones incluse nel testo sono tratte dal volume The Studio. Dragon's Dream, 1979.
L'immagine di apertura del post è: Jeffrey Catherine Jones, Ravens.
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Le altre due citazioni di Jeff Jones incluse nel testo sono tratte dal volume The Studio. Dragon's Dream, 1979.
L'immagine di apertura del post è: Jeffrey Catherine Jones, Ravens.
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Non ti dico quando a lezione mi capita di parlare delle abitudini e caratteristiche dei topi...
RispondiEliminaL'ultima volta una mia studentessa subito esclama: "Che carini!"
Tempo di arrivare alla seconda frase della mia spiegazione, aveva già cambiato idea...
E' vero che creano non pochi problemi, ma rimangono pur sempre, per quanto bistrattati, degli animali con caratteristiche a loro modo uniche ed eccezionali.
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