Trilogia delle Madri /3 - Le origini: Goethe e Nietzsche
Ricercare alla luce è uno scherzo, ma nelle tenebre si annidano i misteri.
(Goethe, Faust, 1147)
* * *
La chiave saprà scovare il giusto luogo: seguila nella sua discesa! ti guiderà alle Madri.
Questa
chiave è in realtà un oggetto molto speciale, un oggetto magico che,
nel momento in cui Mefistofele lo consegna a Faust, cresce di dimensioni e
diventa luminoso. Ciò a cui mi sembra si avvicini di più è la corona luminosa
che Arianna consegnò a Teseo per farsi guidare nel labirinto cretese. Come la
corona, anche la chiave di Mefistofele ha la funzione di fare da guida in un
luogo cui si rischierebbe altrimenti di perdersi per sempre.
Ma
se tutti abbiamo una pur vaga idea della natura del labirinto al cui centro
dimora il Minotauro, che luogo è quello che abitano le Madri? Solo attraverso
la descrizione anticipata che Mefistofele fa a Faust del viaggio che lo attende
noi arriviamo a saperne qualcosa, mentre per tutto il tempo in cui Faust effettivamente
lo compie, l’attenzione di Goethe si concentra su Mefistofele che gigioneggia
in superficie, alla corte imperiale. (Lo scopo della discesa di Faust,
ricordiamolo, è di onorare la promessa che ha fatto all'Imperatore di portare
al suo cospetto, dal regno delle ombre, le figure di Paride e Elena).
...nulla vedrai nelle lontananze eternamente vuote, non udrai il suono del tuo passo, non troverai nulla di solido su cui posare,
spiega Mefistofele a Faust.
Anton Kaulbach, Faust und Mephisto (1900) |
Eppure,
così come il labirinto ha un centro a cui i suoi meandri conducono, anche il non-luogo
delle Madri ha, situato a inimmaginabili profondità, una sorta di nucleo. E
questo nucleo è perfino rischiarato da una luce solitaria, originata da un
tripode ardente, un oggetto misterioso dotato di una particolare affinità per
la chiave magica. È grazie a questo chiarore che Faust, continua Mefistofele
nella sua anticipazione, avrà la possibilità di scorgere le Madri immerse nella
loro attività:
...seggon le une, stanno le altre e vagano. Formazione, trasformazione, eterno giuoco dell'eterno pensiero, intorno ad esse aleggiano le immagini [Gebilde] di tutte le creature. Esse non ti scorgeranno poiché solo quelle ombre esse scorgono. Fatti allora coraggio ché il pericolo è grande; va dritto a quel tripode e toccalo con la chiave! ...e il tripode alla chiave si salderà, la seguirà come un servo fedele. Tranquillo risalirai, la tua buona sorte ti riporterà in alto, e, prima che le Madri se ne avvedano, eccoti di ritorno col tripode.
Come
si vede, anche qui, come nella lontana Vita di Marcello, il loro numero
rimane indefinito. Ma mentre in Plutarco “Madri” figurava solo come un nome
collettivo, in Goethe queste dee spettrali e terribili, qualunque sia il loro
numero, acquistano - o ritrovano - alcune delle loro caratteristiche.
Scopriamo, per esempio, che sono circondate da tutto un aleggiare di immagini -
ombre, eidola - e scopriamo che il
loro “datore di lavoro” è la Mente, di cui sono intermediare e al cui eterno giuoco
cooperano formando e trasformando.
Qualcos’altro
aggiungerà Faust al suo ritorno in superficie, durante il rituale
dell’invocazione delle immagini di Paride e Elena. Rivestito di un abito
sacerdotale e con il capo cinto da una corona, così si rivolge alle Madri:
Il nome vostro invoco, o Madri, che regnate nell’infinito, e, pur socievoli, abitate in eterna solitudine. Attorno al capo vostro aleggiano le immagini della vita, mobili, pur essendo prive di vita. Coloro che altra volta esistettero in tutto il loro numeroso splendore, lì, ora si muovono giacché voglion vivere eterni; e voi lo distribuite, o Forze onnipossenti, parte alla celeste volta del giorno, parte all’etereo padiglione delle notti. Riafferra le une il dolce corso della vita; evoca le altre l’ardito taumaturgo, che, fiducioso e prodigo, suscita la visione mirabile che è nel desiderio di ognuno.
Immagini
della vita... prive
di vita... che altra volta esistettero. E che aspirano a vivere
ancora, eternamente. Auguste, onnipossente sovrane, le Madri sono matrici a cui
ritornano gli schemi essenziali dei morti, che riciclano in sempre nuove forme
da riconsegnare alla vita e ai loro destini di luce e oscurità. Come si vede,
c’è tantissima Grecia in tutto questo – Omero, Platone e Plutarco su tutto. Del resto, come Goethe,
anche il Faust storico era un umanista impegnato a diffondere la grecità in
Germania, così come quello leggendario aveva la facoltà, nel suo corso sulla
letteratura omerica, di evocare le persone degli eroi di Troia davanti ai suoi
studenti.
Jacques Louis David, L'amour d'Hélène et Paris (1788). |
L’ardito taumaturgo della parte conclusiva della citazione è lo stesso
Faust che parla di sé in terza persona. Fiducioso e prodigo, tocca il
tripode con la chiave arroventata e ne fa sprigionare una nebbia da cui si
manifestano le ombre di Paride prima e di Elena dopo. Non sappiamo chi materialmente
lo abbia consacrato nel ruolo, né chi lo abbia vestito dell’abito sacerdotale e
incoronato. Così come non sappiamo nulla della reazione delle Madri alla
scoperta del furto del tripode. Sono tutte parti del viaggio di Faust che
Goethe avvolge nel silenzio.
Ciò
che è evidente è che il dominio delle Madri è sotterraneo e non tellurico come
quello della Grande Madre, sebbene la confusione, come vedremo nei prossimi
post, persista anche oltre Cicerone e la sua seconda orazione contro Verre.
E
la loro condizione? Dee dalla natura
socievole ma condannate a un'eterna solitudine, racconta Faust. C'è forse
qui un accenno velato a quei sospiri, a quelle lacrime, a quella tenebrosità
che saranno descritte senza reticenze da Thomas de Quincey poco più di un
decennio dopo? Le schiere di ombre che aleggiano loro intorno sono viste dalle
Madri, che sono cieche a tutto il resto, ma sembra che le prime non abbiano la
facoltà di vederle a loro volta.
In
fin dei conti non sorprende che l'istrionico Mefistofele non ami averci a che
fare e che sia così pronto a scaricare su Faust tutta la responsabilità della loro evocazione.
Se è costretto a ricorrervi è perché la sua giurisdizione è confinata
all'interno del mondo cristiano e necessita di intermediari per raggiungere figure
dell’oltretomba pagano come Paride ed Elena.
E
bisogna anche aggiungere, a questo punto, che si è rivelata corretta
l'intuizione di Dario Argento di collocare le tre Madri in diversi luoghi della
terra. Una scelta non scontata, a causa della tendenza, nell’iconografia
tradizionale, a riunire su un'unica scena le triadi divine.
Abbiamo
visto, nel primo post della serie, che nel Suspiria
de Profundis de Quincey pone alla radice della sua esperienza con le Madri
i sogni, modellati dall’oppio, che lo visitano dai tempi di Oxford. Altre fonti
raccontano che l’ispirazione l’abbia avuta nel corso della notte trascorsa a
Palazzo Imbonati, un edificio infestato di Milano oggi non più esistente. Di certo conobbe bene
l’opera di Goethe, su cui scrisse anche una voce per l’Encyclopaedia Britannica.
Dopo
Goethe (1832) e de Quincey (1845), le Madri fanno ancora un'ultima fugace comparsa
ottocentesca, ne La nascita della tragedia di Friedrich Nietzsche
(1872).
Negli
ultimi capitoli di questa sua opera, Il filosofo tedesco auspica, per la
rivitalizzazione della cultura germanica, la fine dell'ottimismo scientista di
derivazione socratica da un lato e la rinascita dello spirito dionisiaco della
tragedia dall’altro – una rinascita che paragona, nel suo inestimabile valore,
a quella di Elena nel Faust
goethiano.
A giudicare dai nomi, di evidente derivazione schopenaueriana, Nietzsche nel suo accenno sembra designare le Madri come una sorta di ombra, o
negativa, della ridondanza di vitalismo del dionisiaco:
Ma come cambia di colpo la desolazione... della nostra stanca cultura, ove la tocchi l'incanto dionisiaco! Un turbine rapisce tutto quanto è consunto, putrido, frantumato, disfatto, lo avviluppa vorticosamente in un rosso nembo di polvere, e come un avvoltoio lo trae al cielo. I nostri occhi cercano smarriti ciò che è scomparso: giacché ciò che vedono è salito in alto come attraverso una botola nella luce dorata, così pieno e fresco, così rigogliosamente vivo, così passionatamente immenso. La tragedia è assisa tra questa ridondanza di vita, di dolore, di gioia in un sublime rapimento, e ascolta un lontano canto malinconico - il canto che le racconta delle Madri dell'essere, i cui nomi sono illusione, volontà, sventura [Wahn, Wille, Wehen].
Si
può facilmente immaginare che il canto malinconico sia "lontano"
perché ascende dalle inaudite profondità in cui Goethe ha posto la residenza
delle Madri. Anche qui, come nel poeta, la prospettiva platonica appare in un certo senso rovesciata:
le anime non discendono più da un regno di Idee verso il nostro mondo cavernoso, riflesso
di una realtà infinitamente più reale e luminosa, bensì affiorano alla luce, diurna o notturna, da antri sotterranei abitati da
essenze spettrali, ombre svuotate di ogni contenuto vitale, immagini forse separate
dal nulla solo dalla loro inestinguibile volontà di vivere eternamente.
E forse è vero che, come scritto nello pseudobiblia attribuito all’architetto-alchimista Emilio Varelli, l’unico grande mistero della vita è che essa è governata unicamente da gente morta.
E forse è vero che, come scritto nello pseudobiblia attribuito all’architetto-alchimista Emilio Varelli, l’unico grande mistero della vita è che essa è governata unicamente da gente morta.
* * *
Tutte le citazioni da Goethe sono tratte da: Faust. Einaudi, 1965. Traduzione di Barbara Allason.
La citazione di Nietzsche è tratta da: La nascita della Tragedia. Laterza, 1995. A cura di paolo Chiarini.
L'immagine in alto sotto il titolo è: Jukka Nopsanen, On the River Hades (2002)
La citazione di Nietzsche è tratta da: La nascita della Tragedia. Laterza, 1995. A cura di paolo Chiarini.
L'immagine in alto sotto il titolo è: Jukka Nopsanen, On the River Hades (2002)
Complimenti per questo terzo post sulle Madri, che espone concetti non semplici in modo raffinato. Mi è piaciuta la frase "l’unico grande mistero della vita è che essa è governata unicamente da gente morta." Splendido il quadro iniziale.
RispondiEliminaTanto per fare uno dei miei soliti collegamenti campati per aria, nel suo "Considerazioni esoteriche sui nessi karmici v. 2" di Rudolf Steiner che sto leggendo, lui cita spesso Goethe in rapporto alle vite passate. Del resto, per Steiner, Goethe era un vero e proprio punto di riferimento.
Grazie per i complimenti, Cristina. La frase che citi e che conclude il post è di Dario Argento, sebbene nei suoi film figuri come un estratto del libro immaginario Le tre Madri di Emilio Varelli.
EliminaSteiner deve moltissimo a Goethe e credo che il Goethenaum di Dornach ne sia la miglior testimonianza. Il tuo collegamento è in ogni caso tutt'altro che campato per aria, come vedremo nel prossimo post della serie ^_-
Che splendido viaggio, davvero complimenti ^_^
RispondiEliminaGrazie mille, Lucio! Condensare tutto in un post non è stato facile, ma del resto ce ne sono ancora di cose da dire e non posso dilungarmi all'infinito. A presto ^_^
EliminaC'è tutto un fascino in quel mondo in cui Goethe si muove e cui dà un contributo indelebile. Quanto fortunati sono stati gli intellettuali e gli artisti vissuti in quel periodo aureo che hanno creato con le loro mani, ma che hanno anche avuto la fortuna di creare. Forme e immagini che attingono al mondo antico ma reinventate con la complessità di quel mondo contemporaneo. Indiscutibilmente il periodo più affascinante.
RispondiEliminaIl Faust di Goethe è senza dubbio uno dei vertici della letteratura mondiale Luz. E frequentandolo mi rendo sempre più conto che appartiene a quella percentuale di opere che è del tutto inutile leggere una sola volta. Quasi ogni frase nasconde una moltitudine di significati. E questo vale anzitutto per il Faust II, raramente citato e forse anche poco letto a causa delle sue mille asperità.
EliminaDavvero molto interessante! Bel post!
RispondiEliminaGrazie mille anche a te Antonella :))
EliminaMa il vero scoop del post è la scoperta che le iniziali delle Tre Madri di Nietzsche danno WWW, cioè World Wide Web. Visto che razza di strategie occulte ci sono in giro? ^^
Mi ricordo del finale di Suspiria dove c'era quel culto malefico, ma non immaginavo che Argento avesse preso ispirazione da tanto background elevato.
RispondiEliminaRiguardo al culto delle streghe di cui parli, per arrivarci seguirò una strada abbastanza folle - una specie di salto mortale senza rete. C'è prima però da indagare ancora un po' sulle fonti letterarie ^_^
EliminaMi sono accorto solo oggi di un tuo vecchio commento su Illustraidee a cui non avevo risposto. Chiedo scusa, ho provveduto. :)
RispondiEliminaNessun problema, è successo anche a me a volte di accorgermi dopo mesi di un commento. E non posso neanche essere sicuro al 100% che non esistano tuttora nel blog dei commenti di cui non mi sono mai accorto.
EliminaTi linko anche questo in calce ai miei due post sul Cinema argentiano.
RispondiEliminaMerci Beaucoup!
EliminaDavvero molto interessanti i tuoi approfondimenti. Credimi, non avrei mai pensato che dietro una trilogia di film horror si celasse tutto uno studio approfondito sull'origine e l'interpretazione del potere oscuro delle Madri. Dario Argento si era documentato bene, ma anche tu non scherzi!
RispondiEliminaSe dovessi documentarmi separatamente ogni volta per ogni singola parte sarebbe certo un lavoro improbo. Per fortuna molti dettagli li avevo già immagazzinati da tempo per interesse personale.
EliminaRiguardo alla documentazione di Argento, alcune parti mi sono chiare ma su altre sto ancora indagando. Ho deciso comunque di accettare la sfida, che rimandavo da un pezzo, e partire ugualmente con questa serie.
Grazie per il tuo apprezzamento *_*
Mi chiedo solo fino a che punto il regista romano sia andato in profondità come stai facendo tu. Nelle varie interviste che Argento ha rilasciato non mi pare sia mai andato oltre a De Quincey...
RispondiEliminaP.S.: C'era una casa infestata in via Imbonati? Peccato averlo saputo troppo tardi....
Molto probabile che Dario Argento si sia limitato a ispirarsi a De Quincey, anche se ritengo altrettanto probabile che il Faust faccia parte del suo bagaglio culturale visto l'argomento. Il mio è una sorta di gioco dei collegamenti che usa la trilogia come punto di partenza, ma anche di arrivo, per sviscerare il più possibile della presenza delle Madri nella nostra cultura. Lo si può considerare un esperimento di mitopoietica, come cerca di esserlo più in generale un po' tutto il mio blog.
EliminaIl palazzo dove ha soggiornato de Quincey si chiamava Palazzo (dei Conti) Imbonati ma non so dirti se fosse ubicato in via Imbonati. In ogni caso mi risulta sia stato abbattuto un bel po' di anni fa per far posto ad altre costruzioni. Forse la sensibilità sull'argomento in quegli anni era diversa da quella di oggi.
E che sorpresa la citazione da La nascita della tragedia :O Un testo che dovrei rileggere, son passati troppi anni :D
RispondiEliminaPost meraviglioso *_*
Grazissime Glò!
Elimina"La nascita della tragedia" era un libro che da giovane, sulla spinta del dionisiaco, mi entusiasmava, oggi ne avverto tutti i limiti. Rimane comunque un'opera piena di spunti interessanti.