Apollo servo di Admeto /2: Alcesti 660-866
Uno dei motivi, forse il più noto, per cui l’Alcesti ha
sollevato una serie di problemi è l’aver occupato il quarto e ultimo posto
nella scaletta di rappresentazione della tetralogia euripidea a cui appartiene, occupato di regola dal
dramma satiresco. Un dettaglio che, insieme al lieto fine della vicenda, ha spinto alcuni a ritenere che l’Alcesti non sia da considerarsi una tragedia nel senso proprio del termine. Mentre tra quelli che, sull'altro versante della diatriba, hanno posto l’accento
sull’elemento tragico, c’è chi ha sostenuto che il lieto fine sia
tale solo all’apparenza ed Euripide abbia voluto fare in realtà dell’ironia. Cosa
vieterebbe però, a questo punto, di estendere il concetto dal solo finale a tutta la ‘tragedia’ e dire che l'Alcesti va letta in chiave ironica nella sua interezza?
Ma torniamo adesso a concentrarci, per un momento, sull'inizio. Come abbiamo visto (nel post precedente), Apollo nel prologo ci regala l’antefatto della vicenda. Scopriamo così che il suo esilio di un
anno (ma si tratta in realtà, come vedremo, di un Grande Anno) in Tessaglia, è la conseguenza di una faida familiare che ha
avuto inizio dalla trasgressione del figlio di Apollo, Asclepio. Costui, infatti, mettendosi
a risuscitare i morti ha infranto i limiti posti da Zeus, riassumibili in questi termini: non si interferisce con l’attività della morte.
Ma cosa fa Apollo in tutta risposta? Prima strappa con l’inganno alle Moire la promessa di
rinviare la morte di Admeto se qualcuno si fosse offerto di morire al suo posto,
poi, una volta che lo scambio è avvenuto secondo i patti, cerca di impedire che Thanatos prenda con sé Alcesti, che pure gli spetta di diritto di prendere.
Giovanni Battista Tiepolo - Apollo e Diana (1757) |
Sembra insomma che Apollo, che pure ha rischiato di essere gettato da Zeus nel
Tartaro, cioè nella regione più profonda ed estrema degli inferi, non abbia imparato la lezione, al punto che tocca allo stesso Thanatos metterlo in guardia dall'esagerare. Il dio in effetti non insiste oltre, e neanche ha motivo di
farlo dato che, come profetizza subito dopo al "sacerdote dei morti", sta per arrivare qualcuno che gli strapperà comunque Alcesti.
Apollo non nomina esplicitamente Eracle, ma è possibile che il pubblico sappia cosa aspettarsi, dato che il confronto tra l'eroe semidivino e Thanatos è comunque un motivo tradizionale. Così come è lecito dedurre che il pubblico sappia fin dall'inizio che assisterà a un lieto fine, poiché è regola della tragedia che le profezie al suo interno si avverino, nonostante l'usuale scetticismo al riguardo del destinatario della profezia.
Apollo non nomina esplicitamente Eracle, ma è possibile che il pubblico sappia cosa aspettarsi, dato che il confronto tra l'eroe semidivino e Thanatos è comunque un motivo tradizionale. Così come è lecito dedurre che il pubblico sappia fin dall'inizio che assisterà a un lieto fine, poiché è regola della tragedia che le profezie al suo interno si avverino, nonostante l'usuale scetticismo al riguardo del destinatario della profezia.
Proprio Eracle è però ingannato, al suo arrivo, dalle parole di Admeto, che si esprime con toni affini a quelli
dell’enigma o del duello sapienziale: accennando piuttosto che dicendo.
Qualcosa che sembra in effetti ricorrere in tutta l’Alcesti è la scarsa conciliabilità delle posizioni da cui Admeto e Eracle si
fronteggiano e parlano. Il primo sembra sempre parlare dalla prospettiva della morte; il
secondo si fa invece portavoce di una filosofia che esalta la vita e pone al centro di tutto la dea Afrodite e i suoi doni.
Mi viene così da pensare, a questo punto, che vi sia una seconda
ragione nell’inganno di Admeto ai danni di Eracle: forse il re di Fere con la sua reticenza non vuole solo assicurarsi che Eracle accetti la sua
ospitalità, ma vuole anche tenerlo lontano dalla defunta Alcesti. Dà infatti disposizione ai suoi servi di accompagnare Eracle in una diversa zona della reggia, dove può dare libero sfogo alla sua esuberanza di vita senza interferire con i
‘lavori in corso’ della morte.
Dipinto di Friedrich Heinrich Fuger |
Ritorniamo adesso, dopo queste note, al punto della tragedia dove eravamo rimasti alla
fine dello scorso post: Admeto ha appena convinto Eracle ad accettare
la sua ospitalità e rientra nel suo palazzo.
Segue una parte celebrativa affidata al coro, in cui sono magnificate sia le virtù di Admeto e della sua ospitale dimora, che perfino un dio come Apollo ha ritenuto degna di
lui, sia lo stesso Apollo, con la descrizione dei suoi benefici influssi sulla prosperità del regno oltre che degli effetti che la sua musica ha sulle belve feroci (paragonabili a quelli notoriamente attribuiti alla musica di Orfeo). Tutti elementi, questi, che hanno trovato posto - perché non ricordarlo? - nella composizione poetica di Hjalmar Gullberg, Il dio in incognito, che è all'origine di questa serie di post.
Quando poi Admeto esce di nuovo all’aperto, lo fa stavolta alla testa del
corteo funebre che accompagna Alcesti alla pira. Ma a questo punto compare sulla
scena anche il suo vecchio padre, Ferete, che, come già sappiamo, ha rifiutato di
sostituirsi al figlio nella morte. Si offre tuttavia di onorare la morta e per questo ha anche lui un seguito, formato dai suoi servitori recanti gli arredi destinati alla tomba della nuora.
Admeto rifiuta però le offerte del padre, colpevole ai suoi occhi di aver
lasciato che morisse una giovane donna, piuttosto che offrirsi di morire lui, già
vecchio. Arriva anzi a ripudiarlo insieme alla vecchia madre, che ha a sua volta rifiutato lo scambio (Alcesti, 660-673).
Da uno schiavoio sono nato, e la tua donna al senom’ebbe di furto. L’hai fatto vederealla prova chi sei, ed io non sonotuo figlio. Non lo credo, o devo direche sei un pusillanime, ed il primodella tua schiera, tu che, giunto al terminedella tua vita e con tutti i tuoi anni,non hai creduto di poter morireper un figlio ch’è tuo. A tanto il cuorenon ti bastava. E avete tolleratoche lo facesse lei, ch’era un’estranea,e che unica io devo, e ne ha diritto,chiamare madre e padre.
Il padre però rigira al figlio, e con buoni motivi, l’accusa
di pusillanimità (Alcesti, 753-761):
È una trovata d’ingegno la tuaper non morire più, se tu riescia persuadere ogni volta la mogliea morire per te. Sei un codardo!E giungi al punto da vituperarequelli tra i tuoi che non hanno la vogliadi fare questo? Tien chiusa la bocca,e credi che se tu ami la vita,tutti l’amano.
Il dissidio tra i due non ha in ogni caso nessun esito positivo. Il
vecchio Ferete esce di scena invocando sul figlio la vendetta del fratello di
Alcesti, Acasto, unico figlio maschio di re Pelia, mentre Admeto conferma, da parte sua, il ripudio dei genitori (Alcesti, 818-826):
Vattene alla malora, tu e la donnache un giorno venne ad abitarti in casa.Trascorretela da soli la vecchiaia,con un figlio che avete. È il vostro merito.Con me voi due non metterete il piedesotto lo stesso tetto. E se dovessiripudiarlo per bocca dell’araldoil focolare dei tuoi padri, sappich’io lo ripudierei.
È dopo questo culmine di drammaticità, che la tragedia
assume bruscamente un tono da commedia, per bocca di un servo che si lamenta
della scarsa creanza di Eracle (Alcesti, 840-846; 860-866):
Ne ho visti forestieri, e d’ogni terra,nella casa di Admeto, e li ho servitia tavola, ma peggio di costuinon mi era capitato di riceverne nessunofino ad oggi. Arriva, vedeche il mio padrone è in lutto, ed entra.
Di male in peggio, Eracle si ubriaca e...
comincia ad abbaiare una canzoneda tapparsi le orecchie. E così dueerano ormai le musiche: da un latolui che cantava, e il mino pensieronon si dava di Admeto e dei suoi mali,e noi servi dall’altra parte a piangereper la padrona.
Admeto ha tuttavia dato l’ordine di
nascondere le lacrime all'ospite, e il servo non può fare altro che rassegnarsi, almeno per il momento, alla villania di Eracle, un eroe che, proprio a causa della sua rozzezza, si presta bene a fare da personaggio comico e in tali vesti è stato più volte utilizzato.
Antonio del Pollaiuolo Ercole e l'Idra (c. 1475) |
Ma a me preme soprattuto soffermarmi, a questo riguardo, su qualcosa che James
Hillman, il famoso psicologo junghiano fondatore della psicologia archetipica, ha scritto in uno dei suoi saggi più intensi, Il sogno e il mondo infero (pag. 139):
Eracle si distingue dagli altri eroi, i quali, come scrive Kerényi, «erano tragicamente connessi con la morte». L’«Io eroico», nel senso in cui uso il termine in questo libro, andrebbe più propriamente differenziato come «Io erculeo», perché solo Eracle, tra tutti gli eroi, è nemico della morte.
Se le cose stanno così, non appaiono forse più comprensibili le precauzioni di Admeto? E non appare forse più comprensibile anche la difficoltà di Eracle ad andare al di là dello schermo di parole del suo interlocutore?
Ma aggiungiamo pure una terza domanda: quanto possiamo, o dobbiamo, considerare stretto il legame dell'ospitale Admeto con la morte?
* * *
Il testo dell'Alcesti di Euripide è tratto da: Il teatro greco. Tutte le tragedie. Sansoni 1980; Cura e traduzione di Carlo Diano
L'immagine in alto sotto il titolo è: Gustave Moreau, Ercole e l'idra di Lerna (1875, particolare)
Bello bello *__*
RispondiEliminaOra è chiarito il dubbio sorto circa la morta/non morta.
Sto con Ferete, che grida al figlio: Sei un codardo! Eccome! -_-
Attendo il seguito *__*
Più che chiarire dubbi, Glò, cerco di ricreare il probabile sfondo mitico che c'è alla base della vicenda. Di solito, invece, l'attenzione è puntata sulle personalità dei protagonisti.
EliminaTi aspetto per il seguito ^_^
Post interessante, come il precedente. L'ho letto con gusto. Non aggiungo altro perché non so che dire :D, a riguardo ho giusto quelle poche nozioni studiate a scuola. Però ti posso elencare gli attacchi di Thanatos XD. (Cavalieri dello Zodiaco),
RispondiEliminaSono contento di sapere che la lettura riesce gradevole anche a persone non addentro alla materia. Non ero sicuro che fosse possibile. Grazie! :)
EliminaOgnuno ha la propria cultura sulla mitologia greca U_U
RispondiEliminaNon oso pensare al livello di attendibilità di una fonte come quella che hai citato sopra ^o^
EliminaIntanto questo excursus è uno spettacolo per gli occhi con tutte le stupende opere che mostri! *_*
RispondiEliminaE poi, come già detto probabilmente, sto conoscendo un'opera a me ignota a differenza di Hillman che ho incontrato nel mio vissuto personale ma più in terza persona che direttamente, ho il Saggio su Pan ma non l'ho mai finito e al momento non mi ricordo niente di ciò che ho letto!
Comunque, Admeto quindi non è un buon samaritano ma sta agendo per un interesse personale ed utilizza Eracle e la sua rozzezza come hai detto tu per poterlo manipolare verso il proprio fine senza alcun ostacolo, se ho compreso bene.
Il terzo quesito rimane abbastanza aperto fino a questo punto, nel senso che il Fato aveva stabilito qualcosa che l'intercessione divina ha alterato, ma del Fato hanno timore gli stessi dei quindi... aspetto il prossimo post! :D
Ciao Alessia!
RispondiElimina"Saggio su Pan" è un libro molto famoso di Hillman, ma rappresenta una fase abbastanza primitiva del suo pensiero. Se lo metti a confronto con una qualsiasi delle opere della sua maturità, potrai accorgertene di persona.
Per quanto riguarda la vicenda di Admeto e Alcesti, io sto cercando, un po' sulla scia del citato Hillman, di uscire dalle personalizzazioni dei protagonisti per trovare lo sfondo più strettamente mitico. Pensa che tra gli studiosi dell'Alcesti c'è anche chi ha scritto che Alcesti si sacrifica con il secondo fine di essere glorificata dopo la morte :P :P :P
Grazie per i tuoi apprezzamenti... Al prossimo!