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Ritorno al Chautauqua: Scienza tradizionale e scienza profana /3



Laddove abbiamo parlato apertamente, in realtà non abbiamo detto nulla. Laddove, invece, abbiamo scritto in modo cifrato e figurato, abbiamo nascosto la verità.
Arnaldo da Villanova, Rosarium Philosophorum, 1550

La dispersione degli oggetti, serve per nasconderne il simbolismo a coloro che vorrebbero comprenderlo.
Ogotemmêli; cit. in: Marcel Griaule, Dio d’acqua, p.142


Niccolò Copernico dapprima esitò a divulgare il suo nuovo modello dell'universo. Da un lato perché temeva la reazione di "Aristotelici e teologi", come scrisse nella sua Prefazione di Niccolò Copernico ai libri sulle rivoluzioni, al Santissimo Signore Paolo III, pontefice massimo:

... con la vostra autorità e il vostro giudizio, potrete facilmente frenare il morso dei calunniatori, quantunque il proverbio dica che non v'è rimedio al morso dei sicofanti.

Dall'altro - ed è su questo punto che mettono l'accento gli storici della scienza Giorgio de Santillana e Herta von Dechend nel loro Hamlet's Mill - per rispetto alla regola del Silentium prescritto agli iniziati. Copernico si chiese, infatti,

se non fosse meglio seguire l'esempio dei pitagorici e di alcuni altri che erano soliti tramandare i misteri della filosofia soltanto a congiunti ed amici non per iscritto, ma oralmente, come attesta la Lettera di Iside a Ipparco.

 

Il modello copernicano dell'universo nel
De revolutionibus orbium coelestium.

Nell'apocrifa lettera citata nel testo, che fu tradotta dal greco al latino da Copernico e da lui inizialmente inserita nel De revolutionibus orbium coelestium (Le rivoluzioni celesti), Liside mette in guardia Ipparco dalle conseguenze del suo tradimento al giuramento pitagorico. Con queste parole:

E' come se uno versasse in un pozzo pieno di fango acqua pura e limpida: agita il fango e perde l'acqua.

L'esortazione al segreto divenne però priva di senso nel momento in cui Copernico, cedendo alle esortazioni degli amici, si decise a divulgare il suo modello eliocentrico dell'universo, e lui la sostituì, nell'edizione a stampa del 1543, con tre capitoli di trigonometria.

Sparì inoltre, dall'edizione a stampa, l'originale Proemio, sostituito da un'avvertenza anonima, ma scritta in realtà dal teologo luterano Andreas Osiander (1498-1552), intitolata Al lettore sulle ipotesi di quest'opera, in cui si chiariva che quella descritta nel libro era un'ipotesi non verificata ma comunque utile a "calcolare figure, grandezze, distanze, moti passati e futuri degli astri." E tanto bastava a rendere giustificata la sua divulgazione, giacché non era compito dell'astronomia dare "risposte sulla realtà delle cose".

L'Avvertenza di Osiander, il cui intento non differiva in fin dei conti da quello di Copernico, di prevenire l'offensiva di aristotelici e teologi, aveva in realtà un'origine lontana: il problema che secondo Simplicio (VI secolo d.C.) Platone avrebbe proposto agli astronomi che studiavano nella sua Accademia in questi termini:

Quali sono i movimenti uniformi e regolari, assumendo i quali è possibile salvare i fenomeni relativi ai movimenti degli "astri erranti"?

 

Il modello eudossiano a quattro sfere:
la più esterna è la responsabile del moto diurno;
la seconda del moto lungo lo Zodiaco;
le due più interne, muovendosi in verso opposto,
spiegano il moto retrogrado del pianeta
(cerchietto nero in figura) posizionato
sull’equatore della sfera più interna.
Si trattava, in altre parole, di ricondurre i moti apparentemente irregolari dei pianeti all'uniformità e regolarità presupposte dalla dialettica platonica, e fu il matematico Eudosso di Cnido (408-355 a.C.) a rispondere all'appello del maestro formulando una teoria, quella delle sfere omocentriche, che prevedeva quattro diverse sfere per ogni pianeta (a sua volta collocato sulla più interna di queste sfere) il cui centro comune era la Terra e la somma dei cui moti intorno ai rispettivi assi determinava le apparenti irregolarità derivate dall'osservazione diretta del corso degli astri erranti.

La teoria eudossiana fu accettata anche da Aristotele e inglobata all'interno del suo sistema, ma si rivelò alla lunga incapace di spiegare le variazioni apparenti di luminosità dei pianeti e sostituita, in epoca alessandrina, da un nuovo modello dell'universo che finì, al termine della sua evoluzione, per comprendere in sé tre diverse teorie: le teorie dell'epiciclico su deferente e dell'eccentrico, sviluppate da Apollonio e Ipparco nei secoli III e II a.C., e la teoria dell'equante sviluppata dTolomeo nel II secolo d.C.


La sintesi tolemaica (da Thomas S. Kuhn).
Copernico si assunse così un duplice compito: riportare l'astronomia all'originale perduta semplicità dei modelli pitagorici e restituirle il rango di scienza tra le più elevate, a cui l'aveva innalzata Platone e in seguito sottratta Aristotele seguito a ruota dai suoi commentatori. Secondo infatti la suddivisione tripartita del sapere stabilita da Aristotele, al fisico - o filosofo naturale - competeva lo studio delle sostanze naturali, incluso lo studio degli astri "in base a considerazioni di sostanza ed essenza", a considerazioni cioè di natura essenzialmente qualitativa; al metafisico lo studio delle sostanze immobili e immateriali; al matematico-astronomo le valutazioni quantitative, e qualora queste lo conducessero a ipotesi in contrasto con i principi stabiliti dai fisici - "che il cielo è realmente un cosmo" e che "i movimenti degli astri sono semplici, uniformi e regolari"* - allora tali ipotesi andavano considerate nulla più che artifici utili a spiegare l'apparente non uniformità dei movimenti celesti.

E poiché tutto questo cozzava senza dubbio con il Proemio scritto in origine da Copernico per Le rivoluzioni celesti (e che era, allora, più di tre secoli lontano dall'essere incluso nelle edizioni a stampa dell'opera), ecco giustificata la sua sostituzione con l'Avvertenza di Osiander, avvenuta molto probabilmente a insaputa dello stesso Copernico e forse anche del suo unico discepolo e assistente, Retico (Georg Joachim Rheticus, 1514-1574), che da un certo punto in avanti smise di seguire la fasi di pubblicazione dell'opera. Osiander ebbe così mano libera.

Appare comunque chiaro, da quanto detto finora, che al di là dell'opinione comune l'intento di Copernico fu di tipo più restaurativo che rivoluzionario. Soprattutto se pensiamo che oltre alla proposizione di Aristarco di Samo, della rotazione annuale della Terra intorno al sole, e a quella del pitagorico siracusano Ecfanto (VI-V secolo a.C.), di una rivoluzione diurna della terra sul suo asse, l'astronomo polacco comprese all'interno del suo  modello cosmologico l’idea pitagorica dell'armonia delle sfere, ovvero di un rapporto tra la successione dei circoli planetari e gli intervalli della scala musicale. Come del resto aveva fatto Tolomeo, che da parte sua non si considerava affatto un pitagorico, quattordici secoli prima.


Il modello "misto", o Tychiano, dell'universo.
E si spiega così forse anche meglio l'iniziale opposizione degli astronomi più ortodossi alla teoria copernicana, accolta invece con favore dallo scienziato-mago John Dee (1527-1608) - che preferì comunque teorizzare per i pianeti, nel XVIII teorema della sua Monas Hieroglyphica, un'orbita ovale anziché circolare - e dal filosofo-mago Giordano Bruno (1548-1600). Mentre l'astronomo danese Tycho Brahe (1546-1601) optò per una sintesi tra i due sistemi, tolemaico e copernicano, con la Terra al centro dell'universo attorno alla quale ruotavano Luna e Sole in due orbite concentriche, e i restanti cinque pianeti - Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno - che ruotavano attorno a Luna e Sole, concentrici rispetto al Sole ma eccentrici rispetto alla Terra.

Una costruzione cosmologica, quella di Brahe, che piacque al Padre gesuita Athanasius Kircher (1602-1680), considerato il fondatore dell'egittologia, mentre un altro famoso "adoratore del Sole", il medico e filosofo ermetico Robert Fludd (1574-1637), preferì mantenersi fedele a un modello strettamente geocentrico, cercando anche di offrire una spiegazione semi-scientifica a sostegno di questa sua preferenza: far dipendere la rotazione dei pianeti da un fattore interno al sistema quale il Sole, spiegò, era meno conveniente, in termini di forza impiegata, che farla dipendere da un principio esterno com'era l'aristotelico Primo motore.

A una simile ricezione, seppur parziale, del sistema eliocentrico copernicano da parte di filosofi ed esoteristi aveva non poco contribuito Marsilio Ficino (1433-1499), la cui traduzione latina del Corpus hermeticum attribuito a Ermete Trismegisto, che vide le stampe nel 1471, non poté che favorire, con la presunta riscoperta dell'antica tradizione sapienzale egizia, la nascita di una nuova cosmologia in cui il Sole rivestisse un ruolo di rilievo. Copernico e le sue Rivoluzioni celesti avrebbero poi fatto il passo successivo e tolto la Terra dalla posizione centrale nell'universo che occupava da millenni nella cosmologia "ufficiale", con la conseguenza di mettere anche in piena luce la separazione, già in corso in sordina da secoli, della scienza dell'osservazione degli astri nei due rami in cui la conosciamo ancora oggi: astrologia e astronomia. 


* * *


* Le parti tra virgolette di questo paragrafo provengono da Gemino, Epitome delle Meteorologia di Posidonio (I secolo d.C.) e sono citate in: Anna De Pace, Niccolò Copernico e la fondazione del cosmo eliocentrico. Bruno Mondadori, 2009.

- Principali opere cartacee consultate:

AA.VV., Il testo filosofico 1. L'età antica e medievale. Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 1991.

Alessandro Braccesi, Esplorando l’universo. Zanichelli, 1988.

William Cecil Dampier, Storia della scienza. Edizioni Scientifiche Einaudi, 1953.

Anna De Pace, Ibid.

Giorgio de Santillana, Herta von Dechend, Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo. Adelphi,  2003.

Alexander Roob, Il museo ermetico: Alchimia & Mistica. Taschen, 1997.

- L'immagine di apertura del post è un particolare di Copernicus di Jean-Leon Huens (1921-1984). National Geographic magazine; May 1974, p. 626.


Commenti

  1. Certo che, senza le possibilità tecniche di oggi, spiegarsi i fenomeni celesti era un bel problema. Se ci si aggiunge poi l'ostilità ecclesiastica al modello geocentrico, ancora peggio. Eppure gli antichi Greci avevano misurato la distanza fra Terra, Sole e Luna (tra ragionevoli approssimazioni e grossi errori...)

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    1. Se parliamo di misure, e quindi di scienza quantitativa, d'accordo, ma il mio approccio in questa serie di post è diverso. Intendo mostrare la graduale perdita in Occidente dell'idea di "cosmo", ereditata dall'antichità classica e giunta fino ben oltre la soglia dell'età moderna.

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    2. Eh, sì, chiaramente la cosmogonia di un tempo era basata su miti, filosofia, religione e leggende, che del resto erano serviti a narrare fenomeni che l'uomo non poteva spiegarsi diversamente. E però la conoscenza reale dei fenomeni fisici è venuta a rivelare un'altra realtà, che necessariamente doveva spodestare le concezioni precedenti e i complessi modelli che cercavano di mantenere la Terra al centro di tutto.

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    3. No, anziché avvicinarci ci stiamo allontanando sempre più. Evidentemente il discorso che sto portando avanti non è così comprensibile come pensavo per chi non è addentro alla materia. Spero che i prossimi post servano a chiarire meglio la questione a chiunque legga.

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    4. In effetti, nel post non hai dato, mi pare, un giudizio di merito su queste antiche teorie e su quelle più moderne. Per quanto mi riguarda le teorie esoteriche, con cui ho occasionalmente avuto a confrontarmi (non sono un esperto, ho letto qualcosa qua e là), valgono se sono in grado di portare dimostrazione di quello che dicono.

      Riguardo al fatto che il progresso, la scienza, l'evoluzione liberale del pensiero ecc. ci abbiano portato non ai miracolosi risultati che promettevano, ma a un mondo forse ancor peggiore del nostro passato remoto, e probabilmente votato anche alla catastrofe, bene, è proprio il mio realismo che mi porta verso questo punto di vista, non l'aver letto Guenon, Nietzsche o Evola in gioventù.

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    5. Le teorie esoteriche non possono per loro natura essere soggette a dimostrazione perché appartengono a un ambito sovrarazionale. La dimostrazione appartiene a un ambito razionale come quello in cui si muove la scienza quantitativa. Questa fondamentale distinzione è alla base di questa serie di post e credo che diventerà sempre più evidente nel loro seguito.
      In genere tendo a non esprimere giudizi netti, perché preferisco che si manifestino da sé un poco alla volta in corso di scrittura, ma penso che chi mi ha seguito nell'arco di vita del mio blog ormai sappia che per me l'approccio razionale è solo un utile strumento intermedio sulla via della conoscenza, necessario per una comunicazione adeguata ma limitato nei risultati.

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  2. In effetti ammetto che io pure avevo capito che ti riferissi a un approccio all'astronomia di tipo "filosofico", con retaggi classici, quindi dove il metodo scientifico e il mito si fondono tra loro, un po' tipo l'alchimia che da un lato si componeva di nozioni chimiche nate dall'osservazione e dalla sperimentazione, ma dall'altro lato si rifaceva a concetti filosofici rispetto ai quali gli esperimenti chimici dovevano in qualche modo essere la dimostrazione materiale di un principio metafisico.
    Non credo che sia un'incomprensione derivante dalle parole che usi, ma piuttosto dal fatto che si tratta di concetti relativi a un ambito di studi molto specifico. Non so Bruno, ma io, per dire, ho fatto studi economico-commerciali e successivamente letterari, perciò non sono addentrato nella filosofia, ne ho solo le nozioni più basilari.

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    1. Quello che scrivi è tutto giusto, Ariano. Nel senso che è evidente che mi sto riferendo al tipo di astronomia che dici tu. La parte della mia tesi che mi sembra stia sfuggendo, probabilmente perché sto operando in maniera abbastanza asistematica, è che sto cercando di mostrare come il progresso tecnologico abbia portato un vantaggio dal punto di vista della precisione quantitativa dell'astronomia, ma anche a uno svuotamento parallelo della sua dimensione qualitativa. E' un po' il discorso che avevo già affrontato nella serie "Lo Zen e la manutenzione della motocicletta" (per questo si intitola "Ritorno al Chautauqua") ma più esplicito. E spero anche, un poco alla volta, più chiaro ;-)

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