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Ritorno al Chautauqua: Scienza tradizionale e scienza profana /4


O Pitagora parlava ermeticamente o Hermes parlava pitagoricamente.

Johannes Keplero

 

Keplero, se fosse vivo oggi, avrebbe come oggetto della sua ricerca la scoperta di una prospettiva modificata da cui riscoprire su un'altra scala l'Harmoniae Mundi.

Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend

 

Come visto nel post precedente, l'astronomo danese Tycho Brahe rifiutò di accogliere per intero la rivoluzione, o restaurazione, copernicana, optando per un modello misto geo-eliocentricoSi rivelò ancora necessario, rispetto al modello puramente geocentrico, mantenere alcuni epicicli ed eccentrici ma non più l'equante, introdotto da Tolomeo per salvare il principio dell'uniformità della velocità angolare dei pianeti in orbita attorno alla Terra. Brahe scardinò inoltre, con le sue osservazioni sulla grande cometa del 1577 (C/1577 V1), la teoria dell'universo a sfere cristalline.

Rampollo aristocratico figlio di aristocratici, il giovane Tycho visitò Venezia nel periodo in cui vi operava l'architetto Andrea Palladio (1508-1580), teorico di un'architettura basata sugli stessi rapporti numerico-musicali che i seguaci di Pitagora avevano trasposto nei cieli nei termini ideali dell'armonia delle sfere. Brahe, che godeva dell'amicizia personale e del mecenatismo del re Federico II di Danimarca (1534-1588), volle costruirsi per sé una dimora-osservatorio fondata sugli stessi principi e progettò Uraniborg, il Castello di Urania, Musa dell'astronomia. La costruzione dell'edificio ebbe luogo negli anni 1576-1580 sull'isola danese di Hven, e forse a conoscenza delle umili origini di Palladio, che aveva iniziato la sua attività come scalpellino, affidò il ruolo di capomastro a Hans van Steenwinkel, che esercitava lo stesso umile mestiere. Ma a causa della posizione sopraelevata ed esposta ai venti, l'osservatorio di Uraniborg si rivelò inadatto a ospitare gli strumenti astronomici, che furono così trasferiti in un secondo sito eretto all'uopo poco distante e con una pianta simile ma in proporzioni ridotte: Stjerneborg, il Castello delle stelle. Fu l'ultimo osservatorio europeo dell'era pre-telescopica.



 

Con l'ascesa però al potere del successore di Federico II, re Cristiano IV (1577-1648), Tycho Brahe cadde in disgrazia e dovette lasciare la Danimarca e abbandonare sia l'Uraniborg che lo Stjerneborg, che furono di lì a poco distrutti.

Nel 1598 Brahe raggiunse Pragadove Rodolfo II d'Asburgo (1552-1612), imperatore del Sacro Romano Impero, aveva trasferito dal 1583 la corte di Vienna per poi circondarsi di figure più e meno in vista della scienza e dell'occulto del suo tempo. Qui, oltre a esercitare come astrologo di corte, Brahe continuò le sue osservazioni astronomiche e chiamò accanto a sé, fin dall'anno successivo (1599), Johannes Keplero (Johannes Kepler, 1571-1630), "tardo-pitagorico" e "ultimo degli arcaici", secondo il duplice appellativo datogli da Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend in Hamlet's Mill (Il Mulino di Amleto).

E se la Prisca sapientia, o Sapienza originaria rivelata direttamente da Dio ad Adamo e Mosè, fu tramandata - e tenuta nascosta alla curiosità dei profani - da una catena di iniziati, i cui anelli principali per i Neoplatonici furono Ermete Trismegisto, Zoroastro, Pitagora e Platone, un'altra catena, di genere molto diverso ma comunque non totalmente estranea a quella, la troviamo in questo periodo di transizione dalla concezione arcaica alla concezione moderna di scienza. Copernico, Keplero, Galileo, Newton, sono i quattro grandi nomi che fungono da anelli di questa seconda particolare "catena iniziatica".

Vero è che Sir William Dampier, nel suo A History of Science, definisce a ragione Galileo Galilei (1564-1642) "il primo uomo moderno nel senso pieno del termine"*, per via del suo approccio allo studio dei fenomeni fisici che sarà già quello sperimentale della scienza a lui successiva. Ma Galileo non si spinse al punto di perorare la causa di uno spazio illimitato come avrebbe fatto, una generazione dopo, Isaac Newton (1643-1727). Bensì:

Galileo, scienziato autentico, rimase ancora abbastanza dominato dalla circolarità richiestagli dal suo cosmo, sicché non osò formulare quel principio di inerzia rettilinea che già era nella sua mente. Egli rimase ostinatamente fedele al cosmo circolare: il cerchio era per lui una metafora dell'Essere, da accettarsi anche al prezzo di inaccettabili epicicli. Ma nonostante i lucidi e prosaici ragionamenti con cui sostenne la circolarità perfetta, essa rimase per lui soprattutto una "forma simbolica", assai vicina alla Coppa dalle sette fasce di Jamshid, al Calderone magico di Ceridwen, al Cromlech di Stonehenge.** 

Ma lo stesso Newton è stato a sua volta definito (nel 1947 da John Maynard Keynes*) "l'ultimo dei maghi", a riprova di quanto anche lui appartenga a pieno titolo a un'epoca di transizione:

Newton non fu il primo dell'Età della Ragione, bensì l'ultimo dei maghi, l'ultimo dei Babilonesi e dei Sumeri, l'ultima mente eccelsa che guardò il mondo visibile e intellettuale con gli stessi occhi di coloro che incominciarono a costruire il nostro mondo intellettuale poco meno di diecimila anni fa.

...

Perché guardava all'intero universo e a tutto quanto è in esso come a un enigma, a un segreto che poteva esser letto applicando il pensiero puro a certi fatti, certi mistici indizi che Dio aveva posto qua e là nel mondo affinché la confraternita esoterica potesse cimentarsi in una sorta di caccia al tesoro filosofica. Egli credeva che questi indizi fossero rintracciabili in parte nei fatti celesti e nella costituzione degli elementi (dal che deriva la falsa impressione che fosse un fisico sperimentale), ma in parte anche in certi documenti e tradizioni passati di mano in mano in una catena ininterrotta di iniziati che risaliva fino alla tradizione originaria, manifestatasi in Babilonia in linguaggio cifrato. Newton considerava l'universo come un crittogramma apprestato dall'Onnipotente, così come egli stesso, corrispondendo con Leibniz, avvolse in un crittogramma la scoperta del calcolo infinitesimale. L'enigma si sarebbe svelato all'iniziato mediante l'applicazione del pensiero puro e della concentrazione mentale.***

Quindi, nell'opinione di Keynes, in Newton ancor più che in Galileo sarebbe da constatarsi la permanenza, accanto al metodo induttivo, di un approccio di tipo deduttivo allo studio della natura.

Ma torniamo ora all'"ultimo degli arcaici", Johannes Keplero, e chiediamoci se convenga considerarlo un astrologo prestato all'astronomia o un astronomo prestato all'astrologia. A sentir lui, fare oroscopi era il suo modo di finanziarsi come astronomo, ma non è così immediato rispondere a questa domanda. Perché per quanto sia arruolabile con facilità tra i moderni, con le sue tre leggi sui moti planetari (in gran parte debitrici delle accurate osservazioni di Marte compiute dal suo maestro Tycho Brache) che tanto contribuirono all'affermazione del sistema eliocentrico copernicano e tanto servirono a Newton per la costruzione della sua astronomia, è comunque certo che prendesse molto sul serio l'astrologia e che la sua descrizione del cosmo si presenta allo stesso tempo come un modello astronomico e una grandiosa summa astrologica. Soprattutto se si intende l'astrologia nel suo significato più esteso e autentico.

Keplero infatti, secondo Santillana e von Dechend, comprendeva ancora il significato del Trigono delle Grandi Congiunzioni (immagine in basso), "...lo strumento con cui puntualizzare il ritmo quasi impercettibile della precessione [degli equinozi]".****



Descrizione dell'immagine: Il diagramma originale si trova nel Mysterium Cosmographicum di Keplero (1596) e comprende la fascia circolare più esterna, o circolo dello Zodiaco, e i triangoli numerati i cui vertici segnano i punti delle grandi congiunzioni viste dalla Terra. Le date (la "grande congiunzione" si ripete una volta ogni venti anni circa, quando Giove incontra Saturno per poi lasciarselo alle spalle a causa del suo moto più veloce), e i nomi dei segni zodiacali, con la loro appartenenza elementale, sono aggiunte moderne.*****


Questa scoperta del triangolo, che Keplero  assimilò alla Tetraktys pitagorica (immagine a lato), sorprese il giovane astronomo il 19 gennaio 1595, mentre disegnava un diagramma alla lavagna durante una lezione che stava tenendo allo Stiftsschule, un seminario protestante di Graz in Stiria. Se si disegnavano solo tre grandi congiunzioni consecutive, ne risultava qualcosa di approssimativamente molto vicino a un triangolo equilatero. Se poi si disegnavano le successive tre congiunzioni, ecco che si otteneva un secondo triangolo quasi equilatero identico ma di poco sfasato, e così via. La progressiva rotazione del triangolo dava in questo modo forma a un secondo cerchio più interno, con la distanza tra le due circonferenze corrispondente alla distanza tra le orbite dei due pianeti. Risultava inoltre che il raggio del cerchio interno era la metà di quello del cerchio esterno, così come il raggio dell'orbita di Giove rilevato dalle osservazioni astronomiche era la metà del raggio dell'orbita di Saturno.

Ed ecco arrivato il momento, dopo questa premessa geometrica, di concentrarsi sull'aspetto più prettamente astrologico dello Schema delle grandi congiunzioni di Keplero, con tutto quel che ne conseguirà di significativo. Nella prossima parte dell'articolo però, che questa è già abbastanza lunga così. 


* * *

* William Cecil Dampier, Storia della scienza. Edizioni Scientifiche Einaudi, 1953; pag. 218.

** Giorgio de Santillana, Herta von Dechend, Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo. Adelphi, 2003; pag. 397.

*** Keynes, John Maynard, Newton, The Man. In: The Royal Society. Newton Tercentenary Celebrations, 15-19; July 1946. Cambridge, pp. 27-34. Cit. in: Giorgio de Santillana, Herta von Dechend, Op. cit., pag. 28.

**** Giorgio de Santillana, Herta von Dechend, Op. cit., pag. 315.

***** Da: Kitty Ferguson, La musica di Pitagora. Le scienze, 2010; pag. 272.

- L'immagine di apertura del post è un particolare di un'incisione di autore ignoto. Dal libro Tycho Brahe, Astronomiae instauratae mechanica. Wandsbeck, 1598.

Commenti

  1. Vista l'epoca "di transizione" è quasi normale che gli studiosi avessero nel loro bagaglio mentale e culturale elementi dell'antico e del nuovo. Non a caso Galileo ha voluto (forse "dovuto") spiegare i procedimenti dei suoi studi e l'uso delle analisi matematiche proprio perché era un "metodo nuovo" basato sulla conferma derivante da calcoli astronomici abbinati a osservazioni metodiche.

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    1. Quello che interessa a me è, come ti avevo anticipato in un precedente commento, mostrare le fasi dello svuotamento progressivo di qualità e significato dal mondo occidentale, fino al prodursi di quel guscio vuoto che è allo stato attuale.

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