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Ritorno al Chautauqua: Scienza tradizionale e scienza profana /5



...come un abile gentiluomo della cultura occidentale [Giorgio de Santillana] aveva percorso per decenni i sentieri vittoriosi della scienza, fra Galileo e Leibniz li aveva visti culminare. E ora, guardando la fascia delle Bestie Zodiacali, obliqua sull'orizzonte, riconosceva che pondus, numerus, mensura avevano già illuminato e dominato un altro mondo, in tutt'altro senso, a partire da un Tempo Zero che egli tendeva a situare quando il Sole equinoziale sorgeva nei Gemelli, intorno al 5.000 a.C. Cominciò allora a percorrere i sentieri celesti di quell'altra scienza, raccogliendo amorosamente briciole di mitografi e di antichi cantori. Un giorno riaprì Cassirer sulle "forme simboliche": l'opera più articolata di quel grande studioso che a lungo era stato per lui una guida. Si accorse che di quelle pagine non rimaneva pressoché nulla.

Roberto Calasso, La rovina di Kash


Nel creare il linguaggio della filosofia del futuro, Platone parlava ancora l'antico idioma. Era, per così dire, una "stele di Rosetta" vivente. E difatti - per quanto strano possa sembrare agli specialisti di antichità classiche - una lunga esperienza ha dimostrato la seguente regola metodologica empirica: ogni disegno rinvenuto in miti che vanno dall'Islanda alla Cina all'America precolombiana, e per il quale esistano allusioni in Platone, risale certamene a un'età remota, e può essere accettato per moneta buona.

Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend, Il Mulino di Amleto


Ho concluso il post precedente anticipando che mi sarei occupato del diagramma delle Grandi Congiunzioni di Saturno e Giove compilato da Johannes Keplero nel 1595 da un punto di vista più prettamente astrologico. E per farlo mi baserò soprattutto sulle fondamentali osservazioni degli storici della scienza Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend.

Citando dal loro Hamlet's Mill:

Per percorrere tutto lo zodiaco, uno degli angoli del Trigono necessita di circa 2383 anni (cioè 3 x 794⅓), il che è abbastanza vicino alla durata di un'ora doppia [antica misura di tempo e di distanza utilizzata in Mesopotamia] del "giorno" massimo processionale di 25.900 anni. Un nuovo segno zodiacale "regnava" a partire dal giorno di una Grande Congiunzione nel punto del "passaggio" ... La nostra èra, l'Età dei Pesci, ebbe inizio da una Grande Congiunzione avvenuta nei Pesci nell'anno 6 a.C.*


Ripropongo qui nuovamente, per facilitare la comprensione del brano, lo stesso
diagramma della Grande Congiunzione visto nel post precedente.


Poiché i quattro elementi associati ai Segni si succedono lungo lo Zodiaco nella successione Fuoco-Terra-Aria-Acqua occupando un terzo dell'intero percorso, quello che accade al termine dei 794⅓ anni riportati nella citazione da Hamlet's Mill, è che l'angolo del trigono, dopo aver percorso un'intera successione di Segni (Ariete-Toro-Gemelli-Cancro) ed elementi, ritorna all'elemento di partenza (Fuoco) e si avvia a percorrere i successivi quattro segni (Leone-Vergine-Bilancia-Scorpione) e la seconda quadruplicità di elementi. Per poi fare lo stesso con i quattro segni finali (Sagittario-Capricorno-Acquario-Pesci) e la terza quadruplicità di elementi. E' questo passaggio da una "ignea triplicità" all'altra (va ricordato che per i Pitagorici il fuoco era il più nobile dei quattro elementi), che l'astronomo e astrologo Johannes Keplero utilizza, arrotondando per comodità a 800 anni, per scandire le età del mondo.

Nel modo seguente:

4000 a.C. -  Adamo / Creatio Mundi

3200 - Enoch / Latrocinia, urbes, artes, tyrannis

2400 - Noè / Diluvium

1600 - Mosè / Exitus ex Aegypto. Lex

800 - Isaia / Aera Graecorum, Babyloniorum, Romanorum

0 - Cristo / Monarchia Romana. Reformatio orbis

800 d.C. - Carlo Magno / Imperium Occidentis et Saracenorum

1600 - Rodolfo II / Vita, facta et vota nostra, qui haec disserimus**


Joseph Heintz, Rodolfo II D'Asburgo (1594).
Keplero si assegna dunque, in questo modo, la sorte non comune di vivere proprio al centro della seconda delle due uniche tappe epocali dell'era cristiana che lui (come del resto noi) poteva citare. E se sono le figure preminenti dell'Antico Testamento a scandire le cinque tappe dei quattromila anni dell'età antica, non è un caso che l'età cristiana veda svettare su tutte le personalità di due sovrani illuminati alle cui rispettive corti la cultura dell'epoca raggiunse la massima fioritura.

Ma se ricordate quanto scritto nella parte precedente dell'articolo, de Santillana e von Dechend dicono anche che Keplero era ancora in grado di comprendere il vero significato della rivoluzione del Trigono delle Grandi Congiunzioni. Significato che loro riassumono in questi termini a prima vista molto sibillini:

Grazie a questo Trigono, Saturno fornisce veramente di continuo πάντα τ μέτρα [tutte le misure] al "figlio" Zeus...***

Ora, il Trigono di Grandi Congiunzioni si forma nell'arco di 59,6 anni (19,86 anni x 3 congiunzioni), che è del tutto lecito "correggere" a 60 (20 x 3). E questo conduce a delle particolari considerazioni di ordine numerico-geometrico che andremo a prendere in esame sempre sulla base delle considerazioni di de Santillana e von Dechend. I quali scelgono di dedicare la prima metà del capitolo 12 del loro Hamlet's Mill alla riproposizione integrale dell'ultimo racconto di Socrate, riportato da Platone nel suo dialogo Fedone. Poco prima di bere la cicuta in ottemperanza alla pena che gli è stata comminata, Socrate diletta un'ultima volta un gruppo di pitagorici con un insegnamento in forma di mito - il che indica in genere che Platone ci sta dicendo qualcosa di essenziale. Ma dato che in questa sede il racconto integrale occuperebbe lo spazio di molti post, io ho scelto di riportarne solo gli estratti che ho giudicato più significativi.

Socrate inizia col dire che noi siamo gli abitanti di una terra inferiore, che è una sorta di ombra della vera terra che si trova collocata più in alto rispetto alla nostra. E che tutto ciò che vi è nella nostra terra ha un corrispettivo nell'altra ma come traslato a un grado più elevato di bellezza.

...Perché vi sono da ogni parte intorno alla terra molte cavità, e diversissime l'una dall'altra così di forma come di grandezza, nelle quali confluiscono insieme l'acqua, la nebbia e l'aria: ma essa la vera terra si libra pura nel cielo puro dove sono le stelle, il quale la più parte di coloro che si occupano di queste cose chiamano ètere; e l'acqua la  nebbia e l'aria sono un sedimento di questo ètere, e insieme si riversano continuamente nella cavità della terra.

Ricordo ancora, prima di proseguire, che Socrate si sta esprimendo in forma di mito, e chi pensa che stia cercando di spiegare "scientificamente" qualcosa è fuori strada.

Ora, noi che abitiamo queste cavità, non ce ne accorgiamo, e crediamo di abitare in alto sopra la terra: allo stesso modo di uno il quale, abitando in mezzo alla profondità del mare, s'immaginasse di abitare su la superficie, e vedendo, attraverso l'acqua, il sole e le altre stelle, credesse cielo il mare.


Frontespizio della Historia Mundi Naturalis di Plinio il Vecchio (1582).

Ebbene, anche a noi, credo, è capitato precisamente lo stesso: ché, mentre abitiamo in una cavità della terra, crediamo di abitare in alto sopra di essa; e l'aria la chiamiamo cielo perché ci pare che attraverso questa, quasi fosse cielo, facciano lor cammino le stelle.

Oltre al motivo platonico della nostra realtà come copia imperfetta di una realtà di ordine superiore, si preannuncia qui, in chiave astronomica, il famoso mito della caverna della Repubblica. Qui come là, l'uomo si crede libero ma in realtà vive rinchiuso in una prigione, e incapace di elevarsi al di sopra dei suoi limiti fino a una realtà più autentica, scambia le ombre delle cose per le cose stesse.

...e infatti, se uno riuscisse a spingersi fin su all'estremo lembo dell'aria, o, messe le ali, vi giungesse volando; colui vedrebbe, levando il capo fuori dell'aria, allo stesso modo che qui da noi i pesci levando il capo fuori del mare vedono le cose nostre, così vedrebbe anche le cose di lassù; e, se la natura sua fosse capace di sostenere codesta visione, riconoscerebbe che quello è il vero cielo, quella la vera luce e la vera terra.

...

...la vera terra, chi la guardi dall'alto, ha l'aspetto delle nostre palle di cuoio a dodici pezzi, iridescente e come intarsiata di diversi colori; e di codesti colori perfino quelli che adoprano i pittori qui da noi sono immagini appena.

...

E le stesse cavità della terra, ripiene come sono di acqua e di aria, presentano lassù un lor colorito particolare: cosicché, rilucendo ancor esse tra mezzo la iridescente varietà di tutti gli altri colori, la superficie della terra apparisce alla vista come un'unica ininterrotta iridescenza. Analogamente a questo suo aspetto crescono ivi i suoi prodotti, e alberi e fiori e i lor frutti; e così, medesimamente, le montagne e le pietre vi sono levigate e trasparenti, e quindi i loro colori hanno più vivo splendore; e di codeste pietre e montagne, anche quelle petruzze che qui da noi hanno sì gran pregio, non sono che frammenti, sarde diaspri smeraldi e altre simili; e insomma non c'è niente lassù che non sia della stessa vista di queste nostre gemme e anche più bello di queste.

...

E vi sono esseri viventi e molti e di specie diverse, e anche uomini; e gli uomini abitano alcuni verso l'interno della terra, altri sulle rive dell'aria come noi sulle rive del mare, altri in isole non lontane dal continente e circondate tutt'intorno dall'aria; e, in una parola, ciò che per noi è l'aria, per costoro è l'ètere. E le stagioni hanno ivi tal temperanza che non vi sono ammalati; e gli uomini non solo vi campano assai più tempo che qui, ma anche, per la finezza della vista, dell'udito, dell'intelligenza e in genere di tutte le altre facoltà, sono alla stessa distanza da noi che la purezza dell'aria dalla purezza dell'acqua e la purezza dell'ètere da quella dell'aria. E inoltre vi sono boschi sacri agli dèi e templi dove gli dèi abitano realmente; e vi sono oracoli e divinazioni e contatti diretti con gli dèi, e insomma personali comunioni di essi stessi gli uomini con essi stessi gli dèi. E anche il sole, la luna e le stelle si veggono da codesti uomini direttamente quali sono in realtà; e così essi godono di ogni altra beatitudine che è conseguenza delle cose sopra dette.****

Gli estratti del discorso di Socrate, accompagnati dalla loro interpretazione, continuano nella parte 6 di questo articolo.


* * *


* Giorgio de Santillana, Herta von Dechend, Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo. Adelphi, 2003; pag. 315.

** Op. cit., pag. 531.

*** Op. cit., pag. 315.

**** Op. cit., pp. 219-221.

L'immagine di apertura del post è: William Blake, The Sea of Time and Space (1821).

Commenti

  1. Non so se il concetto di "svuotamento qualitativo" al quale hai fatto riferimento nei post precedenti sia riferito a questo tipo di concezioni, se così fosse credo che un'esclusione di tali concetti fosse inevitabile nella scienza successiva dal momento in cui sono stati adottati i principi galileiani del calcolo e del riscontro matematico.

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    1. Vero, Ariano, era inevitabile. Ma solo perché questo particolare ciclo terrestre doveva culminare e terminare con il "regno della quantità". Oggi conta più quanto si vive di come si vive, per questo è stato così facile convincere certuni a cedere la propria qualità di vita in cambio di una sicurezza solo presunta.

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