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Trilogia delle Madri /18: Sulle rive del Mar Nero /1

 


"Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo."
(Se non piego i Superi, muoverò l'Acheronte)
...Come [Giunone] questo ebbe detto, in terra calò spaventosa.
Aletto, madre di lutti, delle dee Dire, dal luogo
delle tenebre inferne, evoca: a cui miserevoli guerre
e ire e insidie e delitti efferati son cari.
L'odia il padre stesso Plutone, le sorelle tartaree 
odiano il mostro, in tanti aspetti si cambia,
tante ha orride forme, di tante serpi, nera, essa pullula.

Virgilio, Eneide1

"Vengo dalla sede delle funeste sorelle."

Aletto a Turno, re dei Rutuli e antagonista di Enea.2

 

Un anno e mezzo fa, inizio 2020, ho finalmente trovato l'impeto necessario a prodigarmi in qualcosa che sognavo di fare da tempo: leggere da cima a fondo l'Eneide di Virgilio, gustata prima d'allora solo a spezzoni (man mano che trovavo dei riferimenti di rimando in altri libri), con l'unica eccezione della catabasi di Enea agli Inferi (Libro VI), letta invece per intero.

Mi sono così trovato davanti a un gran numero di riferimenti insospettati alle Erinni; ma poiché avevo anche deciso che non avrei insistito oltre - dopo l'approfondimento di Eumenidi di Eschilo - sulla loro affinità con le Madri, mi limito a riportare qui dell'Eneide solo le due citazioni in alto, che trovo particolarmente adatte a ricreare l'atmosfera della Trilogia. Specificando soltanto che Giunone agisce nel tentativo di fermare Enea, mentre le "dee Dire" sono in questo caso la stessa Aletto e Tisifone, che "la fosca Notte... generò insieme alla tartarea Megera in un unico parto; e le cinse di uguali spire di serpi, e aggiunse ali ventose."3

In modo contrario opera Giunone con un altro eroe, protagonista di un'impresa molto più antica di quella di Enea: Giasone, che alla guida degli Argonauti si era spinto nella parte più interna del Mar Nero (l'estrema propaggine orientale del mondo "greco" di allora) fino alla Colchide (l'attuale Georgia). L'aveva raccontata, tra gli altri, Apollonio Rodio, ed è a imitazione del poeta ellenistico che Virgilio - nello stesso Libro VII contenente l'evocazione di Aletto, ma al trentasettesimo verso - evoca per sé l'assistenza della musa della poesia erotica Erato. Con il chiaro intento di paragonare l'arrivo di Enea alla foce del Tevere a quello di Giasone alla foce del Fasi (l'attuale Rioni). Fu qui che gli Argonauti, messa all'ancora la nave Argo al termine del loro lungo viaggio, si riunirono per decidere la strategia per impossessarsi del trofeo da loro ambito: il vello d'oro.

Succede, in altre parole, che basta aprire l'Eneide per trovarsi proiettati in un niente tra le pagine delle Argonautiche, e dalla costa tirrenica al Mar Nero, a conferma della validità della legge non scritta che il mito sia, in realtà, un illimitato arazzo con i fili tutti intrecciati tra loro.

Argonauti, caccia al cinghiale Calidonio, guerra di Troia, ritorno di Odisseo: tutto si svolge in poco più di mezzo secolo in cui era accaduto tutto ciò che può accadere, soltanto un po’ più fulgente di prima e dopo,

scrive Roberto Calasso nel suo Il cacciatore celeste, elencando, sulle tracce di Apollonio Rodio, le tappe principali dell'età eroica.

E gli eroi si riunirono a decine, tanto per partecipare alla spedizione degli Argonauti che alla successiva caccia al cinghiale Calidonio: cinquanta, o anche più4 nella prima, pochi di meno nella seconda. E in entrambe le schiere presenziò un'unica donna, la grande cacciatrice Atalanta. Ma se per la caccia al cinghiale Calidonio le fonti sono al proposito concordanti - fu lei a ferire per prima la bestia, poi finita da Meleagro -, nel caso degli Argonauti, non vi è unanimità: per Diodoro Siculo e Apollodoro, Atalanta era nel novero degli eroi, ma non per Apollonio Rodio, che sulla sua Argo fece salire un equipaggio di "soli re".

Piuttosto controvoglia, capitanava gli Argonauti il giovane Giasone, figlio del re di Iolco Esone, a cui il fratellastro Pelia aveva strappato il trono con la forza. Ancora infante, la madre Alcimede, temendo per la sua incolumità, lo aveva fatto creder morto e nascondere nell'antro di Chirone, dove fu allevato dalle figlie del saggio centauro, che provvide poi alla sua educazione.

Pelia e Giasone (Affresco pompeiano, I sec. d. C.)
Rimessosi in cammino per Iolco all'età di vent'anni, con l'intento di rivendicare ai suoi genitori il trono usurpato dallo zio, lungo il tragitto si imbatté in una vecchia che voleva passare da una riva all'altra di un fiume. Le prestò aiuto, e poiché la donna altri non era che la dea Era camuffata (oltre che indispettita che Pelia sacrificasse a tutti gli dèi eccetto che a lei), la sua buona azione gli procurò in cambio una benedizione divina e la contemporanea perdita di un sandalo, che gli rimase imprigionato nel fango. Fu quindi scalzo a metà che Giasone arrivò a Iolco, facendo rabbrividire lo zio, giacché Pelia, sempre timoroso di perdere a sua volta il trono usurpato, aveva consultato un oracolo e scoperto di doversi guardare proprio da qualcuno che gli si sarebbe presentato davanti con un solo sandalo.

Pelia acconsentì perciò sì all'ingiunzione di Giasone di restituire il trono al fratellastro, ma alla condizione che il giovane raggiungesse la Colchide e restituisse alla Grecia il vello d'oro ancora custodito in quella terra lontanissima. Il che equivaleva, nelle vere intenzioni di Pelia, a una condanna a morte per lo scomodo parente.

Era difatti successo, un po' di tempo prima, che Atamante, figlio di Eolo e re di Orcomeno in Beozia, fosse stato istigato da Era a sposare una dea, o ninfa delle nubi, di nome Nefele, e con lei avesse generato due figli, un maschio di nome Frisso e una femmina di nome Elle. Ma non era quello un matrimonio felice, e Atamante ripudiò infine Nefele a vantaggio di una donna mortale: Ino, figlia di Cadmo e Armonia, che sposò e da cui ebbe due figli, Learco e Melicerte. Ino nutriva però allo stesso tempo odio per i figliastri, e provocò a bella posta una carestia abbrustolendo le sementi con il fuoco, così da persuadere il marito a sacrificarli agli dèi. Sventò il piano Nefele, che ora abitava il cielo in forma di nube e inviò in soccorso dei figli l'ariete alato, e dal vello d'oro, Crisomallo, donatole da Hermes e nato dall'unione di Poseidone con Teofane.

Frisso e Elle (Affresco pompeiano, I sec. d. C.)

Frisso e Elle volavano così verso il Mar Nero a dorso d'ariete, quando la ragazza si addormentò, perse la presa e cadde nel braccio di mare oggi conosciuto come Stretto dei Dardanelli, ma che da quel giorno, per alcuni secoli, si sarebbe chiamato Ellesponto (Mare di Elle). Fu quindi con il solo Frisso che Crisomallo prima atterrò nella Colchide, alla foce del fiume Fasi, e poi comandò al suo giovane passeggero di sacrificarlo a Zeus protettore dei fuggitivi. Frisso ubbidì, e mentre l'ariete fu catasterizzato lui si avviò, con indosso il vello d'oro dell'animale sacrificato e scuoiato, verso la città di Ea.

Regnava su Ea un re della dinastia solare, di nome Eete. Figlio del Sole e di Ecate Perseide e fratello di Circe, il padre Helios gli aveva concesso in origine il dominio sulla città di Corinto, ma lui aveva preferito muoversi da Occidente a Oriente, attraversare il Mar Nero, risalire il fiume Fasi, fondare la sua città e assoggettarsi la Colchide.

Prudente sovrano, Eete uccideva qualunque straniero mettesse piede nel suo dominio, ma il vello d'oro, che aveva la facoltà di assicurare la longevità del regno al suo possessore, fu merce di scambio sufficiente a garantire a Frisso salva la vita e la mano della figlia del re, Calciope. Dopodiché il vello venne custodito nel Bosco di Ares, appeso a una quercia e guardato a vista da un serpente-drago che non dormiva mai.

Gli Argonauti avevano già vissuto molte avventure dopo la loro partenza dalla Tessaglia e prima di arrivare alla foce del Fasi. Tra di esse, la sfida del passaggio dal Bosforo al Mar Nero attraverso le Simplegadi: Διὰ πέιρας Χυανέας - le mobili rocce cianee che, invisibili nella nebbia, si chiudevano frantumando ogni nave che dalla Propontide cercasse di entrare nel Ponto Eusino, o Mare Inospitale. Giasone e i suoi furono i primi a riuscire nell'impresa. E anche gli ultimi, perché da quel momento le rocce - non più color ciano, perché non più tratto di separazione dal numinoso - si fissarono nell'immobilità.

Avevano inoltre raccolto in mare, dopo l'ingresso nel Mar Nero, i quattro figli di Frisso e Calciope, naufragati durante una tempesta. Il che spinse Giasone, all'assemblea alla foce del Fasi, a dichiarare subito l'intenzione di recarsi con loro nella città di Ea a trattare con il re Eete la consegna del Vello d'oro. Solo se il sovrano avesse opposto resistenza, sarebbero ricorsi alla forza.

Approvata la proposta di Giasone, fu deciso che a lui e ai figli di Frisso si sarebbero aggiunti, degli altri Argonauti, l'eroe Telamone e Augia, la cui parentela con Eete - ne era il fratellastro - sarebbe potuta tornare utile.

Separava da Ea il piccolo drappello di uomini il Circeo: un rialzo di pianura punteggiato di cadaveri maschili esposti sulle cime degli alberi. Perché era costume dei Colchidi, ci informa Apollonio Rodio, seppellire in terra solo le donne, mentre gli uomini erano avvolti dentro pelli di bue non conciate e legati alle cime degli alberi. "Così l'aria ha parte uguale alla terra".5

Ecco come evoca la scena con maestria, ancora nel Cacciatore celeste, Roberto Calasso:

Gli Argonauti si accorsero presto di trovarsi su un terreno ominoso e ostile. Appena sbarcati procedevano in una pianura che portava il nome di Circe. C’erano tamerici e salici, in cima ai quali erano “sospesi cadaveri attaccati con corde”. Questi corpi corrosi dagli elementi, avvolti in pelli di bue, stavano sulla soglia di un regno sciamanico. Se considerato nella prospettiva di quei luoghi, dirà la principessa Calciope, sorella di Medea, “il desiderio della Grecia” non era che “funesta infatuazione”.6

Sono, quelle tra virgolette, parole che Calciope rivolgerà ai figli al loro arrivo alla reggia in compagnia di Giasone e degli altri loro compagni. Era infatti a causa di un desiderio espresso in punto di morte dal loro padre Frisso che i quattro giovani si erano messi in viaggio verso la Beozia e la città di Orcomeno, per rivendicare l'eredità del re Atamante.

Al riparo della nebbia in cui li ha avvolti la divina alleata Era, Giasone e il suo piccolo drappello di uomini superano incolumi il cimitero di Circe e arrivano al palazzo di Eete. E' la bionda Medea, uscita dalla propria camera per raggiungere la camera della sorella Calciope, ad avvistarli per primi. "Secondo gli scrupolosi calcoli di Hermann Frankel" - annota Calasso - la giovane maga "doveva avere poco più di quindici anni. E come sua sorella Circe7, come tutte le figlie del Sole 'Irraggiava lontano uno scintillio, come se emanasse uno splendore dorato'."8

Medea, sacerdotessa e forse anche figlia di Ecate, era solita trascorrere le sue giornate al tempio della dea. Ma quel giorno Era aveva fatto in modo che lei non lasciasse il palazzo. E' così che la conquista del Vello d'oro comincia a manifestare apertamente la sua vera natura, di mero pretesto, e a ritrarsi sullo sfondo, mentre un'altra storia, di “sciagurata passione”9, si affaccia sul proscenio per intervento di Eros e Afrodite.


* * *


1 Virgilio, Eneide, VII; 312, 323-329. Mondadori 1989. Traduzione di Rosa Calzecchi Onesti.

2 Ibid., VI, 454.

3 Ibid., XII, 846-7

4 Cinquantaquattro ne conta Diodoro Siculo.

5 Apollonio Rodio, Argonautiche, III, 207-8. Mondadori; Oscar Classici greci e latini 143. A cura di Alberto Borgogno.

6 Roberto Calasso, Il cacciatore celeste. Adelphi 2016, pag. 100; Apollonio Rodio, Argonautiche, III, 262

7 Secondo una tradizione mitologica diversa da quella utilizzata da Apollonio Rodio.

8 Roberto Calasso, Il cacciatore celeste, pag. 98; Apollonio Rodio, Argonautiche, IV, 728-29

9 Ibid., III, 956-61

L'immagine di apertura del post è: Herbert James Draper, The Golden Fleece (1904).

Commenti

  1. Durante la mia fase di appassionato di mitologia avevo approfondito abbastanza la spedizione degli argonauti, quello che mi aveva colpito era che non tutti i testi concordavano sui nomi dei partecipanti. Mi divertiva il fatto che sembrava il meglio del meglio tra gli eroi greci del periodo, Eracle compreso.

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    1. Io ho seguito, con poche eccezioni, la lezione di Apollonio Rodio. Dispiace un po' per la perdita di Atalanta, ma non è detto che la famosa cacciatrice non rientri in gioco prima della fine di questa lunga e perigliosa sezione della Trilogia delle Madri ^__^

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    2. Beh, in realtà si tratta di tutt'altro. Qui siamo nel campo del simbolico e del trascendente, cioè a un livello di realtà di gran lunga superiore.

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