Breve guida illustrata ad alcuni luoghi artificiali della letteratura e dintorni /1
Dopo l'excursus sui luoghi naturali,non potevo certo passar sopra a questa nuova tappa dell'itinerario-meme denominato dei "vasi comunicanti", proposto a cadenza libera dal blog Il Manoscritto del Cavaliere. Si tratta ogni volta, come suggerisce il nome, di collegare un determinato soggetto a un'opera letteraria e a un'opera pittorica (o comunque visiva). E devo subito dire che questa volta mi aggrego all'iniziativa con più ritardo del solito, andando così ad accodarmi a vari altri blogger che mi hanno preceduto. Se ho tenuto bene il conto, dopo Cristina e prima di me hanno pubblicato un loro post sui luoghi artificiali The Obsidian Mirror, Myrtilla's House e Ariano Geta. Il che è indice di come l'iniziativa di Cristina Rossi appassioni sempre più amici, ma anche del poco tempo da dedicare al blogging che mi ritrovo in questo finale di 2016.
Ho inoltre scelto, come forse avrete già dedotto dal titolo, di dividere il mio intervento in due parti, e anche in questo caso il motivo è dei più banali: la risultante eccessiva lunghezza, almeno per i miei parametri di pubblicazione, dell'insieme. Proporrò quindi due luoghi - i primi due che ho completato - in questa prima parte, e altri due, o forse tre, nella seconda, che arriverà dopo la pausa natalizia. Il perché della lunghezza eccessiva è presto detto, almeno per quel che riguarda le due sezioni di questo post: in un caso e nell'altro, la prima opera trovata mi ha spontaneamente condotto con il pensiero ad altre opere, fino a farmi addirittura compiere, nel caso del luogo 2, una sorta di percorso circolare, al termine del quale due opere sotto ogni aspetto lontanissime tra loro hanno finito, almeno ai miei occhi, per congiungersi. Il come e il perché vi invito a scoprirli di persona, seguendomi anche in questa nuova avventura.
Ho inoltre scelto, come forse avrete già dedotto dal titolo, di dividere il mio intervento in due parti, e anche in questo caso il motivo è dei più banali: la risultante eccessiva lunghezza, almeno per i miei parametri di pubblicazione, dell'insieme. Proporrò quindi due luoghi - i primi due che ho completato - in questa prima parte, e altri due, o forse tre, nella seconda, che arriverà dopo la pausa natalizia. Il perché della lunghezza eccessiva è presto detto, almeno per quel che riguarda le due sezioni di questo post: in un caso e nell'altro, la prima opera trovata mi ha spontaneamente condotto con il pensiero ad altre opere, fino a farmi addirittura compiere, nel caso del luogo 2, una sorta di percorso circolare, al termine del quale due opere sotto ogni aspetto lontanissime tra loro hanno finito, almeno ai miei occhi, per congiungersi. Il come e il perché vi invito a scoprirli di persona, seguendomi anche in questa nuova avventura.
* * *
Luogo 1. Il ponte: I tre capretti Furbetti e IT
Il
ponte è luogo di passaggio per eccellenza (un non-luogo in un certo senso) e si presta bene, per questa sua
caratteristica, a funzionare da metafora.
Il filosofo Claudio Bonvecchio ci ricorda per esempio, nel suo La filosofia del Signore degli anelli, come in Occidente, fin dal XII secolo, il ponte ricorra nei cicli cavallereschi, e nelle storie edificanti, nei termini di “passaggio periglioso” o “ponte della spada” (o ancora “ponte del giudizio” o pons subtilis). L’eroe di turno si trova a dover passare o sopra una strettissima massicciata o sopra il taglio di una spada, sfidando il pericolo di cadere e divenire preda di quel qualcosa poco raccomandabile che vi si nasconde sotto. Oppure deve, in alternativa, affrontare a metà attraversamento qualche temibile avversario che gli sbarra la strada.
E ancora, Mircea Eliade ne Lo sciamanesimo (libro che ho letto moltissimi anni fa), racconta come il ponte, nelle culture sciamaniche, divenga immagine dello stretto passaggio che è obbligato ad attraversare il candidato a rivestire appunto il ruolo di sciamano. Mentre nella cultura araba derivata dalla persiano-avestica, il ponte della spada – “sottile come un capello e più affilato di una lama di spada” – coincide con il ponte steso sull’inferno su cui devono passare le anime dei morti. Le anime giuste, assistite dal Profeta, vi transitano agevolmente, ma i malvagi scivolano e cadono nelle tenebre inferiori.
L'imperatore Akbar il Grande, infine, che per saggezza si può considerare l'equivalente persiano del nostro Marco Aurelio, fece scrivere su un ponte di Fatehpur Sikri, la capitale del suo regno (dalla sua fondazione, nel 1570, al 1585): «Devi attraversare questo ponte, ma questo ponte non deve diventare la tua casa». Era, naturalmente, un monito da lui rivolto ai suoi sudditi, affinché vivessero con distacco la loro vita terrena, come un luogo di transito paragonabile a un ponte, evitando di attaccarsi a qualcosa comunque destinato a passare a sua volta.
Il filosofo Claudio Bonvecchio ci ricorda per esempio, nel suo La filosofia del Signore degli anelli, come in Occidente, fin dal XII secolo, il ponte ricorra nei cicli cavallereschi, e nelle storie edificanti, nei termini di “passaggio periglioso” o “ponte della spada” (o ancora “ponte del giudizio” o pons subtilis). L’eroe di turno si trova a dover passare o sopra una strettissima massicciata o sopra il taglio di una spada, sfidando il pericolo di cadere e divenire preda di quel qualcosa poco raccomandabile che vi si nasconde sotto. Oppure deve, in alternativa, affrontare a metà attraversamento qualche temibile avversario che gli sbarra la strada.
E ancora, Mircea Eliade ne Lo sciamanesimo (libro che ho letto moltissimi anni fa), racconta come il ponte, nelle culture sciamaniche, divenga immagine dello stretto passaggio che è obbligato ad attraversare il candidato a rivestire appunto il ruolo di sciamano. Mentre nella cultura araba derivata dalla persiano-avestica, il ponte della spada – “sottile come un capello e più affilato di una lama di spada” – coincide con il ponte steso sull’inferno su cui devono passare le anime dei morti. Le anime giuste, assistite dal Profeta, vi transitano agevolmente, ma i malvagi scivolano e cadono nelle tenebre inferiori.
L'imperatore Akbar il Grande, infine, che per saggezza si può considerare l'equivalente persiano del nostro Marco Aurelio, fece scrivere su un ponte di Fatehpur Sikri, la capitale del suo regno (dalla sua fondazione, nel 1570, al 1585): «Devi attraversare questo ponte, ma questo ponte non deve diventare la tua casa». Era, naturalmente, un monito da lui rivolto ai suoi sudditi, affinché vivessero con distacco la loro vita terrena, come un luogo di transito paragonabile a un ponte, evitando di attaccarsi a qualcosa comunque destinato a passare a sua volta.
Ma veniamo adesso, dopo questa rapida carrellata sul ponte come simbolo, al ponte oggetto della prima sezione del post. E’ un luogo che si può dire mi accompagni da mezzo secolo ormai, visto che l'ho scoperto all’età di
sei anni, tra le pagine dell’enciclopedia per ragazzi I quindici, nella sua prima
edizione (1967), in una fiaba intitolata I tre capretti Furbetti.
In origine, I tre capretti Furbetti faceva parte dei Norske Folkeeventyr (Racconti popolari norvegesi), rassegna di fiabe raccolte e pubblicate dagli studiosi norvegesi Peter Christen Asbjørnsen e Jørgen Moe. Quella presentata ne I quindici è invece la versione adattata da Gudrun Thorne-Thomsen per l'antologia East o' the Sun and West o' the Moon (A oriente del sole e a occidente della luna).
In un caso o nell'altro, mi sembra che la fiaba si presterebbe a meraviglia a entrare a far parte di una ideale antologia di racconti sul tema del “passaggio periglioso”, indipendentemente dal sistema di catalogazione Aarne–Thompson che la colloca nel tipo 122E: Mangiami quando
sarò più grasso. Ecco il testo della fiaba così come compare ne I quindici (Vol. 2, Fiabe e racconti, pp. 72-74):
C’erano una volta tre capretti che dovevano andare al pascolo: essi si chiamavano capretti Furbetti. Sulla loro strada vi era un ponte che dovevano per forza attraversare, e sotto ci viveva un brutto gigante con occhi grandi come piatti ed un naso lungo, lungo, lungo.
Per primo si presentò il più giovane dei capretti Furbetti e trotterellando attraversò il ponte.
- CHI ATTRAVERSA IL MIO PONTE? – Ruggì il gigante.
- Oh, sono solo io, il più piccolo dei capretti Furbetti e devo andare al pascolo per diventare grasso – rispose il caprettino con una vocina sottile, sottile.
- Ora vengo su e ti mangio in un boccone – disse il gigante.
- Ma no, non mangiarmi: sono troppo piccolo! – rispose il capretto. – Aspetta che passi il secondo dei capretti Furbetti che è molto più grasso di me! –
- Va bene, vattene – disse il gigante.
Dopo un po’ ecco il secondo dei capretti Furbetti che attraversò trotterellando il ponte.
- CHI ATTRAVERSA IL MIO PONTE? – Ruggì il gigante.
- Oh, sono solo io, il secondo dei capretti Furbetti e devo andare al pascolo per diventare grasso – rispose il capretto con una vocetta un po’ più robusta.
- Ora vengo su e ti mangio in due bocconi! – disse il gigante.
- Ma no, non prendere me, aspetta un poco perché viene il mio fratello maggiore; è molto più grasso di me. –
- Benissimo, vattene pure – replicò il gigante.
Ma ecco che subito giunse il maggiore dei capretti Furbetti e trotterellando attraversò il ponte. Era così grasso che il ponte ondeggiava e scricchiolava sotto il suo peso.
- CHI ATTRAVERSA IL MIO PONTE? – Ruggì il gigante.
- Sono io, il più grosso dei capretti furbetti – disse il montone con la sua voce robusta.
- ORA VENGO E TI MANGIO IN TRE BOCCONI! – Ruggì il gigante.
- Ho sulla fronte due corna forti
Ti caverò quegli occhi storti!
Vieni mio caro, con i miei zoccoli
Ti ridurrò tutto bernoccoli! –
Così dicendo il montone si scagliò sul gigante a testa bassa e lo gettò nel fiume; poi tranquillo, si diresse al pascolo. Qui i tre capretti diventarono così grassi che non poterono più tornare a casa e sono là tuttora.
E io posso garantirvi che è proprio così: mezzo secolo dopo, i tre
capretti furbetti – anzi, Furbetti - sono ancora là, a brucare pacificamente l’erbetta
del loro pascolo. Lo testimonia il mio ritrovato volume de I quindici
La stessa fiaba, e quindi lo stesso ponte, l'ho poi ritrovata, un paio di decenni
dopo, nella forma di uno dei leit-motiv del celebre libro di Stephen King, IT, dove vi è citata quattro volte. Le prime due all'inizio della Parte Seconda, quando Ben Hanscom fa il suo ingresso nella sezione infanzia della biblioteca di Derry mentre la "giovane e graziosa bibliotecaria" sta leggendo, nell'Angolo di Pooh, la fiaba ai bambini. La terza volta quando lo stesso Ben Hanscom è inseguito dal clown Pennywise in sembianze di mummia e immagina poi, una volta che lo ha seminato, che lo attenda nascosto sotto il ponte gettato tra le rive del canale che attraversa la cittadina. Proprio
...come il troll nella storia dei Tre capretti sgarbati.
La traduzione italiana di IT rende infatti alla lettera il titolo inglese della fiaba: Three Billy Goats Gruffs. E il troll rimane ovviamente un troll, anziché diventare, come ne I quindici, un gigante. Scelta in ogni caso comprensibile per l'epoca, perché se oggi parlare
di un troll a un bambino delle scuole elementari è quanto di più normale
possa esserci, negli anni '60 le cose erano messe molto diversamente (storia vera!, direbbe a questo punto Cassidy).
La quarta e ultima ricorrenza della fiaba compare, infine, nelle pagine conclusive di IT, laddove Ben Hanscom cerca di ricordare quale fosse l'aspetto della porta di ingresso alla tana di IT, senza però riuscirvi:
Mi sforzo, ma mi succede una cosa davvero singolare, mi viene l'immagine di capre che attraversano un ponte, come in quella favola dei Tre capretti.
Pazzesco, no?
Opera d'arte abbinata:
Ragazze sul ponte di Edvard Munch (1901)
Di quadri con i ponti come soggetto ne esiste un'infinità, ma io adoro in particolare questo dipinto di Munch: per il richiamo alle fanciulle in fiore proustiane (con cui il dipinto, sia chiaro, non ha nulla a che vedere), per la bellezza degli accordi cromatici e per la strana miscela di orrore e dolcezza che lo caratterizza. Inoltre, la presenza di quella specie di porta dell'abisso che occupa una gran parte della metà di sinistra dell'opera, lo ricollega in qualche modo al tema del pericolo in agguato sotto il ponte, come nella fiaba dei capretti Furbetti.
* * *
Luogo 2. Il mondo nello specchio:
Attraverso lo specchio, La cifra, I sonetti a Orfeo
Come certo saprete, non sempre in letteratura (o in altre forme espressive) lo specchio è l'oggetto, a noi familiare, che si limita a restituirci un riflesso di noi stessi e dell'ambiente in cui siamo immersi.
In Attraverso lo specchio, per esempio, lo specchio fa da linea, o piano, di confine tra il mondo della veglia e il mondo onirico. Naturalmente essere, come Alice, un personaggio di di Lewis Carroll (1832-1898), aiuta non poco in casi del genere. La stanza riflessa nello specchio appare sì alla piccola Alice uguale a quella della casa in cui vive, sebbene con la sinistra e la destra scambiate, ma solo fin dove arriva il suo occhio. Le parti non in vista, invece, lei può supporre che siano come quelle della sua casa, ma senza averne la certezza. E quanto siano legittimi i suoi dubbi è destinata a scoprirlo da sola fin dal momento in cui attraversa lo specchio e scopre
...che quello che si poteva vedere dalla vecchia stanza era assolutamente comune e privo di interesse, ma che tutto il resto era quanto mai diverso.
Ha così inizio l'avventura, tipicamente Carrolliana, di Alice nel mondo dello specchio, che soltanto alla fine della storia scopriamo essere avvenuta all'interno di un sogno. Il che mi porta a chiedermi: il mondo di Attraverso lo specchio può essere davvero considerato, senza eccessive forzature, un luogo artificiale? La risposta per me è "sì", perché un sogno è pur sempre una nostra creazione, non esistente in natura, sebbene indipendente dal nostro ordinario "io" della veglia.
Alla fine del sogno Alice si ritrova di certo, come prima, nella casa al di qua dello specchio, ma anche presa in un dilemma non troppo diverso da quello che afflisse il saggio taoista Chuang-Tzu (c. 369-286 a.C.) al risveglio da un suo celebre sogno, quando non sapeva più se era un uomo che aveva sognato di essere una farfalla o una farfalla che ora sognava di essere Chuang-Tzu.
Alla fine del sogno Alice si ritrova di certo, come prima, nella casa al di qua dello specchio, ma anche presa in un dilemma non troppo diverso da quello che afflisse il saggio taoista Chuang-Tzu (c. 369-286 a.C.) al risveglio da un suo celebre sogno, quando non sapeva più se era un uomo che aveva sognato di essere una farfalla o una farfalla che ora sognava di essere Chuang-Tzu.
Ora, Kitty, - dice Alice al suo gattino - riflettiamo chi era che ha sognato tutta questa roba. Questo è un problema serio, mia cara, e dovresti smettere di leccarti la zampina in quel modo, come se Dina non ti avesse lavato stamattina! Vedi Kitty, devo essere stata io oppure il Re Nero. Lui faceva parte del mio sogno, naturalmente, ma anch'io facevo parte del suo sogno, allora! Era il Re Nero, Kitty? Tu eri sua moglie, mia cara, quindi dovresti saperlo. Oh, Kitty, aiutami a sbrogliare questa faccenda! Sono sicura che la tua zampina può aspettare!".
Ma quel gattino dispettoso cominciò a leccarsi l'altra zampa facendo mostra di non aver udito la domanda.
La storia del sogno di Chuang-Tzu fu cara, tra gli altri, a Jorge Luis Borges (1899-1986) che la citò anche ne La cifra, ultima sua raccolta poetica dove trova pure posto, in una magnifica poesia intitolata Beppo, il mondo fantasmatico dello specchio, riflesso in questo caso di un altro, equivalente mondo-fantasma, il nostro:
Il gatto bianco e celibe si guarda
nella lucida lastra dello specchio
e sapere non può che quel candore
e le pupille d'oro non vedute
mai nella casa sono la sua immagine.
Chi gli dirà che l'altro che l'osserva
è solamente un sogno dello specchio?
Penso che questi armoniosi gatti,
quello di vetro e quello a sangue caldo,
sono fantasmi che regala al tempo
un archetipo eterno. Così afferma
Plotino, ombra lui pure, nelle Enneadi.
Di che Adamo anteriore al paradiso,
di che divinità indecifrabile
siamo noi uomini uno specchio infranto?
E sempre in tema di grande poesia, dello specchio come luogo ha altrettanto magnificamente detto Rainer Maria Rilke (1875-1926) ne I sonetti a Orfeo (II,3):
Specchi, nessuno mai con coscienza ha descritto
quel che nella vostra essenza siete.
Voi, interstizi del tempo,
setacci fitti di innumerevoli fori.
Voi, dissipatori anche di stanze vuote -
all’imbrunire, vasti come selve…
E il candelabro varca, come cervo a sei palchi,
la vostra impenetrabilità.
Talvolta siete pieni di immagini.
Alcune sembrano in voi penetrate –
altre le respingeste con timore.
Ma la più bella resterà – finché
dentro la gota che nel vostro aldilà serbate
penetri il chiaro, dissolto narciso.
Il mio poeta preferito non poteva certo tacere di questo "luogo", tra i più adatti ad accogliere alcuni dei temi a lui
più cari. In Rilke lo specchio diventa così uno dei possibili luoghi della metamorfosi oltre che luogo dell'interscambio, continuo e inestinguibile, tra i regni della vita e della morte. Aldiquà e aldilà dello specchio ci riguardano per lui allo stesso modo, poiché la nostra esistenza
...è di casa nei due terreni non separati, inestinguibilmente nutrita da entrambi… La vera figura della vita attraversa i due campi, il sangue del circolo estremo li bagna entrambi: non esiste né aldiquà né aldilà, bensì la grande unità in cui sono di casa gli esseri che ci sopravanzano, gli “angeli”.
Ma qui si chiude anche un cerchio. Perché se in Rilke la morte è
...la faccia della vita che da noi si distoglie, da noi lasciata al buio.
allora è anche evidente che quel che Alice vive nel mondo oltre lo specchio, dove coglie esattamente quella parte di realtà che nel riflesso da noi si distoglie ed è lasciata al buio, altro non è alla fine che un anticipo di morte.
Opera d'arte abbinata:
Francesca Woodman, Self-Deceit 1 (Roma, 1978).
Anche la categoria "specchi" è, come si può immaginare, ben rappresentata nel mondo dell'arte. In questo caso non ho però scelto un dipinto, bensì un'opera di una delle mie fotografe preferite, Francesca Woodman (1958-1981). Scelta motivata anche dal fatto che lo specchio è un oggetto ricorrente nelle sue foto.
* * *
Le citazioni da Rainer Maria Rilke sono tratte dalla Lettera a Witold von Hulewicz del 13.XI.1925. Traduzione di Andreina Lavagetto (corsivo nella tarduzione mio).
Le citazioni sono tratte da:
- Stephen King, IT. Sperling & Kupfer, 1986. Traduzione di Tullio Dobner.
- Lewis Carroll, Attraverso lo specchio; Newton Compton Editori 1995, 2015. Traduzione di Adriana Valori-Piperno.
La poesia Beppo è tratta da: Jorge Luis Borges, Tutte le opere, volume II; Mondadori 1985. Traduzione di Domenico Porzio.
Le due immagini che illustrano la fiaba dei capretti Furbetti sono di Clark Bruorton e provengono dalle stesse pagine de I quindici.
L'illustrazione di Attraverso lo specchio è di Sir John Tenniel e proviene dalla prima, classica edizione dell'opera (1870).
Bellissima la foto della Woodman! Molto molto "doom" come stile.
RispondiEliminaDunque, bellissima rubrica as usual, caro Landi.
Sul ponte si potrebbe parlare anche di quello de La leggenda di Sleepy Hollow, oltre il quale il cavaliere senza testa non può andare.
Una barriera, quindi.
Moz-
Francesca era davvero magnifica, in tutti i sensi. Con quel molto "doom" intendi forse il videogioco? Ti confesso che ho dovuto fare una ricerca in internet per arrivarci ;D
EliminaE trovo bella anche l'idea di utilizzare il ponte di Sleepy Hollow, ma non è che l'avessi proprio tanto presente. Poi mi piaceva cogliere l'occasione per mettere in campo un altro po' di autobiobibliografia ;D
Grazie e a presto, Miki! Allora, aggiudicato Jack Skeletron :-)
Perfetto! :)
EliminaDoom tra amici lo usiamo per descrivere una situazione (film, musica, ambiente...) tra l'underground e il pesante/bizzarro^^
Moz-
Interessante. Mi chiedo se esista già anche un sottogenere letterario "doom".
EliminaCome al solito, il gap generazionale si fa sentire nella comunicazione ;D
Avendo io amato visceralmente il videogioco Doom, credevo di essere sempre "giovane", poi ho scoperto che i "giovani" considerano il videogioco solo dal 3 in poi... io invece ho squagliato solo i primi due! Insomma, in un modo o nell'altro si è sempre "fuori" da qualcosa :-D
EliminaAnche la "Doom Generation" non è più quella di una volta :-P
Io in tutta la mia vita ho solo giocato un paio di volte a Pac-Man, quindi per me il gap è abissale, Lucius. Più che della Doom generation sono della Tombola generation :P
EliminaBeh, personalmente "Doom" non è altro che un genere musicale, nato addirittura nel pieno degli anni Settanta, tuttora vivo e vegeto ma poco conosciuto per le sue atmosfere estremamente cupe e i suoi testi che affrontano temi quali morte, dolore, sofferenza e suicidio (la sua versione più estrema è definita “Funeral Doom”). Il nome del genere deriva da un vecchio brano dei Black Sabbath intitolato “Hand of Doom” e presente nell’album “Paranoid” (probabilmente lo conosci). Difficile fare degli esempi perché il genere spesso si fonde con altri sottogeneri fino a creare dei mix quasi insostenibili: la band danese “Nortt” si definisce per esempio “Pure Depressive Black Funeral Doom Metal Band”. Impossibile ascoltarli e poi continuare a vivere. Ci sono però delle ottime cose in ambito doom e se sei curioso posso anche darti delle dritte…
EliminaAmmazzate oh che cultura!"Paranoid" sì, lo ascoltavo prima dei vent'anni, ma tutta questa faccenda del "Doom" mi era ignota. I Black Sabbath io li mettevo nella categoria "Hard Rock" insieme ai Deep Purple, che mi piacevano di più.
EliminaDritte? Ormai per l'ascolto di musica mi affido o al caso - tipo dal barbiere o in case di amici - o a un pugno di musiche selezionatissime che mi concedo giornalmente a dosi omeopatiche ;-)
Che citazioni e immagini raffinate :-)
RispondiEliminaBorges è uno dei miei autori preferiti, sebbene talvolta troppo didascalico per i miei gusti.
"Attraverso lo specchio" l'ho letto, i due libri di Alice sono deliziosi, come pure le illustrazioni di Tenniel, ma la fotografia che hai scelto è perfetta per rendere più moderno l'inganno dello specchio.
Il quadro di Munch lo conoscevo, mi ha sempre suggerito un senso di solitudine, non l'avevo mai interpretato in chiave di pericolo nascosto, è una lettura interessante dell'immagine dipinta.
E' vero, non avevo pensato al fatto, che pure mi era noto, che Carroll e Borges sono due tra i tuoi autori preferiti ;-)
EliminaLa fantastica Francesca Woodman, che faceva le vacanze vicino a dove abitavano i miei nonni, si è ritagliata uno spazio anche nel mio scritto incompiuto "Come aria che si cambia". Le avevo già dedicato un post su Georges Bataille in passato, e forse prima o poi tornerò a parlare di lei.
Grazie per il gradimento del post, Ariano :-))
Innanzitutto un grazie doveroso per avere aderito al mio meme sui luoghi artificiali, addirittura con un post suddiviso in due parti! Sono contenta che l'argomento ti abbia ispirato con le tue ottime scelte.
RispondiEliminaIl primo luogo artificiale, il ponte, è in effetti metafora di passaggio da uno stato all'altro, di attraversamento di confini e di mondi, ma anche una struttura fondamentale senza la quale rischieresti la vita. A me viene in mente il ponte del romanzo "Mondo senza fine" di Ken Follett, attorno a cui si giocano i destini della comunità e degli individui. Il ponte che assicura prosperità al paese, ma che crolla perché troppo fatiscente sotto il peso dei carri e degli animali che trasportano le mercanzie. Mi viene in mente anche il recente film "Il ponte delle spie".
Sullo specchio si potrebbero far colare fiumi d'inchiostro, a memoria vado con lo specchio in Biancaneve nella fiaba dei fratelli Grimm naturalmente, ma anche di quel racconto di Checov di cui ti parlavo in un altro commento. Ovviamente lo specchio è strumento di visione esoterica, come sai benissimo! ;-)
Le scelte artistiche sono bellissime, mi piace molto il quadro di Munch e la fotografia di Francesca Woodman, che non conoscevo e che trovo particolarmente inquietante.
Ora aggiungo subito il link a questo post all'elenco nel mio meme.
Grazie a te per la bella proposta, Cristina :-) E per il link, naturalmente. Fa piacere vedere che l'esperimento pian piano si allarga a nuovi partecipanti...
EliminaIl ponte che ho descritto io è forse il secondo in ordine di importanza della mia infanzia. L'altro è quello buttato giù dall'alluvione del 1966, nei pressi dell'abitazione dei miei nonni materni. E' rimasto adagiato sul letto del fiume per decenni e forse è là ancora oggi.
Sullo specchio, avrai capito adesso il senso del mio commento quando lo hai nominato tra gli oggetti utilizzabili in un futuro post della serie ;-)
Mentre Francesca Woodman l'avevi già incontrata nel mio blog, nel post di cui ho scritto sopra ad Ariano, che altro non è che una delle vecchie note di approfondimento a Solve et Coagula.
Un luogo artificiale della mia infanzia potrebbe essere la soffitta, ma non saprei a quale brano letterario collegarlo. O forse no, mi viene in mente ora in diretta: la soffitta de "La storia infinita".
EliminaSì, in effetti ho capito il senso del riferimento allo specchio. Non finirai mai di stupirmi! ;-) Comunque è un oggetto affascinante.
Io ho pubblicato nel mio blog un estratto di un racconto di Geza Csath ambientato proprio in una soffitta. In questo post:
Eliminahttp://ivanolandi.blogspot.it/2014/05/giocare-allamore-giocare-alla-morte.html
Passo di corsa (ovviamente mi ripaleserò con calma) per dirti che l'immagine riferita ai capretti mi terrorizzava da bambina XD I Quindici!!! XD
RispondiEliminaCiao Ivano e buona serata (per il momento...) :D
A quanto pare "I Quindici" hanno terrorizzato un'intera generazione di lettori in erba. Anche a me questa immagine inquietava non poco. Mentre la storia horror per eccellenza rimaneva Zio Lupo :D
EliminaCiao, Glò, a presto!
Però i "capretti furbetti" potevano mandare subito quello più grosso a fare il mazzo al gigante e passavano senza tante storie... non mi sembrano così furbetti... piuttosto c'è (in tutte le salse) la leggenda del diavolo che vuole prendersi l'anima di chi attraversa il ponte, e dopo aver avuto la promessa che dopo se ne andrà via, l'eroe gli manda un cane o altra bestia, e il diavolo resta infinocchiato...
RispondiEliminaCaro Bruno, poche cose al mondo sono inesorabili come le leggi delle fiabe: si combina qualcosa solo al terzo tentativo.
EliminaInoltre i cattivi son sempre all'oscuro della massima "meglio un uovo oggi che una gallina domani" ;-)
Sì, la storia ha più o meno questi esiti, Ivano. :)
EliminaMa che bello. Sei un grande divulgatore. Mi sono goduto Rilke che non leggo da tanto.
RispondiEliminaGrazie Massimiliano! Ma bisogna anche dire che seguendo il mio blog non si rimane mai troppo a lungo all'asciutto di Rilke. Come non si rimane mai troppo a lungo all'asciutto di Proust o de "I quindici". Le fisse son fisse ;D
EliminaChiamale fisse... Rilke dovrebbe essere obbligatorio nelle scuole.
EliminaUno che parla di angeli tenendosi però alla larga dalla tradizione cristiana e in particolare cattolica... Non succederà mai!
EliminaPer questo motivo dovrebbe essere obbligatorio, così, tanto per uscire dalla visione cattocomunista.
EliminaDovrebbe... appunto.
EliminaKing e Munch insieme sono fantastici eh
RispondiEliminaAnche Alice e Francesca insieme però non scherzano, dai ;-)
EliminaBello questo post, Ivano, al punto che credo leggerò la prima parte ai miei alunni, coi quali sto trattando la metafora nella fiaba. E il ponte ricorre infatti in numerosi racconti popolari.
RispondiEliminaNella cittadina in cui sono vissuta, Paola in Calabria, c'è il Ponte del diavolo, situato nel santuario di San Francesco di Paola. Già il luogo è assai suggestivo, posto a circa trecento metri sul livello del mare, attraversato da un torrente impetuoso e battuto dal vento. Ora su questo torrente la tradizione ha collocato questo luogo molto singolare, il cui nome è suggerito da un'orma molto strana comparsa in tempo immemorabile sul muro di pietra del ponte stesso.
Col tempo, il luogo è diventato simbolico e molto citato da tutti i devoti del santo (non ti racconto degli sputi secolarizzati sull'orma), finendo per essere annoverato fra i luoghi simbolici della regione.
Me ne sentirei onorato Luz :-))
EliminaDavvero affascinante la storia del ponte del diavolo. Ho trovato nel web una foto dell'orma e devo dire che fa una certa impressione. Leggendo poi la storia collegata sembra che Bruno nel commento più sopra si sia riferito allo stesso racconto.
Conosco bene la fiaba dei capretti Furbetti... I Quindici (edizione 1967, anno di nascita di mio fratello) hanno segnato anche la mia, di infanzia ;)
RispondiEliminaChe coincidenza, però, ho appena visitato la mostra di Hokusai, Hiroshige e Utamaro a Palazzo Reale a Milano e ho fatto 'indigestione' di immagini di ponti. Bel post, con accostamenti particolarmente azzeccati e ricchi di significato.
Mi ricordavo della nostra comune passione per I Quindici, Simona. Però non ho ben capito chi era il proprietario ufficiale dell'edizione, tu o tuo fratello?
EliminaE ora si può dire che la coincidenza si sia estesa anche a me, visto che da alcuni giorni ho la cugina giapponese qua a Firenze a farsi le vacanze ;-)
E grazie per il gradimento del post :-))
Al momento i volumi si trovano a casa di mio fratello, che essendosene andato di casa per primo si è 'impossessato' di un bel po' di cimeli della nostra infanzia. Pensava che i suoi figli ne sarebbero stati entusiasti, e invece non li hanno mai degnati di un'occhiata. Che dire, sono di un'altra generazione, e se proprio non sono costretti non leggono... Meglio per me, comunque: mia cognata mi ha proposto di prendermeli io, se li voglio, e sicuramente lo farò non appena cambio casa ;) Al momento non sapremmo proprio dove metterli.
EliminaBeh, il ponte... Chissà perché a me viene in mente il ponte sullo Stretto di Messina!
RispondiEliminaBelli i tuoi approfondimenti, poi mi hai fatto tornare alla memoria il racconto dimenticato dei capretti nei Quindici, i magnifici Quindici che io ho ancora rigorosamente conservato nella libreria dei ragazzi. Anche lo specchio ha una simbologia molto ricca e l'immagine che hai scelto mi pare molto suggestiva.
Da quelle parti ci sono Scilla e Cariddi, che forse farebbero più danni del troll ;-)
EliminaE mi chiedo se anche Stephen King non abbia I Quindici. Sarebbe possibilissimo visto che l'enciclopedia nasce appunto negli Stati Uniti.
Grazie mille del tuo gradimento, Marina!
Interessantissimo questo Excursus, sei una vera fonte del sapere quasi meglio dei I Quindici. :-P
RispondiEliminaAhahah, grazie Pirkaf! E meno male che hai specificato quasi... perché non mi sognerei mai di insidiare il primato de I Quindici come fonte del sapere ;D
EliminaDopo l'intro, mi sarei aspettato avresti citato il ponte di Khazad-Dum de La Compagnia dell'Anello. Anche in quel caso il troll (demone) vi si nascondeva sotto, nell'abisso e vi fa ritorno dopo il confronto con Gandalf. :)
RispondiEliminaSe lo avessi fatto, caro Marco, avei infranto l'unica regola stabilita da Cristina per questo meme: aver letto i libri di cui si parla. E io "Il signore degli anelli" ce l'ho ma non lo ho letto ;-)
EliminaEcco, io guardando il film mi sono sempre chiesta il motivo di sto ponte così stretto, che tra un po' neanche un gatto ci passa. Allora stasera ho pigliato il librone del signorone e dei suoi anelloni e ho letto che il ponte stretto era una difesa dei nani in caso che qualcuno arrivasse dall'esterno. La "strettezza" del ponte avrebbe costretto i nemici ad andare in fila indiana, quindi suppongo che bastava un nano con una palla da bowling per mandare giù tutti i nemici dal ponte come fossero birilli.
EliminaMa visto che Tolkien era esperto di storie e simbologie antiche, quel ponte così stretto, con la scusa della difesa, potrebbe forse averlo inteso come quei ponti a cui si riferisce Bonvecchio?
Riguardo allo sciamanesimo non so come collegarlo a Tolkien, però Gandalf che è un mago, dopo aver avuto a che fare col ponte aumenta il suo livello.
Io che di Tolkien non so niente mi metto a filosofeggiare proprio su di lui!
Chiudo dicendo che anche a me quell'illustrazione del gigante inquietava, per fortuna che c'era quella dopo che "ridicolizzava" un po' la situazione.
Grazie per aver ulteriormente arricchito, con dovizia di particolari, lo spunto offerto da Marco, Kukuviza.
EliminaAnche tu, dunque, giovane "vittima" de I quindici... In questo blog sono di casa, soprattutto il volume 2 dedicato a fiabe e racconti.
Grazie a te perché ho finalmente capito del perché quei ponti sono così!
EliminaChapeau!
RispondiEliminaMerci beaucoup, madame avec le visage de chat!
EliminaAnch'io avevo in casa i quindici, che ricordi. Bellissimi gli abbinamenti Ivano. E a proposito di specchi anche nella tua blog novel ce ne sono di emblematici...
RispondiEliminaA quanto pare quell'enciclopedia è andata a ruba. Ai miei tempi, cioè quando arrivò per la prima volta in Italia, molti maestri la facevano acquistare agli alunni alla fine della prima classe elementare.
EliminaLo specchio della mia blog novel è costruito con l'electrum magicum. Da qui le sue caratteristiche speciali...
Grazie mille del gradimento, Giulia ;-)
Che dire? Ivano non sbagli un colpo. Ponte, specchio, e riferimenti letterai.
RispondiEliminaMi piace un sacco leggerti, tempo permettendo e per giunta mi ritrovo in ciò che scrivi.
I quindici e King mi rincorrono ovunque vado, pensa che ora me li ritrovo anche nella biblioteca della casa di riposo di mamma, ora la chiamiamo la bella addormentata.
Proprio ieri mentre tentavo di darle un budino per meranda ho mandato mio nipote a prendere un libro per passarsi il tempo, mi è ritornato con It. Ora il pargolo ha 7 anni, non è certo una lettura adatta a lui. Chi sa cosa lo scava colpito, il titolo corto? La barchetta? Boo!! Così ho commentato
"È un po' troppo lungo, in più non ci sono figure va a prendere un libro dei Quindici. " È tornato indietro con Jurassic parc.
Bah! Anche a casa mia i Quindici non li guarda mai.
Mi piacea un sacco raccontare la favola dei tre capretti furbetti con la voce cavernosa "chi attraversa il mio ponte", inutile anche nella vita si vorrebbe che chi fa la voce grossa finisca coi bernoccolo.
Tanti cari auguri di buone feste Ivano.
Anna Maria! Mi sparisci per mesi e mi ricompari proprio alla vigilia di Natale in un blog che quest'anno sto facendo di tutto per mantenere de-natalizzato. Come anche la vita in generale. Ho proibito a tutti gli amici del mondo non virtuale di inviarmi messaggi di auguri, pena la fine dell'amicizia ><
EliminaA parte questo, sono contento che tu ti sia decisa a riemergere e spero che non sia solo per pochi giorni.
Bella la coincidenza de I quindici e IT insieme qui e insieme da te. Penso che il pargolo di sette anni sia stato colpito dalla barchetta, o forse dagli artigli verdi del mostro che spunta dal tombino. Di Jurassik Park lo avranno attratto i dinosauri. Che tra l'altro ci sono anche nel volume 4 de I quindici. Da bambino andavo pazzo per quelle fantastiche illustrazioni sulla preistoria.
Grazie mille per il passaggio e gli auguri. Se non scompari di nuovo ci becchiamo presto. Buon 2017, Anna Maria :-))
Bà! Devo essere impazzita! La fatalità che lui abbia scelto quel libro più la lettura del tuo post mi ha portato a commentare.
EliminaHo continuo a leggere chi mi interessava dal cell, sia in ospedale che nei vari passaggi di strutture che ha avuto la mamma, ma non commento mai con quel famigerato utensile (scrivere in piccolo per me è una impresa e infatti si è visto il risultato.)
La Birba ama i libri sui dinosauri, e il libro che ha preso era con le immagini del film.
Per gli auguri male non fanno, perciò fattene una ragione. :)))
Un abbraccio
Sarà l'età, ma è che non ne posso davvero più delle convenzioni sociali. Chi lo ha detto che a Natale ci si debba scambiare per forza gli auguri anche se non ce ne importa niente del Natale. Meglio rischiare di scontentare qualcuno che forzarsi a fare qualcosa che proprio non si riesce a digerire.
EliminaGli auguri non faranno male, d'accordo, ma neanche bene... sono semplicemente parole al vento. Un abbraccio, Anna Maria :-)
Uomo tosto, sono una donna tosta e bastian contraria
EliminaBuon S Stefano 😂😂😂😂
Il bello è che anch'io non faccio troppi auguri a destra e manca.
“Perché se in Rilke la morte è… ‘la faccia della vita che da noi si distoglie, da noi lasciata al buio’, allora è anche evidente che quel che Alice vive nel mondo oltre lo specchio, dove coglie esattamente quella parte di realtà che nel ‘riflesso da noi si distoglie ed è lasciata al buio’, altro non è alla fine che un anticipo di morte.”
RispondiEliminaVero, ciò che Alice vive nel mondo oltre lo specchio può essere l’inizio della morte, o se vogliamo, anche una vita parallela.
Così come il sogno, del resto.
Non a caso, il saggio Chuang-Tzu, al risveglio da quel celebre sogno, non sapeva più se era un uomo che aveva sognato di essere una farfalla o una farfalla che ora sognava di essere Chuang-Tzu.
Riflettendoci sopra, infatti mi viene in mente sia l’usanza ebraica di coprire tutti gli specchi nella casa del familiare defunto, per permettergli di raggiungere l'aldilà (evitando di fargli percorrere “quel” ponte), e sia quella di considerare lo specchio quale un portale, come, appunto, indica Carrol, narrando della sua Alice, tra due mondi, di cui uno è quello conosciuto, l'altro un universo parallelo talvolta legato al regno dei sogni, dei morti o degli inferi. Quindi un altro ponte: quello che ci mette in contatto con il nostro doppio... e se iniziassimo a parlare del tema del doppio, tra letteratura, cinema e teatro, non finiremmo più!
Il concetto di specchio-portale, tra l’altro, è stato adottato pure dagli esoterici e, se non ricordo male, anche gli esorcisti vi fanno ricorso quando prevedono di imprigionare il demone di un posseduto riflettendo la sua immagine in uno specchio.
Infine, Villa Panza, dove svolgo la mia attività di volontariato per il Fai e che accoglie una delle collezioni d’arte contemporanea americana tra le più famose al mondo, ha specchi disseminati dappertutto e, guarda caso, Giuseppe Panza era letteralmente innamorato del concetto di arte capace di rivelare quanto c’è di reale dietro l’apparenza della realtà… quell’arte che è in grado di svelare l’essenziale e l’eterno…
Che altro dire? Ti sono gratissima di avermi segnalato questo post, che non avevo ancora avuto il piacere di leggere e che, invece, trovo semplicemente straordinario. *__*
Grazie per il tuo entusiasmo e per l'articolato commento, Clementina. Personalmente considero la lettera di Rilke al suo traduttore polacco Witold von Hulewicz uno dei capisaldi della letteratura mistica occidentale. E' incredibile come certi testi passino inosservati quando contengono praticamente già tutto o quasi. Se ti capita, leggila.
EliminaSiamo perfettamente in sintonia, Ivano. Pensavo proprio a Rilke che, non a caso, era anche l'autore preferito da Panza...
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