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Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta. Un'indagine sui valori /9



Credo sia bene adesso, arrivati al terzo post di confronto, cominciare ad annodare più strettamente i fili della connessione a distanza (sia temporale che spaziale) tra Robert Maynard Pirsig e Carlo Michelstaedter, ossia tra Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta e La persuasione e la rettorica, mostrando certe affinità sostanziali del pensiero dei due autori e la sovrapponibilità, al di là delle inevitabili differenze stilistiche, di parti delle loro opere.

Tanto per cominciare, non ci sono dubbi che la Qualità di Pirsig e la persuasione di Michelstaedter siano la stessa cosa. "La Qualità è il Buddha" asserisce Pirsig in un punto del suo libro. E per Michelstaedter il Buddha è per l'Oriente ciò che il Cristo è per l'Occidente: la più alta rappresentazione della figura del persuaso, di colui che possiede se stesso e il mondo nella loro totalità e indivisibilità.

E altrettanto significativa è la coincidenza delle loro diagnosi sull'origine del "male occidentale". Entrambi infatti, risalita la corrente della storia della filosofia fino ai presocratici, riconoscono tale origine in quella netta divisione naturale tra soggetti e predicati che aveva portato al formarsi di una serie di dualità, tra spirito e materia, soggetto e oggetto, sostanza e forma che sono la ragione prima del nostro problema con l’idea della Qualità e altro non sono che invenzioni dialettiche (...) fantasmi, dèi immortali del mito moderno che ci appaiono reali perché anche noi siamo dentro quel mythos".

Ma se Pirsig si sofferma sulla questione per quel tanto che gli è utile ai fini del suo Chautauqua (sono, quelle nei virgolettati appena precedenti, tutte parole di Pirsig da me già citate nel corso di questa serie di post), è invece a un'analisi dettagliatissima della stessa divisione "tra soggetti e predicati" che Michelstaedter dedica decine e decine di pagine della sua opera, seguendone la nascita e lo sviluppo in Platone dal Fedro, nelle cui pagine lui individua la fase iniziale del processo, fino all'ultimo dei Dialoghi del filosofo, Le leggi.

Di essenzialmente diverso c'è quindi, tra i due, l'approccio ai presocratici, se Pirsig imputa invece già a ionici e eleatici di aver avviato il processo di divisione, solo portato poi a conclusione da Socrate e dalla sua dialettica, al termine di una battaglia a favore della Verità che lo aveva visto contrapporsi ai sofisti, "i primi insegnanti [della Qualità] della storia" secondo Pirsig.



Michelstaedter fa invece propria la valutazione negativa dei sofisti che ne dà Platone, che li accusa di dar lezione a chiunque sia disposto a pagarli profumatamente, senza tener conto delle predisposizioni caratteriali, morali o intellettuali dei singoli individui. E' una posizione che Michelstaedter esplicita per esempio nella Seconda appendice alla Persuasione, seppur collocandola nello specifico in un contesto paradossale, dove nel confronto tra il vecchio Platone e i sofisti fa meglio figurare i secondi:

Altro che i sofisti! Se i sofisti erano ladruncoli, ma Platone - absit iniuria verbo - è il ladro in guanti gialli, che ha il suo sistema per rubare non più, come quelli facevano, questo o quello a caso, dicendo a ognuno: "io sono un ladro"; ma con metodo e seriamente, per poter rubare tutto, e dicendo agli uomini: "io son quello che ti salva per sempre dai ladri".*

Mentre il passo che segue fa parte del Chautauqua de Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta ed è una seconda citazione da The Greeks di Kitto, dopo quella che ho riportato nel precedente post:

Quando in Platone incontriamo la parola areté, la traduciamo con "virtù", e di conseguenza veniamo a perderne tutto il sapore. "Virtù" , almeno ai nostri tempi, ha un senso quasi esclusivamente morale: areté, invece, viene utilizzata indifferentemente in ogni ambito e significa semplicemente eccellenza. Quindi l'eroe dell'Odissea (...) è capace di costruire e di guidare una barca, di tracciare un solco più dritto di chiunque altro, di lanciare il disco meglio di un giovane fanfarone, di sfidare i giovani Feaci al pugilato, alla lotta o alla corsa. (...) In realtà è abile in tutto; la sua areté è insuperabile. L'areté implica il rispetto per la totalità e l'unicità della vita e, di conseguenza, il rifiuto della specializzazione. Implica il disprezzo per l'efficienza... O, piuttosto, una concezione molto più elevata dell'efficienza, che esiste non in un solo settore della vita, ma nella vita stessa".**

E arrivato a questo punto della sua lettura di Kitto - ci rivela Pirsig - Fedro si pose una domanda:

Ma perché?... Perché distruggere l'areté?

E si dette questa risposta:

Platone non aveva cercato affatto di distruggere l'areté. L'aveva incapsulata: ne aveva fatto un'Idea permanente e immutabile. (...) L'areté era divenuta il bene, la forma più alta, l'Idea più elevata: Essa era subordinata solo alla Verità stessa, in una sintesi di tutto il pensiero precedente.

Aveva insomma isolato la Qualità dalla trama della vita e ne aveva fatto un'idea astratta.


Così che non si trattava più, scrive Michelstaedter citando lo stesso Platone, di "far con cura, con amore, con devozione di sé". Non si trattava più di "vivere una cosa direttamente, ma [di] trar la propria vita a proposito di qualche cosa, affaticarsi...".

Con la conseguenza finale, che andava molto al di là di quanto intendesse Platone, che "Il mondo, la vita, diventa una teoria." E che "nell'esposizione delle diverse facce del problema, secondo le diverse ὐποϑέσεις [ipotesi], si maneggiano le cose come dati spogliati d'ogni interesse, senza riferenza nella vita, ma solo come elementi del sistema che si sta architettando."

Incomincia così [nel Parmenide di Platone] il modo di raziocinare: εἰ τοῦτο ἔστι... ἐκεῖνο ἔσται [se questo è... quello sarà].*** 

Anziché rispettare "la totalità e l'unicità della vita", questa viene divisa in settori. Si diventa "esperti" ed "efficienti", specialisti in un settore. E quindi ignari di quasi ogni cosa.

E se si riferisce tutto questo alle considerazioni sull'eroe omerico sopra esposte, si vede bene come l'identità di pensiero tra Michelstaedter e Pirsig, pur attraverso la mediazione di Kitto, sia su questo punto totale.

Quanto poi Carlo Michelstaedter incarnasse a suo modo questo ideale dell'areté, ponendosi così come una specie di antico Greco tra i suoi contemporanei (così come Goethe lo era stato tra i suoi a Weimar), ce lo rivelano alcuni accenni biografici della sorella Paula. Come quello relativo al contributo che Carlo volle offrire alla realizzazione della tomba per il fratello Gino, morto a New York nel febbraio del 1909:

Carlo non solo fece il disegno della lapide, ma diresse il lavoro del fabbro che doveva fare una parte in ferro, e ci lavorò lui stesso per molte sere nell'officina del fabbro, fece lui stesso le due maniglie di ferro che sollevano il coperchio e lavorava con tanta destrezza che il fabbro gli chiese dove avesse imparato il mestiere. In tutti i lavori manuali riusciva, aveva le mani abili, intelligenti - una caratteristica contraria alla razza.****


* * *


* Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica. Adelphi 1995; pag. 190.

** Robert M. Pirsig, Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta. Adelphi, 1981, 1990. Pag. 360-61. Da me ridotto di alcuni passi.

*** Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica. Adelphi 1995; pag. 196. 

**** Paula Michelstaedter Winteler, Appunti per una biografia di Carlo Michelstaedter. In: Sergio Campailla, Pensiero e poesia di Carlo Michelstaedter. Pàtron editore, Bologna 1973; pag. 160.

L'immagine di apertura del post è: Giorgione, I tre filosofi (1508).

Commenti

  1. Un certo tipo di approccio purtroppo implica una perdita di naturalezza nel vivere, è una costante dell'uomo occidentale da secoli (precisazione: dell'uomo istruito. La persona semplice e senza cultura talvolta è solo un rozzo ignorantone con velleità ridicole, ma altre volte ha la capacità di vivere e di fare ogni cosa con una spontaneità priva di complicazioni mentali che l'uomo istruito vorrebbe tanto avere).

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    Risposte
    1. Pirsig, rispetto all'intransigenza di un Michelstaedter, o anche della sua personalità anteriore da lui battezzata Fedro, dava una chance alla possibilità di un incontro tra le due diverse modalità di pensiero, da lui sintetizzate nell'arte di aggiustare una moto, vista come un misto di intuizione e analisi logica. Il che gli ha anche permesso, come hai notato tu nel precedente commento, di vivere la sua vita fino al suo termine naturale.

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