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Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta. Un'indagine sui valori /8


Bibliografia oppure: Dio ama gli analfabeti. Invece di leggere suonate o fatevi suonare della musica di Beethoven, perché gli orecchi non vi potrebbero far altro miglior servizio. - Gli occhi non sono fatti per legger libri. Ma se li volete ad ogni costo abbassare a questo servizio, leggete: Parmenide, Eraclito, Empedocle, Simonide, Socrate (nei primi dialoghi di Platone), Eschilo e Sofocle. - L'Ecclesiaste, e i Vangeli di Matteo, Marco e Luca - Lucrezio - De rerum natura -, i Trionfi del Petrarca e i Canti di Leopardi, Le avventure di Pinocchio del Collodi - i drammi di Enrico Ibsen. E non leggete mai altro, soprattutto nessun Tedesco, se avete cara la vostra salute, ché quelli sono contagiosi in vista (come i giornali, le riviste, il libri di scienze).*


Il brano di Carlo Michelstaedter che avete appena letto, citato dalla sorella Paula nei suoi appunti per una biografia del fratello, è lo "schizzo", ritrovato tra le carte dell'autore dopo la sua morte, di quella che doveva essere una pagina introduttiva alla sua tesi di laurea. Michelstaedter ne elaborò poi una seconda versione, più "meditata":

Io lo so che parlo perché parlo, ma che non persuaderò nessuno; e questa è disonestà - ma la rettorica άναγκάζει με ταῦτα δρᾶν βιᾷ [mi costringe a far ciò a forza]: o in altre parole è pur necessario che se uno ha addentato una perfida sorba la risputi.
Eppure quanto io dico è stato detto tante volte e con tale forza che pare impossibile che il mondo abbia ancor continuato ogni volta dopo che erano suonate quelle parole.
Lo dissero ai Greci Parmenide, Eraclito, Empedocle, ma Aristotele li trattò da naturalisti inesperti; lo disse Socrate, ma ci fabbricarono su quattro sistemi. Lo disse l'Ecclesiaste ma lo trattarono e spiegarono come libro sacro, che non poteva quindi dir niente che fosse in contraddizione con l'ottimismo della Bibbia; lo disse Cristo e ci fabbricarono su la Chiesa. Lo dissero Eschilo e Sofocle e Simonide, e agli Italiani lo proclamò Petrarca trionfalmente, lo ripeté con dolore Leopardi; ma gli uomini furono loro grati dei bei versi, e se ne fecero generi letterari. Se ai nostri tempi le creature di Ibsen lo fanno vivere su tutte le scene, gli uomini si divertono a sentir fra le altre altre anche quelle storie eccezionali e i critici parlano di simbolismo; e se Beethoven lo canta così da muovere il cuore di ognuno, ognuno adopera poi la commozione per i suoi scopi  - e in fondo... è questione di contrappunto.**

Ma alla fine Michelstaedter eliminò anche questa seconda versione dal testo definitivo che inviò ai suoi professori a Firenze.

La bozza iniziale rimane comunque un documento prezioso quanto la versione successiva, sia perché è una testimonianza senza censure del sentire dell'autore, sia per l'accenno ai tedeschi "contagiosi in vista" - con cui Michelstaedter vuol forse rimarcare la sua distanza non solo da Hegel, ma anche da quei filosofi, come Schopenhauer o Nietzsche, a cui il suo pensiero aveva le maggiori probabilità di essere accostato - e per quell'annotazione sui "primi Dialoghi", tenuti separati dalle opere del medio e tardo periodo di Platone (dalla Repubblica in poi), che agli occhi di Michelstaedter preparano la strada al "traditore" Aristotele.
E ricordate cosa dice al riguardo Robert Maynard Pirsig quando, in un punto da me citato de Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, accenna al Gorgia di Platone? Che Socrate usa l'arma della dialettica per fare a pezzi la Retorica di Gorgia e che questi pezzi andranno a comporre quel guazzabuglio di regole ormai prive di ogni contatto con la Qualità che sarà la retorica di Aristotele?
Vi è inoltre, a conferma del valore della bozza iniziale, la notizia data dalla sorella Paula che suo fratello Carlo, negli ultimi mesi di vita - gli stessi in cui, tornato a Gorizia da Firenze, preparava la sua tesi di laurea - era intento a un continuo lavoro di sottrazione. E che togliendo un autore dopo l'altro, aveva finito per ascoltare solo Beethoven e per leggere solo Ibsen. In una ricerca di essenzializzazione, di una consonanza assoluta con se stesso, che non coinvolgeva soltanto la vita intellettiva, ma anche quella emozionale e fisica. Si nutriva, per esempio, soprattutto di frutta, latte e caffè nero, e dormiva sul pavimento della sua stanza senza materasso, come un fachiro che lottasse per spezzare "il cerchio senza uscita dell'individualità illusoria che afferma una persona, un fine, una ragione: la persuasione inadeguata, in ciò ch'è adeguata solo al mondo ch'essa si finge"*** e approdare alla vera persuasione... "quell'ultimo presente" in cui "deve aver tutto e dar tutto: esser persuaso e persuadere, avere nel possesso del mondo il possesso di sé stesso - esser uno egli e il mondo.****

Venendo poi ai nomi, non si ripetono nella seconda versione quelli di Lucrezio e di Carlo Collodi (quest'ultimo, assente nel testo della tesi, figurava probabilmente nella prima in modo semiserio se non provocatorio). I rimanenti, riuniscono insieme dei persuasi (Parmenide, Eraclito, Cristo, Petrarca ecc.) e dei non persuasi ma comunque dotati dell'acuta percezione, la stessa di Michelstaedter, dell'esistenza della persuasione e del difetto di vivere nella sua assenza.


Nota: "animale" = "dell'anima".


E su ognuno di questi autori, e delle loro opere, Michelstaedter mostra l'incessante lavorio di corrosione messo in atto dalla retorica, allo scopo di normalizzare il loro messaggio, render tutto una questione di critica e di gusto e costruirci sopra Chiese e massimi sistemi, così da renderlo adeguato alla minima comprensione del "piccolo uomo", che vive per continuare, sempre cercando nel futuro e al di fuori di se stesso una soddisfazione che può essergli data solo nel momento presente, con l'"impossessarsi del bene della propria anima, essere uguali a se stessi (esser persuasi)".*****

L'elenco, osservo ancora, inizia con Parmenide, che può essere considerato il "filosofo guida" de La persuasione e la rettorica, il filosofo nel cui pensiero non si era ancora verificata quella scissione tra soggetto (ὑποκείμενον) e predicato (κατηγόρημα), tra attività pensante e realtà pensata, che Pirsig ne Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta mette all'origine della nostra separazione dalla Qualità. Ma Parmenide era anche uno di quei fisici (o "cosmologi") a cui Pirsig, lo abbiamo visto nel finale del post precedente, contrappone i sofisti, perché Fedro considerava la loro visione del mondo più vicina alla sua concezione della Qualità.

Socrate e Platone si sarebbero perciò inseriti, nella visone di Pirsig, nel solco già tracciato dai fisici, e avrebbero continuato la stessa loro battaglia per la Verità e contro i sofisti, che non insegnavano i princìpi ma le credenze degli uomini. Non insegnavano una singola verità assoluta, ma il miglioramento degli uomini. Tutti i princìpi e tutte le verità sono relativi, dicevano. "L'uomo è la misura di tutte le cose".

L'unico conto che non torna è che i sofisti - per bocca di Platone - dichiaravano di insegnare la virtù. Tutte le fonti indicano che questo era il punto centrale del loro insegnamento, ma come è possibile insegnare la virtù quando si sancisce la relatività di tutte le idee morali?

La risposta arriva a Fedro quando legge The Greeks di H.D.F. Kitto (1897-1982) e vi trova un commento a un brano dell'Iliade in cui il classicista britannico evidenzia descritta "l'anima autentica dell'eroe omerico":

...Andromaca gli si fece vicino piangendo,

e gli prese la mano, disse parole, parlò così:

"Misero, il tuo coraggio t'ucciderà, tu non hai compassione

del figlio così piccino, di me sciagurata, che vedova presto

sarò, presto t'uccideranno gli Achei,

balzandoti contro tutti: oh, meglio per me

scendere sotto terra, priva di te...

[...]

...Ettore grande, elmo abbagliante, le disse:

"Donna, anch'io, sì, penso a tutto questo; ma ho troppo

rossore dei Teucri, delle Troiane lungo peplo,

se resto come un vile lontano dalla guerra.

Né lo vuole il mio cuore, perché ho appreso a esser forte

sempre, a combattere in mezzo ai primi Troiani,

al padre procurando grande gloria e a me stesso.

Io lo so bene questo dentro l'anima e il cuore:

giorno verrà che Ilio sacra perisca,

e Priamo, e la gente di Priamo buona lancia:

ma non tanto dolore io ne avrò per i Teucri,

non per la stessa Ecuba, non per il sire Priamo,

e non per i fratelli, che molti e gagliardi

cadranno nella polvere per mano dei nemici,

quanto per te, che qualche acheo chitone di bronzo, trascinerà via piangente, libero giorno togliendoti:

allora, vivendo in Argo, dovrai per altra tessere tela,

e portar acqua di Messide o Iperea,

costretta a tutto: grave destino sarà su di te.

E dirà qualcuno che ti vedrà lacrimosa:

"Ecco la sposa d'Ettore, ch'era il più forte a combattere

fra i Troiani domatori di cavalli, quando lottavan per Ilio!"

Cosa dirà allora qualcuno; sarà strazio nuovo per te, priva dell'uomo che schiavo giorno avrebbe potuto tenerti lontano.

Morto, però, m'imprigioni la terra su me riversata,

prima ch'io le tue grida, il tuo rapimento conosca!"

E dicendo così, tese al figlio le braccia Ettore illustre:

ma indietro il bambino, sul petto della balia bella cintura

si piegò con un grido, atterrito all'aspetto del padre,

spaventato dal bronzo e dal cimiero chiomato,

che vedeva ondeggiare terribile in cima all'elmo.

Sorrise il caro padre, e la nobile madre,

e subito Ettore illustre si tolse l'elmo di testa,

e lo posò scintillante per terra;

e poi baciò il caro figlio, lo sollevò fra le braccia,

e disse, supplicando a Zeus e agli altri numi:

"Zeus, e voi numi tutti, fate che cresca questo

mio figlio, così come io sono, distinto fra i Teucri,

così gagliardo di forze, e regni su Ilio sovrano;

e un giorno dica qualcuno: "E' molto più forte del padre!",

quando verrà dalla lotta. Porti egli le spoglie cruente

del nemico abbattuto, goda in cuore la madre!"******


Kitto osserva allora che:

ciò che spinge il guerriero greco a compiere imprese eroiche non è un senso del dovere come noi oggi lo intendiamo, dovere cioè nei confronti degli altri: è piuttosto dovere nei confronti di se stesso. L'eroe greco non aspira a ciò che noi traduciamo con la parola "virtù" ma a ciò che in Grecia si chiama areté, l'eccellenza.

Ecco, pensa Fedro, una definizione della Qualità che esisteva mille anni prima che i dialettici avessero cercato di catturarla coi loro tranelli verbali. (...) Fedro è affascinato anche dal concetto di "dovere nei confronti di se stessi", che è la traduzione pressoché esatta del termine sanscrito "dharma", e che, a volte, è descritto come l'uno degli indù.

Qualità! Virtù! Dharma! Ecco cosa insegnavano i sofisti! (...) Prima della Chiesa della Ragione. Prima della sostanza. Prima della forma. Prima dello spirito e della materia. Prima della stessa dialettica. (...) Quei primi maestri del mondo occidentale insegnavano la Qualità, e il mezzo che avevano scelto a questo scopo era la Retorica.


* * *


* Paula Michelstaedter Winteler, Appunti per una biografia di Carlo Michelstaedter. In: Sergio Campailla, Pensiero e poesia di Carlo Michelstaedter. Pàtron Editore, Bologna 1973, pag. 162.

** Ibid, pag. 21-22. E in: Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica. Adelphi, Milano 1995, pag. 3.

*** Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica. Adelphi, Milano 1995, p. 19

**** Ibid., p. 44

***** Ibid., pag. 150

****** Omero, Iliade, 405-411; 440-481. Einaudi 1990. Traduzione di Rosa Calzecchi Onesti. 

Nota: La seconda metà di questo post sintetizza le pagine 357-360 de Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta nell'edizione Adelphi (1981, 1990). Traduzione di delfina Vezzoli. Le citazioni dirette dal libro sono in corsivo. Nell'edizione Adelphi la citazione dall'Iliade è nella traduzione di Vincenzo Monti.

L'immagine di apertura del post è: Luca Ferrari (1605–1654), Commiato di Ettore da Andromaca.

Commenti

  1. Avrai capito che non ho letto Pirsig e di Michelstaedter ho solo poche nozioni risalenti al tempo degli studi universitari. Quello che mi incuriosisce è la diversa reazione: Michelstaedter nel momento in cui raggiunge la convinzione che questo mondo sia stato plasmato da un pensiero che lui disprezza, perde talmente interesse verso di esso al punto di togliersi la vita giovanissimo; Pirsig, malgrado questa stessa sensazione, sommata peraltro a eventi privati terribilmente dolorosi capaci di stroncare anche uomini forti, riesce comunque a mantenere l'equilibrio necessario per arrivare alla vecchiaia. Magari l'interrogativo ti sembrerà stupido, ma io sono uno che ha sempre avuto difficoltà con il "mestiere di vivere"...

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    1. Non trovo per niente stupido l'interrogativo, Ariano, anzi. La differenza consisterà probabilmente in una somma di vari fattori: carattere, temperamento, destino, vissuto dell'infanzia, ambiente circostante: l'America della controcultura degli anni '60 offriva sicuramente più soluzioni, a dilemmi interiori del loro tipo, rispetto all'Italia di inizio '900.

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    2. Sì, in effetti l'Italia di inizio '900 era un paese da un lato pieno di energia perché nato ufficialmente da poco e ancora ribollente di fervore patriottico; ma per contro la società era sclerotizzata e seguiva schemi comportamentali pressoché obbligatori, cosicché anche i minimi atteggiamenti appena appena contrari al conformismo erano visti con sospetto e sdegno, senza comuni hippy o club letterari alternativi in cui rifugiarsi...

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