The Studio Section Four: Jeffrey Catherine Jones /1
Nel Sud degli Stati Uniti, negli anni '50, non c'erano né gay né lesbiche, e poco ma sicuro nessuno come me.
Jeffrey Catherine Jones
* * *
E così il logo di The Studio appare da oggi finalmente tutto intero. Mi
riferisco, per capirci, all'immagine con cui sono solito chiudere i post di questa
serie, da me prima ritagliata in quattro parti e poi fatta crescere su fondo
nero, come un'anomala luna rettangolare nella notte, di un quarto a ogni
sezione: Barry (Windsor-)Smith, Mike (Michael William) Kaluta, Berni(e)
Wrightson e, infine, l'arrivo di oggi: Jeffrey Catherine Jones - che è, devo dirlo, il mio preferito dei quattro moschettieri di The Studio.
Athos, Porthos, Aramis e D'Artagnan? No. Da sinistra a destra: Bernie Wrightson, Jeffrey Jones, Michael William Kaluta, Barry Windsor-Smith (c. 1978) |
O dovrei dire "preferita", visto che si tratta di un artista transgender,
che dall'età di 55 anni e per i successivi dodici anni della sua vita è stato a
tutti gli effetti una donna? Devo ammettere che non mi ero neanche posto posto
il problema, prima di vagabondare un po' nel web e rendermi conto che esiste una
tendenza a parlare di Jones al femminile anche in rapporto a tempi lontani
della sua attività, come sono quelli di questa prima serie di post che gli
dedico. Mentre c’è chi separa e parla di Jones al maschile o al femminile a
seconda del periodo della sua produzione artistica preso in esame. Io mi
atterrò a questa seconda opzione, sebbene capisca che la prima sia intesa come
una forma di rispetto nei confronti suoi e della sua scelta. In più Jones ha anche
reso noto che fin dall'età di quattro o cinque anni (cioè fin dove poteva arrivare
con i ricordi) il suo desiderio era sempre stato quello di essere una ragazza:
Forse sono nato con un particolare tipo di inversione di genere. Non so niente di queste cose. So che mi sono sempre identificato con le donne - nei libri, nei film, nell'arte e nella vita. I miei migliori amici sono sempre state delle donne e ho sempre provato attrazione fisica esclusivamente per le donne.
Dall'altro lato c'è però l'uomo Jones, che la donna Jones, lungi dal rompere
con lui, ha all'apparenza voluto omaggiare di un ruolo di primo piano,
scegliendo di conservare il suo vecchio nome maschile davanti al nuovo nome
femminile Catherine. Così come risulta dalle testimonianze che Jeffrey
Catherine Jones non ha mai avuto problemi a continuare a farsi chiamare dai vecchi
amici semplicemente Jeff. Inoltre, per finire, l’artista ha vissuto la propria
vita fino all’ultimo istante a fianco della seconda moglie Maryellen.
Jeffrey Catherine Jones, Obsession (1999) |
Si sarà così anche capito che Jones, a differenza degli altri componenti di
The Studio, non è più tra noi. Dal 2011, quando se ne è andato a sessantasette
anni. E a questo proposito va detto che una volta tanto l'ordine di partenza è
stato rispettato e a lasciarci è stato il più anziano dei quattro, sebbene lo
scarto di anni sia tutto sommato marginale. Jones era infatti nato nel 1944,
cioè solo tre anni prima di Kaluta (1947), quattro prima di Wrightson (1948) e
cinque prima di Smith (1949).
E tuttavia, per quanto lieve, questa differenza di età ha comunque contato
qualcosa, se si considera che Jeff Jones era un autore già discretamente
affermato negli stessi anni in cui i suoi tre futuri compari ancora muovevano i
loro primi timidi passi nel mondo del fumetto professionale. E neppure il
giovane Jones si è mai risparmiato nell'approfittare di questa sua posizione
privilegiata, ogni volta che si è trattato di aiutare qualcuno dietro di lui
nella cordata a fare un’altra po’ di strada. Ma tutto questo lo vedremo meglio nei
prossimi post.
Jeffrey Catherine Jones, The Couch (1992) |
Tornando ora alla questione transgender, se vi ho un po’ indugiato sopra è
anche per creare una premessa fondamentale all'opera di Jeffrey Catherine
Jones, che ruota in massima parte attorno alla sua ossessione per la figura
femminile. Il fumetto che lo ha reso celebre, per esempio, e con cui i più
ancora lo identificano, è Idyl, che al centro di quasi ognuna delle
vignette che compongono le sue tavole ha un corpo di donna. (Una nota a margine
che può far riflettere: è singolare come il nome di ognuno dei componenti di
The Studio, tutti artisti impegnati per la vita nella ricerca di una continua
evoluzione del loro stile, abbia finito per legarsi a doppio nodo, almeno per
il grande pubblico, con un personaggio degli inizi della loro attività. Per Barry Smith è stato Conan il
barbaro, per Mike Kaluta The Shadow, per Berni Wrightson Swamp Thing, per
Jeffrey Catherine Jones Idyl. È un fenomeno con cui nessuno di loro si è
trovato o si trova del tutto a suo agio, ma così va il mondo e non hanno potuto
e non possono farci niente).
James Whistler, Girl in White (1862) |
Mi spingerei poi a dire che tra gli artisti di The Studio, ma forse del
fumetto in generale, Jones è il più puramente pittore. Nel senso che nei suoi
quadri a olio sembra essersi distaccato più della media degli altri dagli
stilemi impiegati nel suo lavoro di autore di fumetti e di illustratore. I suoi
modelli pittorici sono in ogni caso evidenti come possono esserlo per Windsor-Smith
o Kaluta o Wrightson, e sono i preraffaelliti e i simbolisti europei. Ma anche,
soprattutto per quel che riguarda la tavolozza cromatica, il Maestro americano James
Abbott McNeill Whistler (1834-1903).
Ma Jones non ha solo disegnato e dipinto, ha anche scritto molto, visto che la stragrande maggioranza dei testi dei suoi fumetti sono opera sua. E alla fine ha lasciato anche qualche poesia. E lo ha fatto in modo assolutamente originale divergendo da tutto, o quasi, quel che era stato prodotto prima di lui nel fumetto, mentre dopo saranno in moltissimi ad approfittare della sua lezione. E se, a differenza dei suoi amici Barry Smith (con Opus I & II) e Berni Wrightson (con A Look Back), non ci ha lasciato grossi tomi autobiografici di riferimento, Jones aveva comunque raccolto sul suo sito ufficiale (ora non più online) una serie di memorie sparse collegate a periodi diversi della sua vita, sotto il titolo di A Recollecting Remembrance. E vale la pena chiamare in causa, a giustificazione di questa sua riservatezza, proprio il ricordo con cui ha scelto, forse di proposito, di sigillare la sua breve raccolta di memorie. Riguarda lo scrittore Theodore Sturgeon e ve lo lascio qui, a mia volta, in chiusura di questa introduzione. Da ottobre cominceremo poi a scandagliare, per quel che sarà possibile, la vita e l’opera del grande artista che è stato (anche se credo che lei stessa non lo ammetterebbe mai) Jeffrey Catherine Jones.
Ma Jones non ha solo disegnato e dipinto, ha anche scritto molto, visto che la stragrande maggioranza dei testi dei suoi fumetti sono opera sua. E alla fine ha lasciato anche qualche poesia. E lo ha fatto in modo assolutamente originale divergendo da tutto, o quasi, quel che era stato prodotto prima di lui nel fumetto, mentre dopo saranno in moltissimi ad approfittare della sua lezione. E se, a differenza dei suoi amici Barry Smith (con Opus I & II) e Berni Wrightson (con A Look Back), non ci ha lasciato grossi tomi autobiografici di riferimento, Jones aveva comunque raccolto sul suo sito ufficiale (ora non più online) una serie di memorie sparse collegate a periodi diversi della sua vita, sotto il titolo di A Recollecting Remembrance. E vale la pena chiamare in causa, a giustificazione di questa sua riservatezza, proprio il ricordo con cui ha scelto, forse di proposito, di sigillare la sua breve raccolta di memorie. Riguarda lo scrittore Theodore Sturgeon e ve lo lascio qui, a mia volta, in chiusura di questa introduzione. Da ottobre cominceremo poi a scandagliare, per quel che sarà possibile, la vita e l’opera del grande artista che è stato (anche se credo che lei stessa non lo ammetterebbe mai) Jeffrey Catherine Jones.
Un giorno del 1978 qualcuno bussò alla mia porta. Aprii e mi trovai davanti un uomo alto, sulla sessantina, con una felpa a collo alto e un medaglione che gli pendeva sul petto. Si presentò: «Ciao, sono Theodore Sturgeon».
Ero senza parole. Uno dei miei scrittori preferiti di sempre. Voleva sapere se avevo ancora una tavola della storia Luce apparsa su Swank Magazine. Gli spiegai che l’avevo venduta e ci mettemmo d’accordo che avrei realizzato una copia matte della pagina di Swank e gliela avrei autografata. Dopodiché mi chiese se mi era mai capitato di fare l’amore su una tomba a mezzanotte. La situazione cominciava a prendere una piega troppo strana. Non avevo bisogno di sapere certe cose – il mio eroe si stava smontando da solo davanti ai miei occhi. Mi stava raccontando più del dovuto!
* * *
Tutte le citazioni nel testo sono da: Jeffrey Catherine Jones, A Recollecting Remembrance (1997-2003).
L'immagine di apertura del post è: Jeffrey Catherine Jones, Seated (detail).
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Non ho commenti da fare perché di questo artista non so praticamente nulla, posso solo complimentarmi per l'ottimo articolo e per le bellissime, ma belle veramente, immagini. Ancora una volta risalta l'aspetto divulgativo del tuo blog. Complimenti Ivano.
RispondiEliminaCome sempre posso solo ringraziarti per le bellissime parole che riservi al mio lavoro, Massimiliano. Questo blog in realtà non era nato per essere divulgativo, ma sono contento che nel tempo lo sia diventato ^__^
EliminaCon le immagini poi stavolta abbiamo davvero toccato un apice!
Guarda, hai una capacità rara di cogliere sfumature alte in arti considerate minori da osservatori poco accorti. Inoltre riesci a esporre in maniera del tutto comprensibile (questa è cultura nel senso più nobile del termine) argomenti altrimenti ostici. Sappi che sono diventato calvo per tutte le volte che ho dovuto fare chapeau al tuo lavoro 😂
EliminaAhahahaha, non mi dire che hai cominciato a perdere i capelli da quando leggi il mio blog. Pensavo dipendesse da altro... troppa attività sessuale, per esempio ;-)
EliminaMi mancavano questi tuoi post sugli artisti degli anni ' 70s, conoscevo l'opera di Jones in quel periodo però ignoravo la sua scelta transgender, vedi con te s'impara sempre qualcosa.
RispondiEliminaMancavano anche a me, Nick. Anche perché alla fine sono i post che realizzo con più gusto.
EliminaL'insegnamento poi è reciproco, anch'io dalle tue parti imparo un bel po' di cose nuove :-)
Ignoravo tutto di questo autore, quindi ti sono grato di questo nuovo splendido viaggio ;-)
RispondiEliminaE io posso solo esserti grato di seguirmi anche stavolta! Benvenuto a bordo ^_^
EliminaCredo che in qualche modo in quel "Obsession" ci sia tutta la sua particolare interiorità. Storia molto singolare, che non conoscevo. Grazie!
RispondiEliminaSì, Luz, anch'io ho letto negli stessi tuoi termini "Obsession". Per questo ho pensato di inserirlo proprio in questo post.
EliminaGrazie mille a te per il passaggio e il commento :-))
È il mio primo approccio ai tuoi articoli relativi al mondo dell'arte. Sono lontana da questi ambiti, ma non disinteressata, anzi, tutt'altro. Sai incuriosirmi.
RispondiEliminaBenvenuta a bordo pure tu allora, Marina ^_^
EliminaE' vero che questo è l'ultimo dei quattro autori coinvolti, ma in realtà ci avviciniamo al finale soltanto della prima fase. Questa serie è destinata a durare ancora a lungo e farò il possibile per mantenere desta la tua curiosità.
Mi pare si prospetti un'altra bellissima serie di post. Non avrò grandi commenti da fare visto che, come capita sempre più sovente, ti leggo con l'ammirazione di un profano di fronte a qualcosa di troppo grande per lui.
RispondiEliminaP.S.: non so gli altri, ma io ho sempre pensato che l'immagine in chiusura fosse incompleta per errore. :(
Il primo decennio di attività di Jones, quello preso in esame in questa prima fase, mi permetterà in effetti di fare luce su una bella fetta di mondo del fumetto di quegli anni. Ci sarà da divertirsi (almeno per me, e spero anche per voi). Ma potrei fare io lo stesso commento sul tuo blog in relazione a "The Ring" *__*
EliminaP.S. Errore? Allora sei molto più tollerante di me... io te lo avrei fatto subito notare ;D
Stile molto raffinato, un altro artista che sono contento di aver scoperto grazie al tuo blog :-)
RispondiEliminaE che ci terrà compagnia per un po' con le sue raffinatezze, Ariano. Poi i quattro rientreranno tutti in pista per la seconda fase di questa lunga serie di post, che ha ancora molto da raccontare :-)
EliminaAncora prima di leggere il post, ho pensato che avesse uno stile più pittorico rispetto agli altri che ho letto. Poi sarò curiosa di sapere quali tecniche usava per realizzare le sue opere. E finalmente una donna... anche se dopo un lungo percorso!
RispondiEliminaO forse un'essenza femminile nata chissà come in un copro maschile, chissà.
EliminaLe sue tecniche pittoriche sono molto tradizionali. Per quanto ne so, rifuggiva sia dall'utilizzo dell'aerografo sia dei colori acrilici.