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Rilke e Hopper tra visibile e invisibile - (Re-edit, terza parte)



Nella sua tarda produzione pittorica, l'intento di Edward Hopper è quello di esprimere l'esperienza di vedere e percepire il mondo trattando la luce in modo tale da farla diventare quasi un oggetto materiale. La sua enfasi sulla luce e la dissoluzione degli oggetti materiali, insieme alla sua capacità di visualizzare una realtà interna, trovano la loro massima espressione in Sun in an Empty Room, uno dei suoi ultimi dipinti.
Hopper aveva il raro dono di saper percepire la realtà come totalità presente nelle forme del mondo esteriore, di vedere la verità essenziale. La sua percezione intuitiva gli permetteva di porsi davanti alla vitalità intrinseca agli oggetti del mondo. Pertanto non era solo giustificabile, ma necessario che Hopper si attenesse alle forme empiriche del mondo. Erano il suo punto di partenza e la sua meta, così come erano il veicolo della sua arte, le cui qualità, così uniche, continuano a mettere in discussione ogni forma di astrattismo.

Nelle opere della sua maturità, Hopper si sposta da una visione relativamente oggettiva, quasi impersonale, del mondo, a una impregnata di emozionalità. Questa emozionalità non si manifesta però nella pennellata, come in Van Gogh. Il suo modo di stendere i colori sulla tela nelle opere della maturità diventa a volte perfino ascetico nella sua essenzialità, mentre il disegno delle forme è definito e controllato.

Mi sono imbattuto in questo testo del sito edwardhopper.net circa una settimana fa, mentre ero alla ricerca della conferma che la data di realizzazione del dipinto Sun in an Empty Room fosse proprio quella che avevo in mente, il 1963. Data la sua brevità, ho deciso di tradurlo qui per intero, anche se a colpirmi è stata soprattutto la parte che ho scelto di evidenziare con i caratteri bianchi. Il mio obiettivo, in questa serie di post, era proprio quello di arrivare, per gradi, a una conclusione pressoché identica a quella suggerita da tale frase, con la differenza di accostarvi la figura di Rilke. Volevo cioè arrivare a dire che la dissoluzione degli oggetti operata dall'ultimo Hopper nella sua pittura non è molto diversa da quella operata dall'ultimo Rilke nella sua poesia, così come la capacità di visualizzare una realtà interna, che si sovrappone in tutto e per tutto a quella esterna, la si ritrova tanto nel pittore americano che nel poeta praghese. Ma anche il discorso dell'enfasi sulla luce non è qualcosa di diverso dall'enfasi che Rilke pone sul suono nella fase finale della sua produzione poetica. In altre parole, anche questo breve testo, che ovviamente non ha nessun motivo di prendere in considerazione Rilke, conferma la possibilità dell'analogia. E altrettanto rincuorante è per me sapere di avere scelto, con Sun in an Empty Room, il quadro giusto su cui fondarla.


Ma le affinità tra Hopper e Rilke potrebbero essere perfino più letterali di quanto sia apparso finora. La lunga lettera di Rilke a von Hulewictz, da cui ho attinto largamente nei post precedenti, riporta tra gli altri questo passo:
Ora, dall’America, arrivano cose vuote e indifferenti, cose apparenti, imitazioni della vita… Una casa, in senso americano, una mela americana o una vite di quei luoghi non hanno nulla in comune con la casa, il frutto, l’uva in cui erano confluite le speranze e la riflessività dei nostri avi… *

Non fa impressione vedere già così riconosciute, nel 1925, quelle che sarebbero diventate alcune delle caratteristiche più evidenti del secolo americano? L'uomo americano, cioè l'uomo moderno, che vive circondato da "cose vuote e indifferenti, cose apparenti, imitazioni della vita...". E il prodotto di questo vivere americano non è forse l'individuo doppiamente alienato che Hopper rappresenta nelle sue tele? ("Doppiamente alienato" perché estraneo sia al suo passato naturale sia al suo presente civilizzato).
Ecco così stabilito un insolito, imprevedibile punto di contatto tra i due: il poeta praghese accenna in una sua lettera all'America che il pittore americano rappresenta nelle sue opere.
Ecco come prosegue la lettera di Rilke:
Le cose animate, le cose esperite, le cose che sanno di noi si avviano al tramonto, e non possono essere sostituite. *

E' possibile trovare anche in queste parole una convergenza con Hopper? Sì, se si considera che Hopper nella sua pittura, come Rilke nella sua poesia, possa essersi assunto il compito di fissare quel che resta delle "cose che sanno di noi", prima che queste si arrendano lasciando il posto alle lattine di minestra in scatola Campbell. Voglio qui sostenere, in altri termini, che la presunta alienazione rappresentata da Hopper nelle sue tele potrebbe in realtà nascondere altro.
Ancora un passo, immediatamente successivo ai precedenti, della stessa lettera di Rilke:
Noi siamo forse gli ultimi che hanno conosciuto quelle cose. Su di noi grava la responsabilità di conservarne non solo la loro memoria (sarebbe poco e inaffidabile), ma il valore umano e larico ("Larico" nel senso delle divinità domestiche). *

"Umano e larico" è un altro modo di definire la "vitalità intrinseca agli oggetti del mondo". Una volta accettato cioè che gli oggetti del mondo sono altrettanto vivi di noi, sanno di noi e vedono la loro salvezza in noi (tutti temi rilkiani di cui ho parlato nel primo post della serie) il compito dell'artista, che usi le parole o i colori è indifferente, è quello di assumersi la responsabilità di non lasciare che queste cose diventino vuote e indifferenti, apparenti, imitazioni della vita - che diventino, in altre parole, completamente americane e moderne.
Hopper, forse il più americano dei pittori, fa esattamente questo dal mio punto di vista: trattenere quel che è possibile delle "cose esperite, le cose che sanno di noi" prima del loro definitivo tramonto. In termini pittorici, prima dell'arrivo della pop art (i cui esponenti veneravano Hopper senza un adeguato contraccambio di stima) e dell'iperrealismo - correnti che, secondo me, rappresentano un'antitesi di Hopper ancora maggiore di quella rappresentata dall'informale o dall'astrattismo.


Dire di Edward Hopper che "la sua percezione intuitiva gli permetteva di porsi davanti alla vitalità intrinseca agli oggetti del mondo", è come dire che Hopper dà ancora la precedenza alle cose rispetto all'io dell'artista, che l'artista non impone il suo io sulle cose al punto da soffocare la loro vitalità. E forse non c'è nessun altro pittore occidentale del Novecento di cui si possa dire lo stesso. Tra le possibili eccezioni, mi viene in mente un altro americano: Charles Burchfield.
L'unicità di Hopper è in effetti tale da renderlo praticamente inaccostabile a qualsiasi altro pittore, a dispetto dei vari tentativi fatti. Accostare la sua arte a quella, per esempio, di George Bellows può servire solo a rimarcarne la differenza, e abissale è anche la sua distanza dall'impressionismo americano. Ma già negli anni giovanili, nelle prime prove francesi, dimostra una formidabile immunità nei confronti di ogni contaminazione e la lezione europea sembra scivolargli addosso come acqua su un impermeabile.

Ma tornando adesso alla questione degli oggetti, qual è l'operazione che è chiamato a compiere su di esse l'artista che si assume il compito di preservarne il valore umano e larico? O, se si preferisce, la vitalità intrinseca? Rilke è chiaro in questo: attraverso il passaggio dal visibile all'invisibile che avviene per nostro tramite - il compito assegnato all'essere umano e "accanto al quale, sostanzialmente, non ne esiste un altro".
In questo modo appare del tutto sensata anche "la dissoluzione degli oggetti materiali" operata da Hopper attraverso l'enfasi sulla luce. La stessa a cui Rilke approda nella sua poesia con il ricondurre le cose materiali, partendo dal loro nome e attraverso la parola-suono, alla vibrazione ultima che le abita/anima.

Siamo qui forse per dire: casa,
ponte, fontana, porta, brocca, albero da frutto, finestra, -
al più: colonna, torre... ma per dire, comprendilo,
per dire così come persino le cose intimamente mai
credettero d'essere. Non è astuzia segreta
di questa tacita terra, quando gli amanti sollecita,
sì che nel loro sentire tutto, ogni cosa, s'incanta? **


3 - continua



Note


Lettera a Witold von Hulewicz. In: Rainer Maria Rilke, Poesie 1907-1926; Einaudi tascabili 2000, pagg. 644-646. A cura di Andreina Lavagetto.

** La nona elegia, vv.32-38. In: Rainer Maria Rilke, Elegie Duinesi; Einaudi 1978. Trad. di Enrico e Igea de Portu.

* * *

I dipinti riprodotti nelle immagini sono, dall'alto in basso:

Edward Hopper, Railroad Sunset (1929)

Edward Hopper, House with Rain Barrel (ca. 1936)

Charles Burchfield, March Day, Gowanda (1926-33)


Commenti

  1. Il secolo americano è sicuramente uno degli argomenti più centrali della cultura occidentale. Da un lato c'è questa diffusa idea di superficialità, vuoto consumistico e tutto il resto, però è anche vero che l'America ha prodotto capisaldi della cultura occidentale, tra i quali proprio Hopper.

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    1. Vero, proprio come canta Leonard Cohen nella sua canzone "Democracy" (album: The Future, 1992) in cui auspica l'arrivo della democrazia nel mondo:

      "It's coming to America first,
      the cradle of the best and of the worst."

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  2. Mi stupisce sempre più l'accostamento tra i due artisti (di arti diverse):
    Come ti dissi, preferisco Hopper, le sue opere mi hanno sempre affascinato (sembrano sfondi per cartoon).
    Sì, entrambi sembrano descrivere la medesima cosa, ma io non la trovo così "vuota" :)

    Moz-

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    1. Secondo me la differenza è che non è un vuoto nel senso dell'alienazione e della mancanza di senso, anche se talvolta è stato così interpretato, ma all'opposto un tipo di vuoto che rende tutto ancora più ricco di significato.

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    2. La realtà sensibile non è affatto vuota.
      Non è vuoto ciò in cui non c'è l'uomo, non è vuoto ciò che esiste a prescindere dall'umano.
      C'è che chi possiede la sensibilità di comprenderlo e di rappresentarlo e io non penso che un rumore non esista se non ci sono orecchie per sentirlo. Il rumore c'è perché è un fenomeno naturale e non bisogna scambiare esistenza con definizione di esistenza, sono due cose diverse.

      Detto questo chiamo lo psicologo e nel frattempo ti dico che questo percorso mi piace sempre di più! *_*

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    3. Mi fa un sacco piacere saperlo, Alessia, grazie :))

      Non credo tuttavia sia così semplice risolvere il famoso quesito sull'albero che cade con il relativo rumore. Secondo me rappresenta lo stesso grado di difficoltà di quello ancor più famoso dell'uovo e della gallina. O di quello, forse il più radicale di tutti i quesiti, del perché c'è qualcosa laddove non dovrebbe esserci niente. Tutte domande dove le risposte trascendono di gran lunga le limitate possibilità della mente razionale. *_*

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    4. La questione del rumore l'ho sempre trovata interessante, perché penso che un rumore non esista laddove non vi siano le condizioni... fisiche(?) atmosferiche(?) che ne possano produrre l'effetto, ma finché fisicamente ci si trova in un luogo in cui esistono tutte le condizioni per cui un rumore può essere prodotto allora, anche se nessuno lo ascolta, esiste.
      Poi poteri pure sbagliarmi eh, ma nel corso del tempo ho provato ad elaborare questa mia personalissima idea! ^^

      E tornando al post, credo che Hopper attui una coscienza simile nella rappresentazione delle cose; le sue scene, i suoi paesaggi sono rumori inascoltati e alberi non visti nel senso che sono cose talmente comuni da scomparire, eppure essi non solo esistono ma possono contenere tutta la ricchezza del naturale senza che necessariamente vi sia qualcuno, qualche presenza umana a sottolinearla e anche quando questa c'è rientra nel principio dell'invisibilità, nel senso che non è un valore aggiunto al dipinto ma un'ulteriore dimostrazione di una vita che esiste e persiste al di là della sua percezione effettiva.
      Un silenzio che è pieno, appunto.

      Ok, penso ora di averti effettivamente e concretamente dimostrato quanto questo argomento mi piace e stimoli la mia immaginazione e per questo ti ringrazio infinitamente! :D

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    5. La mia intenzione è anche quella di stimolare riflessioni autonome, oltre che di proporre la mia riflessione, quindi sei più che benvenuta :))

      Riguardo alla questione del rumore, ho invece dei dubbi che possa esistere in assenza di un meccanismo, in questo caso l'associazione 'apparato uditivo-coscienza', che sia in grado di tramutare le vibrazioni in suoni.

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  3. Io però non riesco ad associare la rappresentazione dell'alienazione al vuoto. Per come la vedo io, per mia sensibilità, in Hopper c'è alienazione nel senso di scostamento dal larico, inteso come tu lo hai definito. Non è l'alienazione che le cose producono su di noi, ma, ancora peggio, qualcosa che l'uomo stesso si autoproduce: è un discostarsi e abbandonare.
    Quando vedo il dipinto con la casa bianca, non ci vedo l'uomo, non ne vedo l'assenza, ma forse il tentativo di una riappropriazione di quella casa. E questo riguarda tutti, non un singolo.
    Mi secca parecchio non sapere nulla (per adesso! XD) di che su Rilke, uff -_-

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    1. Come ho scritto nella parte finale del post, per me la dissoluzione degli oggetti materiali messa in atto da Hopper attraverso l'uso della luce è un modo per eternare gli oggetti stessi nell'interiorità umana. Si tratta in pratica dello stesso procedimento messo in atto da Rilke. Ed è tutt'altro dall'alienazione.

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  4. Mi convinco sempre più che Hopper non sia definibile né classificabile. Il pittore che cattura non paesaggi o ritratti ma stati dell'esistenza... non può essere definito. Per questo mi piace questo tuo percorso su un possibile confronto con Rilke. In fondo, hanno in comune alcuni aspetti che sfuggono al "sensibile" e toccano gli angoli più profondi dell'animo umano.

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    1. E pur usando entrambi il sensibile come trampolino di lancio.
      Il viaggio proseguirà ancora per un po', quindi tieni pure allacciate le cinture :)

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    2. Obbedisco! E aggiungo che durante l'ultimo consiglio di classe ho parlato di questo tuo confronto a una collega di Storia dell'arte, devo dire piuttosto preparata in materia. E' stata molto colpita dalla cosa.

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    3. Urka! Ma gliene hai solo parlato o lo ha anche letto?

      Tra l'altro ho avuto in questi giorni un confronto serrato per via epistolare con una persona che mi ha portato a creare una nuova diramazione di questa serie di post. Non so se ce la faccio a proporla oggi, ma spero entro domani sì.

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